Anello del Monte
Cuzzer.
Note tecniche.
Localizzazione: Val Resia / Prealpi Giulie.
Avvicinamento: Gemona- Resiutta- Val Resia-San
Giorgio-Biforcazione località Tigo-Sostare l’auto presso un ponticello sul
Torrente Resia.
Punto di Partenza: Ponticello sul Torrente Resia 350 m.
Dislivello complessivo: 1200 m.
Distanza percorsa in Km: 14,5.
Quota minima partenza: 350 m.
Quota massima raggiunta: 1462 m.
Difficoltà: Escursionisti esperti.
Segnavia: CAI 707, 703.
Fonti d’acqua: Si.
Attrezzature: Cavi passamano (in cattivo stato)
Cartografia consigliata. Tabacco 020.
Periodo consigliato: da aprile a ottobre.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato
Data: 16 aprile 2016
Il vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
Sono passate
tre settimane dal tentativo sul monte Cuzzer, il pensiero è rimasto fisso
sull’immaginaria cresta, sperando in un esito positivo mi appresto ad un altro
tentativo.
La mappa è
la stessa, l’itinerario lo deciderò all’ultimo, non ho preparato nessun piano
B, voglio il Cuzzer e il Cuzzer sarà.
Arriva il
sabato mattino, il meteo è variabile, ma non mette pioggia, approntato il
materiale si parte in direzione Gemona. La strada che da Lestans porta a Gemona
è una delle direttrici che percorro spesso per andare in montagna. Dopo la
frazione di Pinzano supero il Tagliamento sul famoso ponte storico, ed è un bel
vedere: le acque azzurre, le bianche ghiaie e i monti in lontananza. Attraverso
in sequenza una serie di piccoli borghi, ammirando il sole nascente e i suo
raggi che illuminano la bellissima cittadina di San Daniele, Osoppo e in
lontananza le Prealpi Giulie, dominate dall’inconfondibile mole del Chiampon. Sogno
ad occhi aperti, saluto tutte le cime, è uno spettacolo, un caleidoscopio di
ricordi. Chiampon, Brancot, San Simeone, Amariana, Plauris, Pisimoni e Zuc dal
Bor, solo per citarne alcune, vecchie conquiste, ricordi ancora vivi. Magritte
è silenzioso, chissà cosa pensa il mio compagno di viaggio! In settimana
andando a ritroso nell’album dei ricordi e segnando le escursioni in sua
compagnia, ho fatto la piacevole scoperta che ha raggiunto le 94 cime come
prime, e con alcune ripetute ha superato le 150. Eroico il mio lupetto, commovente,
il mio inseparabile amico, tanti sogni ed emozioni condivise. Per entrambi la
montagna è libertà, sentiamo il suo richiamo, è più forte di qualsiasi altra
emozione, impossibile spiegarla questa sensazione se non la si sente. Giungiamo
nella Val Resia nelle prime ore del mattino, nel cielo azzurro si alternano nuvole
bianche, fino a nascondersi dietro le cime dei monti più alti. Le prime
immagini non sono incoraggianti, sui versanti settentrionali persiste ancora molta
neve. Mi spingo oltre la località di Tigo, risalendo la rotabile che si
addentra nella valle di Uccea, per osservare il monte Cuzzer sul versante
meridionale. La visione mi conforta, la neve persiste solo a sprazzi sulla
cresta, il dado è tratto, si va in cima. Trovato parcheggio poco dopo il
ponticello in località Tigo, indosso subito le ghette, zaino in spalle e Magritte
al seguito si parte. Superata la simpatica passerella sul torrente Resia, si
gira a sinistra seguendo le indicazioni per la località “Case Gost” sentiero
CAI 707. Il piccolo sentiero perde quota rasentando il letto del torrente e
dopo aver superato una colata detritica comincia a guadagnare quota dentro il
boschetto fino a raggiungere la piccola località di Gost. Una fontanella è
posta ai margini della carrareccia che percorrerò solo per poche centinaia di
metri. Una panchina in legno e un piccolo spiazzo inerbito sono l’inizio del
sentiero che mi porterà sul Cuzzer. Abbandonata la carrareccia comincia il
tratto faticoso. Dopo aver superato un piccolo impluvio inizia il sentiero
dedicato all’alpinista e finanziere “Claudio Vogric” dal gruppo “I Ghiri di Resia”
(Targa commemorativa posta su un grande masso). La pendenza è da subito
sostenuta, non dà tregua. Si risale il ripido pendio boschivo con un interminabile
serie di tornanti. Breve sosta panoramica sulla piccola forcella, lo sguardo
vola alla catena montuosa dominata dal Zuc del Bor. Ripreso il cammino risalgo
il ripido spallone raggiungendo il sito che tre settimane fa mi bloccò. Ora è
sgombro da neve, osservandolo il tratto esposto mi rendo conto che la scelta di
rientrare fu azzeccata. Un’esile cengia supera due volte lo stesso impluvio
(attrezzato con cavi malandati) e la stessa aggirando il costone sempre molto esposta
risale fino alla faggeta (altri cavi passamano). Il sole illumina il sentiero, che
con piccole svolte solca la ripida faggeta fino ad arrivare sulla cresta. Mi
accoglie un paesaggio dissestato, alberi brulli, molti schianti, seguo le rade
tracce risalendo la cresta boschiva. Dopo alcune centinaia di metri compare la
prima neve, la sua visione non mi è gradita. Il cammino diventa più complicato,
seguo i segni sugli alberi o sui massi, risalendo sul versante occidentale il
lungo crestone che prende il nome di “Scarbina Grande”. Di tanto in tanto in lontananza
affiora tra la vegetazione la vetta del Cuzzer. Giunto poco sotto la cima,
vengo tratto in inganno da un traverso su un ampio nevaio, dopo averlo superato
con qualche patema perdo le tracce. Conquisto
una crestina aiutandomi con i mughi, e scopro di aver la vetta del Cuzzer alle
spalle. Ritorno indietro sulle mie orme, mi fermo all’ultimo segno CAI e osservo
intorno. Ecco sopra un ripido ed esposto nevaio scorgo un segno biancorosso. La
neve ha sepolto l’erto sentiero, devo assolutamente risalirlo. A colpi di
scarponi scavo degli incavi sulla parete verticale fino a guadagnare il vertice
del nevaio. L’adrenalina è costante, risalendo l’intero camminamento innevato
arrivo sotto la cupoletta settentrionale del Cuzzer. Ad essa mi collega un’esile
cengia esposta d’ambo i lati sui vertiginosi versanti. Il suo aspetto verticale
m’incute timore, il sentiero è completamente sepolto dalla neve. Sfrutto i radi
mughi e qualche spigolo roccioso per arrampicarmi sulla parete esposta a
settentrione, evitando il piano verticale, una scivolata sarebbe fatale. L’idea
anche se ardita si rivela la più sicura e vincente, raggiungo con il batticuore
la cresta sommitale, percorrendo gli ultimi tratti di sentiero che mi separano
dall’enorme croce in ferro. Mi fermo per una meritata pausa, scarico la tensione.
Arrivano folate di vento, mi copro a dovere, scattando molteplici foto,
compresa la rituale di vetta. Il paesaggio è stupefacente. A meridione il
versante settentrionale della catena dei Musi. Le riconosco tutte le cime, dal
Cadin allo Zaiavor, tanti ricordi ed emozioni avvolgono la mia mente. A oriente
osservo il Canin avvolto dalle nuvole, parzialmente innevato. Il cielo si va
oscurando, mi affretto per la ripartenza, la complessa cresta del Cuzzer mi
aspetta. Scendo dalla cima principale percorrendo il sentiero sul versante
meridionale, percorso agevole malgrado l’esposizione a sud. Aggiro una cima
intermedia fino a raggiungere l’antecima. Qui trovo un passaggio di primo grado
con cavo. Sorrido, osservando che il tratto descritto come il più rischioso da
molte relazioni, alla fine si rivela il più facile. Superato quest’ultimo sembrava
che le fatiche fossero finite, invece una cattiva sorpresa mi aspettava dietro
l’angolo. Un muro di neve insormontabile che rasentava il ciglio della cengia,
lasciando solo un paio di centimetri, per poi confluire in un grande nevaio
esposto a nord e ripidissimo. Un attimo di panico, mi fermo a riflettere,
indietro non torno di sicuro, mi studio l’ostacolo. Penso dapprima di calzare i
ramponi, tirare fuori la picca e continuare di traverso, ma riflettendoci la
neve fradicia non reggerebbe una mia caduta, allora passo al piano B. Risalgo
il muro di neve, aiutandomi con i mughi usati come corde, camminando sopra il
muro di neve, sfruttando gli spazi vuoti tra la roccia e la neve. L’idea benché
ardita, funziona! Avanzo per un centinaio di metri sul nevaio, fino a intravedere
il catino, esposto sì, ma meno pericoloso. E Magritte? Era rimasto indietro,
inforcando occhiali da sole, si godeva il paesaggio, un mio fischio perentorio
lo ha ricondotto al suo ruolo di fedele paggio indivisibile. Estraggo per un attimo i guanti, mi studio il
successivo percorso. Una dolce voce mi chiama: << Ciao Malfa, bentornato,
come stai? vedo che sei caparbio, non molli, bello quel paio di guanti, me lo regali?>>
Un po’ nervosetto, ma poi con un sorrisetto le rispondo. <<Buongiorno,
signora montagna, sto bene. Come ha visto, non mi sono arreso, ma si diverte
così tanto a crearmi ostacoli? Sa bene che trovo il lato positivo in tutto, anche
in questa esperienza. Non mollo, mi conosce bene, come cantava John Lennon” non
ci sono problemi, ma soluzioni”, quindi proseguo. I guanti? Mah, oggi non li
meriterebbe, ma come si fa a dire di no ad una bella signora, capricciosa, ma
sempre bella. Dopo i due lupetti, le dono questo paio di guanti. Ora mi devo
congedare da lei, il meteo tende ad un peggioramento, il tempo stringe, un caro
saluto. >> Cosi dicendo mi congedai dalla montagna, affrontando il catino
innevato e raggiugendo la cupoletta sommitale dell’antecima. Breve sosta, ripresomi
dallo stress, mi gusto il paesaggio. Il mio caro amico riposa un attimo,
dormendo sopra una piazzola d’erba. Stanco, ma beato, chissà se ha sentito la
voce della montagna. Breve ma salutare sosta ad ammirare il paesaggio da un
altro punto di vista, riprendo lo zaino per affrontare la seconda parte
dell’escursione. Una lieve traccia scende a meridione tra il bosco di faggi raggiungendo
la forca di Tasacuzzer, materializzata da cartelli divelti, con indicazioni CAI.
La mia meta è a oriente, seguendo il sentiero 707 con indicazioni per il borgo
Lischiazze. Dalla forca mi calo nel canalone, un ripido sentiero che nel primo
tratto percorre il letto innevato di un impluvio, e successivamente perdendo
quota guadagna la base di un costone. Ambiente selvaggio, unico. Di fronte a me
le verticali pareti settentrionali dei Musi sono sempre più vicine. Un’esile
cengia percorre parallelamente le dirupati pareti meridionali del Cuzzer, attraversando
un tratto macerato, per poi entrare nel bosco. Ora il sentiero è più comodo,
adombrato dalle foglie dei faggi, scende il meno ripido versante, innestandosi
sul sentiero proveniente da destra con numerazione 703. I colori del bosco sono
intensi, la traccia è ben marcata, in breve dopo aver superato un tratto di vegetazione
con affioramenti carsici, guado un torrente secco, ritrovandomi sulla vecchia
carrareccia che si innesta dopo poche centinaia di metri sulla rotabile che
dalla val Resia porta alla Valle dell’Uccea. Mi fermo spesso ad ammirare le
cime, ammiro il piccolo borgo di Lischiazze. Un abbaiare di cani e lo sguardo
di alcuni vallegiani segna il tempo del nostro passaggio. Le fatiche sono quasi
finite, penso che non abbiamo pranzato. Deviando per la diramazione dopo pochi
saliscendi raggiungiamo il borgo di “Case Gost”, una panchina ci invita a
sostare. Mi fermo, il mio compagno è esausto, ci sediamo sulla panca, estraggo
fuori dallo zaino i viveri. Faccio mangiare prima il lupacchiotto. Penso: <<
Ho fatto tutto questo giro soltanto con un fico secco nello stomaco, Magritte nemmeno
quello.>> Breve pausa, rifocillati, si riprende il cammino per l’ultimo
quarto d’ora che ci separa dall’auto. Nel frattempo incrociamo un anziano
boscaiolo, intento a spaccare legna. Lo saluto, ricambia. Mi riconosce, era
quello di alcune settimane fa, mi chiede se ho raggiunto la cima! Gli rispondo
di sì e che l’escursione meritava. Gli chiedo quanti anni ha. Mi risponde: << Quanti me ne da?>> Provo a
indovinare, e sparo 85 anni, sperando di compiacerlo. Non l’avessi mai detto!
Il Suo volto si contorce in una smorfia di delusione, mi risponde che ne ha solo
70, mentre l’ascia che impugna rotea pericolosamente nella mia direzione. Mi
congedavo dal non “tanto anziano” boscaiolo, sperando che dimenticasse in
fretta la mia gaffe. Questo mi serva da lezione. Come con le donne, spesso per compiacerle, convien
sparare cazzate ed essere adulatori nell’abbassare gli anni, più tosto che
rischiare la vita con la cruda sincerità. Percorrevo gli ultimi metri di
sentiero, attraversando il ponticello sul torrente Resia da vincitore. Come gli
antichi Romani, immaginavo che esso fosse un arco di trionfo, sentivo le trombe
dell’Aida squillare, dimenticando presto la delusione della precedente
escursione.
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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