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mercoledì 11 maggio 2016

Anello del Cuel di Lanis.



Anello del Cuel di Lanis.

Monte Pastoucicco 1611 m -Monte Laschiplas 1612 m- Cuel di Lanis 1629 m.

Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Giulie -

Avvicinamento: Spilimbergo-San Daniele -Majano-Buia-Tarcento-Valle del Torre- Dopo la galleria ristorante alle Sorgenti, prendere la rotabile che porta all'abitato di Musi. Bivio poco dopo il ponte prendere a sinistra per Plan di Tapou -Dopo tre km fino in curva cartello CAI n.729.

 

Punto di Partenza: Plan di Tapou 830 m.

Dislivello complessivo: 1000 m.

Distanza percorsa in Km: 8,7.

Quota minima partenza: 830 m.

Quota massima raggiunta: 1629 m.

Difficoltà: Escursionisti Esperti

Segnavia: CAI 729-  Sentiero” Alta via CAI Gemona” -Nel tratto in cresta solo qualche rado bollo rosso.

Tempo percorrenza totale: 6 ore, 4 in salita e 2 in discesa.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 020.

Periodo consigliato: Dalla primavera all’autunno.

Condizioni del sentiero: Quelli segnati CAI ben segnati e marcati, quello di cresta in molti punti assente, solo intuitivo.

Condizioni Meteo: Ottime

Data: Sabato 07 maggio 2016.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 
Relazione.

L’anello di Cuel di Lanis è una delle mete che avevo messo in programma per il 2016. Sin dalle prime immagini viste sul web rimasi colpito dalla cresta e dal suo aspetto selvaggio. La settimana scorsa ho avuto modo di apprezzare l’escursione di Roberto Fabbro sulla cima più alta del gruppo, rimanendo colpito dalla bellezza del paesaggio. Contatto l’amico per chiedere ulteriori informazioni, mi studio le foto e il percorso, così sono pronto per l’avventura.

Arriva il tanto sospirato giorno, l’alba è splendida, tinge di rosa il cielo, la temperatura è mite. Con il prode Magritte si parte presto da casa, avviandomi ad oriente in direzione delle Giulie. Lungo la strada noto alcune cittadine addobbate con bandiere tricolori. È la ricorrenza del quarantesimo anniversario del sisma che colpì il Friuli. Superata la Tarcento sono a ridosso della catena montuosa che collega la valle dei Musi con Gemona. Osservo dalla frazione di Pradielis il versante meridionale del Cuel di Lanis e la cresta frastagliata che lo collega al monte Postoucicco. Superata la galleria, seguo le indicazioni per la frazione Musi, svoltando a sinistra al primo bivio. Un cartello segnala il divieto di transito, la strada è percorribile con cautela. La vecchia forestale risale con una serie di tornanti il versante settentrionale. Giunto presso un’ampia curva (quota 830 e segno CAI) lascio l’auto. La temperatura è gradevole, calzati gli scarponi, zaino in spalle e Magritte al fianco si parte. Il primo tratto di sentiero presagisce il profilo selvaggio dell’escursione. Un cartello CAI (sentiero 729) indica approssimativamente quanto tempo occorre per raggiungere la forcella Dolina. La vecchia mulattiera supera i ruderi di alcuni stavoli, segno dei tempi e dell’eterna lotta tra l’Uomo e la Natura. Il sentiero è comodo e con leggera pendenza risale la valle solcata dal rio Vodizza. Su un masso indicazioni per il 729. Con il guadagnare di quota mi inoltro nel bosco dove gli alberi di nocciolo vengono sostituiti dai faggi. Percorro parallelamente il greto del torrente, con una serie di svolte risalgo il fianco occidentale del bosco guadagnando il prato che ospita le casere di Noacco e Tasaoro (quota 1264 m.). Tra gli edifici scorgo una coppia di escursionisti che hanno pernottato in tenda, mi avvicino ,simpaticissimi: lui francese, lei bielorussa. Dopo il pernottamento si apprestavano a completare il giro proseguendo per la valle dei Musi. Conversiamo in inglese, sicuramente il mio è maccheronico. È straordinario, bastano pochi istanti per istaurare rapporti di fratellanza. Loro vivono a Vienna, amano la zona. La montagna non ha confini, né bandiere e né colori. Essa è libera e unisce chi è libero. Dopo lo scambio di mail mi congedo dai nuovi amici chiedendo informazioni sulla percorribilità del percorso che mi accingo a fare. Il sentiero si inoltra nella valle del Tasaoro. Raggiunto un cartello con diramazioni: a sinistra il sentiero 729 per la forcella Dolina, a destra l’alta Via C.A.I Gemona, che percorrerò al ritorno. Seguo il 729, che mira alle pendici settentrionali del Monte Postoucicco. Dopo pochi metri la prima neve, mi sarà compagna fino a sotto la forcella. Il sentiero non è difficile, ricalco le orme degli amici lasciati alla casera. Risalendo il bosco e superando alcuni nevai arrivo in breve tempo alla forcella Dolina. Il sole picchia, cammino in canotta. Un istante ad ammirare il sentiero che scende fino al borgo di Cesariis e uno sguardo al prosieguo. Un bollo rosso mi invita a cavalcare la cresta a sinistra, così inizia il tratto più avventuroso. Da subito intuisco quale sarà il motivo conduttore “la cresta”, che da oriente a occidente percorrerò come un funambolo. L’entusiasmo è a mille e le forze ci sono, parto con gioia. Da subito assaporo l’esposizione sul versante meridionale dell’’affilata cresta. Mi arrampico su un ripido esposto (rocce e zolle con passaggio di primo grado basso) che mi porta all’antecima del Postoucicco. Una crestina articolata la divide dalla cima principale, attraversando i mughi la raggiungo. Nessuna croce (quota 1611 m.), solo un piccolo ometto e una cassetta con libro e timbro di vetta. Magritte è sorridente, in cuor suo pensava di aver raggiunto la meta, ma siamo solo all’inizio. In uno scatto fotografico ho racchiuso le tre cime e il percorso impegnativo che ci attende. Proseguendo sulla cresta dalla prima cima seguo il crinale fino a intravedere un lastrone molto inclinato e affilato sul versante settentrionale, scendo fino al margine di un ghiaione, l’operazione non è facile a causa di un nevaio che copre la traccia. Con intuito supero l’ostacolo, risalendo il tratto inclinato e sbucando tra i mughi, così guadagnando il vertice. Osservo la mole del monte Laschiplas, prossimo obiettivo. Dopo aver percorso l’affilato tratto tra rocce, con una serie di saliscendi tra i mughi aggiro un costone roccioso (sempre sul versante nord), scendendo per alcuni metri (nevaio) e un’ulteriore risalita tra i fitti mughi che mi riporta sulla frastagliata cresta che precede la cima del monte Laschiplas. La fatica ora si fa sentire, non tanto per il chilometraggio, ma per via delle tracce: difficili da individuare o inesistenti. Sulla seconda cima non c’è croce e ne ometto, breve sosta per rifiatare e mi avvio per l’ultima cima. Dall’alto mi rendo conto che mi attende il tratto più complicato e infido dell’escursione. Dopo essere sceso alcuni metri mi trovo sul filo del precipizio: a sud le verticali pareti di roccia, a nord un impraticabile muro di mughi. Cerco la soluzione migliore, ravanando la trovo tra i mughi: un segno rosso nascosto dalla vegetazione mi invita a superare il salto a destra, scendendo per alcuni metri tra zolle e roccette, così raggiugendo un esposto intaglio, e successivamente risalendo sul lato opposto. Dopo aver riguadagnando la cresta per l’ennesima volta, proseguo mantenendomi a filo sull’esposto versante meridionale fino a raggiungere la base dell’antecima del Cuel di Lanis. Uno sguardo alla non più lontana meta, sul cui vertice scorgo due escursionisti. Mi appresto all’ultimo tratto, dall’apparenza semplice, ma che si rivela più complesso. Sotto la cima con una ansa molto ardita il sentiero prosegue a sinistra sull’esposto pendio meridionale. Un paletto mi invita a osare il passaggio, che eseguo con tutta l’adrenalina che ho in corpo. Superato questo ostacolo scorgo un paletto che mi porta in cima. Con cautela affronto l’ultimo tratto, sento la meta vicina. Pochi passi ancora ed eccomi sulla cupoletta sommitale, avvisto la piccola croce in legno, e così le fatiche volgono al fine. Fatta! Fatta! Stanco, stanchissimo, anzi stanchi morti, ma vincitori. E’ stata dura!  Zaino a terra, e di seguito anche noi crolliamo. Che grande gioia, le batterie si ricaricano, lo spirito si illumina, l’autostima cresce. Il bel tempo regge, accanto la croce una cassetta in metallo. Tiro fuori dallo zaino le provviste, festeggiando il mio compagno e la sua centesima cima. Magritte è stato un “Grande”, si è superato.  Finalmente posso ammirare lo splendido paesaggio: i Musi, le Giulie slovene e il Canin. firmo il libro di vetta, leggendo alcuni commenti precedenti. I due escursionisti che avevo notato in cima mi hanno commosso, nel loro scritto hanno dedicato l’escursione a quelli che 40 anni fa persero la vita. La vita è bella e va vissuta. Come molti sanno l’epicentro del sisma non è stato Monte San Simeone, ma i Musi. La natura a volte è crudele. Che enigma! Sotto questa montagna si è scatenato il sisma che ha scosso l’intera regione. Provo ammirazione per chi mi ha preceduto, non odiano la montagna, ma l’amano malgrado tutto. Dopo essermi riposato e rifocillato riprendo il cammino, scendendo dal versante settentrionale.  Il sentiero è meno impregnativo, passo sotto una parete rocciosa, portandomi nella sottostante valle innevata. Seguendo le tracce sulla neve, procedo lentamente, così raggiungo il bivio dell’andata. Passando per la casera di Tasaoro una sensazione di melanconia mi assaliva, quegli amici conosciuti per pochi istanti già mi mancavo, e del loro passaggio non rimangono che i buchi dei picchetti. L’escursione volgeva al termine, scoprendo nel bosco forme antropomorfe. Accompagnato dal canto dei cuculi raggiungevo l’auto, stanco, anzi stanchi ma soddisfatti.

 Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.
































































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