Anello
del Cuel di Lanis.
Monte
Pastoucicco 1611 m -Monte Laschiplas 1612 m- Cuel di Lanis 1629 m.
Note
tecniche.
Localizzazione: Prealpi Giulie -
Avvicinamento: Spilimbergo-San Daniele
-Majano-Buia-Tarcento-Valle del Torre- Dopo la galleria ristorante alle
Sorgenti, prendere la rotabile che porta all'abitato di Musi. Bivio poco dopo
il ponte prendere a sinistra per Plan di Tapou -Dopo tre km fino in curva
cartello CAI n.729.
Punto di Partenza: Plan di Tapou 830 m.
Dislivello complessivo: 1000 m.
Distanza percorsa in Km: 8,7.
Quota minima partenza: 830 m.
Quota massima raggiunta: 1629 m.
Difficoltà: Escursionisti Esperti
Segnavia: CAI 729- Sentiero” Alta via CAI Gemona” -Nel tratto in
cresta solo qualche rado bollo rosso.
Tempo percorrenza totale: 6 ore, 4 in salita e
2 in discesa.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Attrezzature: Nessuna.
Cartografia consigliata. Tabacco 020.
Periodo consigliato: Dalla primavera
all’autunno.
Condizioni del sentiero: Quelli segnati CAI
ben segnati e marcati, quello di cresta in molti punti assente, solo intuitivo.
Condizioni Meteo: Ottime
Data: Sabato 07 maggio 2016.
Il vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
Relazione.
L’anello
di Cuel di Lanis è una delle mete che avevo messo in programma per il 2016. Sin
dalle prime immagini viste sul web rimasi colpito dalla cresta e dal suo
aspetto selvaggio. La settimana scorsa ho avuto modo di apprezzare l’escursione
di Roberto Fabbro sulla cima più alta del gruppo, rimanendo colpito dalla
bellezza del paesaggio. Contatto l’amico per chiedere ulteriori informazioni,
mi studio le foto e il percorso, così sono pronto per l’avventura.
Arriva
il tanto sospirato giorno, l’alba è splendida, tinge di rosa il cielo, la
temperatura è mite. Con il prode Magritte si parte presto da casa, avviandomi
ad oriente in direzione delle Giulie. Lungo la strada noto alcune cittadine
addobbate con bandiere tricolori. È la ricorrenza del quarantesimo anniversario
del sisma che colpì il Friuli. Superata la Tarcento sono a ridosso della catena
montuosa che collega la valle dei Musi con Gemona. Osservo dalla frazione di
Pradielis il versante meridionale del Cuel di Lanis e la cresta frastagliata
che lo collega al monte Postoucicco. Superata la galleria, seguo le indicazioni
per la frazione Musi, svoltando a sinistra al primo bivio. Un cartello segnala il
divieto di transito, la strada è percorribile con cautela. La vecchia forestale
risale con una serie di tornanti il versante settentrionale. Giunto presso
un’ampia curva (quota 830 e segno CAI) lascio l’auto. La temperatura è
gradevole, calzati gli scarponi, zaino in spalle e Magritte al fianco si parte.
Il primo tratto di sentiero presagisce il profilo selvaggio dell’escursione. Un
cartello CAI (sentiero 729) indica approssimativamente quanto tempo occorre per
raggiungere la forcella Dolina. La vecchia mulattiera supera i ruderi di alcuni
stavoli, segno dei tempi e dell’eterna lotta tra l’Uomo e la Natura. Il
sentiero è comodo e con leggera pendenza risale la valle solcata dal rio Vodizza.
Su un masso indicazioni per il 729. Con il guadagnare di quota mi inoltro nel
bosco dove gli alberi di nocciolo vengono sostituiti dai faggi. Percorro parallelamente
il greto del torrente, con una serie di svolte risalgo il fianco occidentale
del bosco guadagnando il prato che ospita le casere di Noacco e Tasaoro (quota
1264 m.). Tra gli edifici scorgo una coppia di escursionisti che hanno
pernottato in tenda, mi avvicino ,simpaticissimi: lui francese, lei bielorussa.
Dopo il pernottamento si apprestavano a completare il giro proseguendo per la
valle dei Musi. Conversiamo in inglese, sicuramente il mio è maccheronico. È straordinario,
bastano pochi istanti per istaurare rapporti di fratellanza. Loro vivono a
Vienna, amano la zona. La montagna non ha confini, né bandiere e né colori.
Essa è libera e unisce chi è libero. Dopo lo scambio di mail mi congedo dai
nuovi amici chiedendo informazioni sulla percorribilità del percorso che mi
accingo a fare. Il sentiero si inoltra nella valle del Tasaoro. Raggiunto un
cartello con diramazioni: a sinistra il sentiero 729 per la forcella Dolina, a
destra l’alta Via C.A.I Gemona, che percorrerò al ritorno. Seguo il 729, che
mira alle pendici settentrionali del Monte Postoucicco. Dopo pochi metri la
prima neve, mi sarà compagna fino a sotto la forcella. Il sentiero non è
difficile, ricalco le orme degli amici lasciati alla casera. Risalendo il bosco
e superando alcuni nevai arrivo in breve tempo alla forcella Dolina. Il sole
picchia, cammino in canotta. Un istante ad ammirare il sentiero che scende fino
al borgo di Cesariis e uno sguardo al prosieguo. Un bollo rosso mi invita a
cavalcare la cresta a sinistra, così inizia il tratto più avventuroso. Da
subito intuisco quale sarà il motivo conduttore “la cresta”, che da oriente a
occidente percorrerò come un funambolo. L’entusiasmo è a mille e le forze ci
sono, parto con gioia. Da subito assaporo l’esposizione sul versante
meridionale dell’’affilata cresta. Mi arrampico su un ripido esposto (rocce e
zolle con passaggio di primo grado basso) che mi porta all’antecima del
Postoucicco. Una crestina articolata la divide dalla cima principale, attraversando
i mughi la raggiungo. Nessuna croce (quota 1611 m.), solo un piccolo ometto e
una cassetta con libro e timbro di vetta. Magritte è sorridente, in cuor suo pensava
di aver raggiunto la meta, ma siamo solo all’inizio. In uno scatto fotografico
ho racchiuso le tre cime e il percorso impegnativo che ci attende. Proseguendo sulla
cresta dalla prima cima seguo il crinale fino a intravedere un lastrone molto
inclinato e affilato sul versante settentrionale, scendo fino al margine di un
ghiaione, l’operazione non è facile a causa di un nevaio che copre la traccia.
Con intuito supero l’ostacolo, risalendo il tratto inclinato e sbucando tra i
mughi, così guadagnando il vertice. Osservo la mole del monte Laschiplas,
prossimo obiettivo. Dopo aver percorso l’affilato tratto tra rocce, con una
serie di saliscendi tra i mughi aggiro un costone roccioso (sempre sul versante
nord), scendendo per alcuni metri (nevaio) e un’ulteriore risalita tra i fitti
mughi che mi riporta sulla frastagliata cresta che precede la cima del monte
Laschiplas. La fatica ora si fa sentire, non tanto per il chilometraggio, ma
per via delle tracce: difficili da individuare o inesistenti. Sulla seconda
cima non c’è croce e ne ometto, breve sosta per rifiatare e mi avvio per
l’ultima cima. Dall’alto mi rendo conto che mi attende il tratto più complicato
e infido dell’escursione. Dopo essere sceso alcuni metri mi trovo sul filo del
precipizio: a sud le verticali pareti di roccia, a nord un impraticabile muro
di mughi. Cerco la soluzione migliore, ravanando la trovo tra i mughi: un segno
rosso nascosto dalla vegetazione mi invita a superare il salto a destra,
scendendo per alcuni metri tra zolle e roccette, così raggiugendo un esposto
intaglio, e successivamente risalendo sul lato opposto. Dopo aver riguadagnando
la cresta per l’ennesima volta, proseguo mantenendomi a filo sull’esposto
versante meridionale fino a raggiungere la base dell’antecima del Cuel di Lanis.
Uno sguardo alla non più lontana meta, sul cui vertice scorgo due escursionisti.
Mi appresto all’ultimo tratto, dall’apparenza semplice, ma che si rivela più
complesso. Sotto la cima con una ansa molto ardita il sentiero prosegue a
sinistra sull’esposto pendio meridionale. Un paletto mi invita a osare il
passaggio, che eseguo con tutta l’adrenalina che ho in corpo. Superato questo
ostacolo scorgo un paletto che mi porta in cima. Con cautela affronto l’ultimo
tratto, sento la meta vicina. Pochi passi ancora ed eccomi sulla cupoletta sommitale,
avvisto la piccola croce in legno, e così le fatiche volgono al fine. Fatta!
Fatta! Stanco, stanchissimo, anzi stanchi morti, ma vincitori. E’ stata dura! Zaino a terra, e di seguito anche noi crolliamo.
Che grande gioia, le batterie si ricaricano, lo spirito si illumina,
l’autostima cresce. Il bel tempo regge, accanto la croce una cassetta in
metallo. Tiro fuori dallo zaino le provviste, festeggiando il mio compagno e la
sua centesima cima. Magritte è stato un “Grande”, si è superato. Finalmente posso ammirare lo splendido
paesaggio: i Musi, le Giulie slovene e il Canin. firmo il libro di vetta, leggendo
alcuni commenti precedenti. I due escursionisti che avevo notato in cima mi hanno
commosso, nel loro scritto hanno dedicato l’escursione a quelli che 40 anni fa
persero la vita. La vita è bella e va vissuta. Come molti sanno l’epicentro del
sisma non è stato Monte San Simeone, ma i Musi. La natura a volte è crudele.
Che enigma! Sotto questa montagna si è scatenato il sisma che ha scosso l’intera
regione. Provo ammirazione per chi mi ha preceduto, non odiano la montagna, ma l’amano
malgrado tutto. Dopo essermi riposato e rifocillato riprendo il cammino,
scendendo dal versante settentrionale. Il
sentiero è meno impregnativo, passo sotto una parete rocciosa, portandomi nella
sottostante valle innevata. Seguendo le tracce sulla neve, procedo lentamente,
così raggiungo il bivio dell’andata. Passando per la casera di Tasaoro una sensazione
di melanconia mi assaliva, quegli amici conosciuti per pochi istanti già mi
mancavo, e del loro passaggio non rimangono che i buchi dei picchetti. L’escursione
volgeva al termine, scoprendo nel bosco forme antropomorfe. Accompagnato dal
canto dei cuculi raggiungevo l’auto, stanco, anzi stanchi ma soddisfatti.
Il vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
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