Monte Palavierte 1785
m.
Note tecniche.
Avvicinamento: Tolmezzo-Illegio- Rotabile per Pra di Lunge
Punto di Partenza: Pra di Lunge (Spiazzo con cartello CAI)
Quota 918 m.
Dislivello complessivo: 876 m.
Distanza percorsa in Km: 9 km.
Quota minima partenza:918 m.
Quota massima raggiunta: 1785 m.
Tempo percorrenza: 2,45 h in salita; 2 h in discesa.
Difficoltà: E.E.
Segnavia: CAI 412.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Attrezzature: Nessuna.
Cartografia consigliata.
Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno.
Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.
Condizioni Meteo: Ottime
Data: 25 aprile 2016.
Il vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
Relazione:
Cima, voglia
matta di cima, di fatica, di solitudine, di infinito, di silenzio, di
selvaggio, di fare pace con Dio, e di sentirmi un tutt’uno con l’universo.
Forse il meteo dà una tregua per il 25 aprile, ho delle mete in mente, tra quelle
che mi attrae di più è il monte Palavierte, per il suo aspetto selvatico. Da una settimana ho preparato lo zaino,
aspettando il giorno dell’escursione.
Lunedì
mattina sveglia presto come sempre, uno sguardo fuori dalla finestra, il cielo
è libero da nuvole. Il giorno prima ha nevicato, rendendo incerta la meta che
avevo prefissato, per questo nella dotazione dello zaino aggiungo la piccozza e
i ramponi. Solito tragitto fino a Tolmezzo, ammirando l’Amariana imbiancata,
questo non mi mette ottimismo, mi accorgo di aver dimenticato la mappa della
meta sullo scanner. Niente di grave, ho una tabacco in scala 1:100:000 con i sentieri
CAI regionali sempre in auto; e nel GPS ho caricato la cartografia aggiornata
della sentieristica italiana. Arrivato a Tolmezzo, girovago un po’ a causa dell’interruzione
della strada che porta a Illegio, con un po’ di peripezie trovo la strada. Percorrendo
la rotabile mi inoltro nella piccola valle dominata dal monte Strabut e dall’Amariana,
fino a raggiungere l’ampia distesa prativa di “Pra de Lat”. Splendida visione sui
monti occidentali, mi fermo, scendo dall’auto ammirando questo paradiso. Ripreso
il cammino supero il piccolo borgo di Illegio, seguendo la rotabile un po’
dissestata che mi porta dopo una serie di tornanti nella località di Pra di
Lunge. Sulla destra della rotabile lascio l’auto in uno spiazzo (cartello con
indicazioni CAI per la cima) quota 910 m. Calzati gli scarponi e le ghette,
zaino in spalle si parte, con Magritte (fedele compagno) al seguito. Il primo
tratto di sentiero è un ampia carrareccia che si inoltra nel bosco di faggio.
Dopo una serie di tornanti la traccia assume la forma di un sentiero ben
marcato che con moderata pendenza, risale il fianco occidentale del monte
Palavierte, guadagnando in breve la forcella “Cuei di Fur” (quota 1196 m)
materializzata dai resti di una baracca in legno. Il sentiero aggira il costone
fino a raggiungere le rocce di un magico sito. Enormi macigni posti come
sentinelle a un mondo ultraterreno. La sensazione è strana, magica, sto
sognando. Sono inebriato e beatificato, illuminato dai raggi del sole che
filtrano tra i giganti di pietra, come un metafisico trapasso. Superati i
macigni mi appare un mondo nuovo, surreale. Un paesaggio invernale, la magia
del luogo, mi ritrovo improvvisamente in pieno inverno. I raggi solari
scaldano, sciolgono la neve. Piove! Ma il cielo è limpido e azzurro, folate di
lieve vento spruzzano i fiocchi bianchi, sto sognando ad occhi aperti.
L’azzurro contrasta con il bianco, le dolomitiche guglie aggiungono magia al
paesaggio. Il sentiero anche se ben marcato è ricoperto da morbida neve,
l’esile traccia solca la valle. Il passo è sicuro, risalgo l’erto pendio
portandomi sotto le rocce, e di tanto in tanto, mi fermo incantato a guardare le
meraviglie del paesaggio, non sento fatica, sono affamato di bellezza,
insaziabile, riempio gli occhi e il cuore, sto bene! Divinamente bene. Raggiunti
i bastioni meridionali del Palavierte, un cartello spartano mi indica che le
direzioni da seguire sono due: a sinistra per il monte Palavierte, a destra per
il Cuel Maron, altra bella cima che domina il paesaggio. Proseguo a sinistra
risalendo un piccolo canalino roccioso, rasentando la parete, e successivamente
raggiungo la forcella invasa da mughi. La cima è molto vicina, alla mia sinistra,
ma mi aspetta una sorpresa non gradita: cinquanta metri di nevaio quasi verticale
e molto esposto, che mi separano dalla cresta del monte. Senza perdermi d’animo,
estraggo dallo zaino la picca, e aiutandomi con i mughi risalgo il bordo del
nevaio, fino a raggiungere il suo culmine, dove ritrovo il sentiero. Le ultime
zolle d’erba e sono in cresta. Una piccola cima (quella più alta) mi separa dalla
cima più bassa. La raggiungo tramite un’esile ed esposta crestina. Momento
magico, adagio a terra lo zaino, accanto alla croce, mi guardo intorno. Il
silenzio mi avvolge, violato a volte da raffiche di vento, circondato dal mondo
intero, attimi che ti fanno percepire la grandezza dell’universo e la pochezza
dell’essere umano. Solitamente per le escursioni parto con ottimi propositi,
sereno, i problemi eventualmente ce ne fossero, li lascio a valle.
La montagna
mi dà energia positiva, beatitudine. Se il mattino, prima di salire sono felice,
al ritorno sono in estasi. Saluto tutto ciò che si muove, e conservo questa
energia il più a lungo possibile, ricordando che sono un uomo: non una
matricola, un mestiere, un sostantivo, o altro. Sono un uomo immerso in quell’immensità
che qualcuno chiama Dio, “la Montagna”. Ripresomi dall’emozione, dopo aver
firmato il libro di vetta e aver effettuato delle foto, mi appresto per il
ritorno. Calzo i ramponi, per avere più “grip” nella discesa. Superato
l’ostacolo maggiore (il nevaio) effettuo una breve pausa per ricaricare le
energie, mi fermo sotto la cresta, in una piccola zolla d’erba. Mi rilasso, lasciandomi
baciare dal sole primaverile, che scalda, sciogliendo rapidamente la neve. Sazio
il mio compagno, io non ho fame, l’adrenalina e l’autostima prodotta dalla
conquista della cima ha saziato la mia fame. Ripreso il cammino una piacevole
sorpresa mi attende, il sole ha sciolto quasi del tutto la neve lungo il
sentiero. Che strana sensazione, come se avessi vissuto in due mondi paralleli,
l’essenza della mia vita, un esistenza da funambolo. Ora mi ritrovo in
primavera, i colori sono brillanti. Ripasso dai grandi macigni come se
ritornassi da un'altra dimensione, in lontananza la bella Amariana mi sorride, “Dea
dolomitica amata e desiderata tante volte”. Rientro nel bosco di faggio, percorrendo
a ritroso il sentiero dell’andata. La mente vaga negli ultimi pensieri liberi del
mondo incantato. Penso alle qualità che dovrebbe avere un escursionista per
poter godere dei favori della montagna. La prima qualità è sicuramente
l’orientamento: indispensabile, senza di esso sei schiavo di qualcosa o di
qualcuno; non essere liberi in montagna non va bene. La seconda qualità è il rispetto
verso tutto ciò che ti circonda: raccogliere le carte di caramelle abbandonate,
spostare i rami secchi al di fuori del sentiero, dare la precedenza a chi sale,
ascoltare la “voce” della montagna. La terza e non meno indispensabile è la
sincerità, verso noi stessi e verso gli altri. Se non si possiedono queste
qualità, diventa futile scrivere belle parole o vantarti. Dopo le riflessioni “post
cima”, raggiungevo l’auto e vista l’ora che non era tarda, mi concedevo un
pausa contemplativa e fotografica, ammirando la bellezza che mi circondava.
Rientrando, lungo la strada, ammiravo “L’Amariana”, la bella Dea che oggi mi ha
accompagnato durante l’escursione.
Il vostro
“Forestiero Nomade”.
Malfa.
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