Monte
Zita 2191 m. dalla Val Zemola
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Orientali Friulane -Gruppo del Duranno- Cima dei Preti.
Avvicinamento:
Montereale-Barcis-Cimolais-Passo San Osvaldo-Erto- Rotabile per la val Zemola.
Punto
di Partenza: Parcheggio quota 1179, pochi metri sotto il rifugio Casera Mela.
Tempi
di marcia escludendo le soste: 5,5 ore.
Dislivello
complessivo in salita: 1021 m.
Distanza
percorsa in Km: 10, 700 m.
Quota
minima partenza: 1179 m.
Quota
massima raggiunta: 2191 m.
Condizioni
Meteo: Eccellenti.
Segnavia:
CAI sentieri 374- 381-391-Cartelli con indicazioni, piccoli bolli rossi. bolli
gialli Paletti e ometti.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Difficoltà:
Escursionisti Esperti.
Attrezzature:
Nessuna
Cartografia
consigliata. Tabacco 021.
Data:
21 maggio 2016.
Condizioni
del sentiero: Bene segnato, l’ultimo tratto prima della cima della cima solo
labili tracce.
Periodo
consigliato: da maggio a novembre
Il
vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
Relazione:
Finalmente arriva il
sabato mattina tanto desiderato. Questa settimana mi avventuro nella Val
Zemola, magnifica località montanara, regno incontrastato degli Spiriti Liberi.
La giornata è splendida, scendo da casa in compagnia del fido Magritte,
direzione Dolomiti Orientali. Il
percorso attraversa alcuni piccoli centri tra cui Montereale di Valcellina,
dove incontro più autovelox che abitanti. Dopo la lunga galleria scavata nelle
viscere del Monte Fara mi ritrovo avvolto dalle nebbie che esalano dal lago di
Barcis, magia pura. Con l’auto procedo lentamente costeggiando il torrente
Cellina, ammirando alla mia destra l’inconfondibile mole del Col Nudo, impossibile
non amarlo. Mi fermo un attimo a contemplarlo. Presso la località di Cellino
altri cartelli e telecamere mi distraggono dalle bellezze del luogo, mi chiedo
se anche questi non siano inquinamento, ho la sensazione di essere spiato, come
un galeotto, sorvegliato a vista dalla “Civiltà”, mi chiedo se un giorno ci misureranno
anche i battiti cardiaci o vieteranno di sognare. Dall’autoradio la voce di
Freddie Mercury canta: << I want to break free
I
want to break free
I
want to break free from your lies
You're
so self satisfied I don't need you
I've
got to break free .
( Voglio liberarmi
Voglio liberarmi
Voglio liberarmi dalle tue bugie
Tu sei soddisfatta di te stessa e io non ho bisogno di te
Devo liberarmi.) >>
Voglio liberarmi
Voglio liberarmi dalle tue bugie
Tu sei soddisfatta di te stessa e io non ho bisogno di te
Devo liberarmi.) >>
Immagino che la
“Lei” sia la società che ci opprime. Raggiunta la Val Cimoliana rimango per l’ennesima
volta folgorato dalla bellezza del massiccio del Duranno, non essendo
partigiano penso che sia uno dei monti più belli d’Italia, possente, unico, e
non di facile salita, solo per palati fini. Sono incantato, starei ore e ore ad
ammirarlo, il mio cuore si colma di emozioni. Raggiunta Erto seguo la rotabile
per la val di Zemola, ardita si fa la strada, scavata nella nuda roccia della
valle del torrente omonimo. Raggiunto il punto di sosta presso la casera Mela
mi appresto all’escursione. Zaino in spalle e Magritte al fianco si parte,
obiettivo monte Zita o “Citta”. Seguendo le indicazioni poste sui cartelli mi
avvio in direzione del piccolo rifugio della casera Mela per carrareccia. Mi
fermo un attimo, ammirando sullo sfondo la bellissima mole del Col Nudo e del
monte Toc. Sono inebriato da cotanta bellezza, mi carico di energia positiva,
stringo i pugni e con un urlo primordiale grido :<< Sono libero, ora sono
libero! Libero, libero!>> Riprendo
il cammino seguendo la carrareccia, quest’ultima sicuramente scavata dalla società
che gestiva la cava di Buscada. Il
percorso è dolce, si inoltra nel bosco percorrendo a settentrione il fianco
meridionale della Buscada, la temperatura ambientale è mite. Dopo un centinaio
di metri la mia attenzione viene attratta da un lieve movimento nel bosco, mi
fermo, noto qualcosa, fotografo in mezzo a due alberi, mi par di aver
intravisto un cerbiatto, si è lei, Diana, la dea della caccia, per un attimo i
nostri sguardi si incrociano, fermi, immobili. È un saluto di benvenuto, ma
anche un consiglio di fare attenzione. Sento la schiena bagnata, non può essere
sudore, son in marcia da poco tempo. Mollo lo zaino e controllo il suo interno.
La sacca della camelbak perde, per fortuna ho una bottiglia vuota al seguito, dove
riverso il contenuto. Scampato il pericolo di morire di sete, riprendo il cammino.
Il sentiero ora esce allo scoperto, così posso ammirare la mole del Duranno, fa
caldo, tolgo la giacca rimanendo in canotta. Dopo una serie di tornanti, poco
prima di una galleria un segno CAI mi invita a lasciare la carrareccia e
seguire il sentiero 381 (indicazioni su cartelli) che mi porta a casera Bedin. La
pendenza della traccia è lieve e il percorso ben marcato, poco dopo arrivo in
un’ampia distesa prativa. La traccia si biforca: avanti si procede per casera
Bedin; a sinistra per la vetta (sentiero CAI 391). Seguendo dei paletti risalgo
il costone erboso, con direzione sud-ovest. Il sentiero è intuitivo, si mira in
direzione del bastione della Palazza. Grazie a radi segni rossi e ometti raggiungo
un impluvio ricoperto da un nevaio. Lo risalgo per rocce e balze erbose, così
raggiugendo la forcella di Zita (1956 m), balcone panoramico sulle Alpi
Bellunesi. Alla mia destra il colosso di roccia, ovvero le pareti strapiombanti
del Palazza, dalla linea di cresta posso ammirare in tutta la sua pienezza il
contrasto tra il dolce aspetto orientale e lo spettrale versante occidentale.
La mia meta prosegue a meridione, risalendo per labile traccia la cresta,
superando chiazze di mughi fino a ritrovarmi alla base del tratto terminale. Un
ripido pendio erboso, che con pochi segni e qualche ometto risalgo fino in
cima. Gli ultimi metri come tutte le cime sono emozionanti. Scorgo l’ampia cupola
erbosa, e poi la piccola rustica croce di vetta, che rappresenta l’essenza
della valle. Semplicità, verità, poesia nuda e cruda, ma sempre poesia e non
illusione virtuale. La croce costruita con rami e incastrata tra sassi, accanto
ad essa un vecchio barattolo porta spezie come libro di vetta, contenente un
libretto e una risicata matita. Cosa c’è di più semplice e vero? Nulla! L’emozione
mi rapisce, tutto intorno osservo l’infinito.
Una lingua di neve mi fa da Guard rail, proteggendomi dall’esposizione
sul versante settentrionale, procedo per alcuni metri scendendo sulla cresta
erbosa, ammirando il bellissimo paesaggio. Ritorno sui miei passi, scrivo nel
libro di vetta, le ultime visite risalgono al 2015. Estraggo i viveri dallo zaino,
sfamando il mio amico, mangio solo una banana, la temperatura è scesa a causa
di una nuvola che oscura il sole, mi copro. Dopo una pausa di relax, mi preparo
per il rientro, scendendo per il sentiero dell’andata e girandomi di tanto in
tanto indietro. In breve raggiungo il prato sottostante, proseguendo per casera
Bedin. Guadato il torrente Gè de Bedin, il sentiero giunge nel piano dove fa
bella mostra di sé la casera. Il corpo principale dell’edificio è chiuso,
quello secondario è aperto, con un piccolo focolare e posti letto. Scendendo dalla
cima avevo notato delle presenze umane sul dorso sopra la casera, mi avvicino
per salutare. Scorgo tra i mughi dei bastoncini telescopici con un binocolo
appeso, sul prato una coppietta dormiente che mi ricorda il dipinto
impressionista “Colazione sull’erba” di Édouard Manet. Ritorno alla casera con
passo felpato, non voglio disturbare il loro sonno. Mi siedo su una panca
rustica a oriente della casera, zaino a terra, e consumo il mio meritato
pasto. Ammiro dal meraviglioso pulpito
lo splendido scenario: il monte Duranno con pennacchio di nuvole, la cresta
delle cime Centenere, monte Porgeit, e tante altre cime. Uno spettacolo immerso
nel selvaggio della valle. Ripresomi dall’estasi mi preparo per il ritorno, ad
intuito scendo dal costone boscoso e non sbaglio, seguendo una marcata traccia
e dei bolli gialli, giù per l’erto pendio, passando per i ruderi di casera
Bedin di sotto fino a guadare il Gè di Bedin, dove una serie di ometti mi
aiutano a superare un tratto dirupato. Il sentiero in falso piano guadagna la
pista forestale, proseguo a meridione (sentiero CAI 374) raggiungendo in breve
la bella casera Ferrer e subito dopo il punto di partenza. Il parcheggio ora è
stracolmo d’auto e di escursionisti, con calma riprendo la via del ritorno, con
molta calma, ammirando le altre cime prossime mete, sognando ancora ad occhi
aperti. Raggiunta la località di Barcis mi fermo a fotografare l’azzurro lago,
dando l’ultimo sguardo alle dolomiti d’oltre Piave. Rientro nella civiltà, gustandomi
un “lecca lecca” e cantando “I want to break free “. Salutando con irriverenza
uno ad uno gli autovelox arancioni a forma di cilindro che popolano la pianura
friulana.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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