Powered By Blogger

mercoledì 25 maggio 2016

 
Monte Zita 2191 m. dalla Val Zemola

Note tecniche.

Localizzazione: Dolomiti Orientali Friulane -Gruppo del Duranno- Cima dei Preti.

Avvicinamento: Montereale-Barcis-Cimolais-Passo San Osvaldo-Erto- Rotabile per la val Zemola.

Punto di Partenza: Parcheggio quota 1179, pochi metri sotto il rifugio Casera Mela.

Tempi di marcia escludendo le soste: 5,5 ore.

Dislivello complessivo in salita: 1021 m.

Distanza percorsa in Km: 10, 700 m.

Quota minima partenza: 1179 m.

Quota massima raggiunta: 2191 m.

Condizioni Meteo: Eccellenti.

Segnavia: CAI sentieri 374- 381-391-Cartelli con indicazioni, piccoli bolli rossi. bolli gialli Paletti e ometti.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Attrezzature: Nessuna

Cartografia consigliata. Tabacco 021.

Data: 21 maggio 2016.

Condizioni del sentiero: Bene segnato, l’ultimo tratto prima della cima della cima solo labili tracce.

Periodo consigliato: da maggio a novembre

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 
Relazione:

Finalmente arriva il sabato mattina tanto desiderato. Questa settimana mi avventuro nella Val Zemola, magnifica località montanara, regno incontrastato degli Spiriti Liberi. La giornata è splendida, scendo da casa in compagnia del fido Magritte, direzione   Dolomiti Orientali. Il percorso attraversa alcuni piccoli centri tra cui Montereale di Valcellina, dove incontro più autovelox che abitanti. Dopo la lunga galleria scavata nelle viscere del Monte Fara mi ritrovo avvolto dalle nebbie che esalano dal lago di Barcis, magia pura. Con l’auto procedo lentamente costeggiando il torrente Cellina, ammirando alla mia destra l’inconfondibile mole del Col Nudo, impossibile non amarlo. Mi fermo un attimo a contemplarlo. Presso la località di Cellino altri cartelli e telecamere mi distraggono dalle bellezze del luogo, mi chiedo se anche questi non siano inquinamento, ho la sensazione di essere spiato, come un galeotto, sorvegliato a vista dalla “Civiltà”, mi chiedo se un giorno ci misureranno anche i battiti cardiaci o vieteranno di sognare. Dall’autoradio la voce di Freddie Mercury canta: << I want to break free

I want to break free

I want to break free from your lies

You're so self satisfied I don't need you     

I've got to break free .

( Voglio liberarmi
Voglio liberarmi
Voglio liberarmi dalle tue bugie
Tu sei soddisfatta di te stessa e io non ho bisogno di te
Devo liberarmi.) >>

Immagino che la “Lei” sia la società che ci opprime. Raggiunta la Val Cimoliana rimango per l’ennesima volta folgorato dalla bellezza del massiccio del Duranno, non essendo partigiano penso che sia uno dei monti più belli d’Italia, possente, unico, e non di facile salita, solo per palati fini. Sono incantato, starei ore e ore ad ammirarlo, il mio cuore si colma di emozioni. Raggiunta Erto seguo la rotabile per la val di Zemola, ardita si fa la strada, scavata nella nuda roccia della valle del torrente omonimo. Raggiunto il punto di sosta presso la casera Mela mi appresto all’escursione. Zaino in spalle e Magritte al fianco si parte, obiettivo monte Zita o “Citta”. Seguendo le indicazioni poste sui cartelli mi avvio in direzione del piccolo rifugio della casera Mela per carrareccia. Mi fermo un attimo, ammirando sullo sfondo la bellissima mole del Col Nudo e del monte Toc. Sono inebriato da cotanta bellezza, mi carico di energia positiva, stringo i pugni e con un urlo primordiale grido :<< Sono libero, ora sono libero!  Libero, libero!>> Riprendo il cammino seguendo la carrareccia, quest’ultima sicuramente scavata dalla società che gestiva la cava di Buscada.  Il percorso è dolce, si inoltra nel bosco percorrendo a settentrione il fianco meridionale della Buscada, la temperatura ambientale è mite. Dopo un centinaio di metri la mia attenzione viene attratta da un lieve movimento nel bosco, mi fermo, noto qualcosa, fotografo in mezzo a due alberi, mi par di aver intravisto un cerbiatto, si è lei, Diana, la dea della caccia, per un attimo i nostri sguardi si incrociano, fermi, immobili. È un saluto di benvenuto, ma anche un consiglio di fare attenzione. Sento la schiena bagnata, non può essere sudore, son in marcia da poco tempo. Mollo lo zaino e controllo il suo interno. La sacca della camelbak perde, per fortuna ho una bottiglia vuota al seguito, dove riverso il contenuto. Scampato il pericolo di morire di sete, riprendo il cammino. Il sentiero ora esce allo scoperto, così posso ammirare la mole del Duranno, fa caldo, tolgo la giacca rimanendo in canotta. Dopo una serie di tornanti, poco prima di una galleria un segno CAI mi invita a lasciare la carrareccia e seguire il sentiero 381 (indicazioni su cartelli) che mi porta a casera Bedin. La pendenza della traccia è lieve e il percorso ben marcato, poco dopo arrivo in un’ampia distesa prativa. La traccia si biforca: avanti si procede per casera Bedin; a sinistra per la vetta (sentiero CAI 391). Seguendo dei paletti risalgo il costone erboso, con direzione sud-ovest. Il sentiero è intuitivo, si mira in direzione del bastione della Palazza. Grazie a radi segni rossi e ometti raggiungo un impluvio ricoperto da un nevaio. Lo risalgo per rocce e balze erbose, così raggiugendo la forcella di Zita (1956 m), balcone panoramico sulle Alpi Bellunesi. Alla mia destra il colosso di roccia, ovvero le pareti strapiombanti del Palazza, dalla linea di cresta posso ammirare in tutta la sua pienezza il contrasto tra il dolce aspetto orientale e lo spettrale versante occidentale. La mia meta prosegue a meridione, risalendo per labile traccia la cresta, superando chiazze di mughi fino a ritrovarmi alla base del tratto terminale. Un ripido pendio erboso, che con pochi segni e qualche ometto risalgo fino in cima. Gli ultimi metri come tutte le cime sono emozionanti. Scorgo l’ampia cupola erbosa, e poi la piccola rustica croce di vetta, che rappresenta l’essenza della valle. Semplicità, verità, poesia nuda e cruda, ma sempre poesia e non illusione virtuale. La croce costruita con rami e incastrata tra sassi, accanto ad essa un vecchio barattolo porta spezie come libro di vetta, contenente un libretto e una risicata matita. Cosa c’è di più semplice e vero? Nulla! L’emozione mi rapisce, tutto intorno osservo l’infinito.  Una lingua di neve mi fa da Guard rail, proteggendomi dall’esposizione sul versante settentrionale, procedo per alcuni metri scendendo sulla cresta erbosa, ammirando il bellissimo paesaggio. Ritorno sui miei passi, scrivo nel libro di vetta, le ultime visite risalgono al 2015. Estraggo i viveri dallo zaino, sfamando il mio amico, mangio solo una banana, la temperatura è scesa a causa di una nuvola che oscura il sole, mi copro. Dopo una pausa di relax, mi preparo per il rientro, scendendo per il sentiero dell’andata e girandomi di tanto in tanto indietro. In breve raggiungo il prato sottostante, proseguendo per casera Bedin. Guadato il torrente Gè de Bedin, il sentiero giunge nel piano dove fa bella mostra di sé la casera. Il corpo principale dell’edificio è chiuso, quello secondario è aperto, con un piccolo focolare e posti letto. Scendendo dalla cima avevo notato delle presenze umane sul dorso sopra la casera, mi avvicino per salutare. Scorgo tra i mughi dei bastoncini telescopici con un binocolo appeso, sul prato una coppietta dormiente che mi ricorda il dipinto impressionista “Colazione sull’erba” di Édouard Manet. Ritorno alla casera con passo felpato, non voglio disturbare il loro sonno. Mi siedo su una panca rustica a oriente della casera, zaino a terra, e consumo il mio meritato pasto.  Ammiro dal meraviglioso pulpito lo splendido scenario: il monte Duranno con pennacchio di nuvole, la cresta delle cime Centenere, monte Porgeit, e tante altre cime. Uno spettacolo immerso nel selvaggio della valle. Ripresomi dall’estasi mi preparo per il ritorno, ad intuito scendo dal costone boscoso e non sbaglio, seguendo una marcata traccia e dei bolli gialli, giù per l’erto pendio, passando per i ruderi di casera Bedin di sotto fino a guadare il Gè di Bedin, dove una serie di ometti mi aiutano a superare un tratto dirupato. Il sentiero in falso piano guadagna la pista forestale, proseguo a meridione (sentiero CAI 374) raggiungendo in breve la bella casera Ferrer e subito dopo il punto di partenza. Il parcheggio ora è stracolmo d’auto e di escursionisti, con calma riprendo la via del ritorno, con molta calma, ammirando le altre cime prossime mete, sognando ancora ad occhi aperti. Raggiunta la località di Barcis mi fermo a fotografare l’azzurro lago, dando l’ultimo sguardo alle dolomiti d’oltre Piave. Rientro nella civiltà, gustandomi un “lecca lecca” e cantando “I want to break free “. Salutando con irriverenza uno ad uno gli autovelox arancioni a forma di cilindro che popolano la pianura friulana.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 























































Nessun commento:

Posta un commento