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venerdì 7 ottobre 2022

Anello del monte Ciavoleit da Toppo.

Anello del monte Ciavoleit da Toppo.

 

Localizzazione: Prealpi Carniche-Il Sito Monte Ciaurlec e Forra del Torrente Cosa” si trova nel cuore del Friuli-Venezia Giulia. Il sito occupa una superficie di 874 ha, distribuiti nei comuni di Castelnuovo del Friuli, Clauzetto e Travesio Il Sito, compreso interamente nella provincia di Pordenone, si sviluppa tra la quota minima di 258 m e la massima di 1120 m s.l.m. Nelle vicinanze della cima del Monte Ciaurlec: a sud del sito si trovano gli abitati di Toppo, Travesio, ad est quelli di Castelnuovo e Clauzetto mentre a nord è chiuso dalle pendici meridionali del Monte Taiet.

 

Avvicinamento: Lestans- Usago-Toppo- Ampio parcheggio a monte della frazione, presso la carrareccia che affluisce ai ruderi del castello.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia.

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Dislivello: 675 m.


Dislivello complessivo: 713m.


Distanza percorsa in Km: 13


Quota minima partenza: 250 m.

 

Quota massima raggiunta: 907 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4,5 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione:  paesaggio-naturalistica

 

Difficoltà: Escursionistiche

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: CAI 850- 819- sentieri remoti ad uso di cacciatori.

 

Fonti d’acqua: si, fontanelle presso la casera Tamer Bassa

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: contenitore in vetro con libretto per viandante.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: Tabacco 028.
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato:  Tutto l’anno

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

 

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato

 



Consigliati:

Data: lunedì 03 ottobre 2022

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Quando sono a corto di idee e non voglio fare chilometri per raggiungere la montagna, mi basta alzare lo sguardo dal tavolo da dove vi sto scrivendo e trovo subito l’ispirazione. Dalla finestra del mio piccolo studio la visione è protratta a nord, e la prima elevazione che ammiro è il monte Ciaurlec. Il Ciaurlec è stata la mia palestra di natura, il mio primo punto di fuga verso la montagna, e anche la prima elevazione che ho conosciuto in Friuli. Al mio arrivo in regione nel 1985 come sergente di artiglieria, fui assegnato a Vacile, al glorioso 12° Gruppo Capua, ed era logico e naturale eseguire le esercitazioni a fuoco sul  più vicino poligono di tiro posto proprio sul Ciaurlec. Allora per me le montagne erano solo dei rilievi insignificanti, e tutto notavo in giro tranne le bellezze naturali del Ciaurlec. Durante i poligoni ( c’era ancora la leva) si prestava più attenzione a non farsi del male. Insomma, prima di divenire un fervente amante della montagna, sono stato artefice anche di azioni poco gradite alla stessa montagna. Come quasi tutti gli esseri viventi, durante la vita sono destinati a espiare le colpe, ed eccomi dopo vent’anni a dedicarmi alla manutenzione dei sentieri sullo stesso monte. Non nascondo che provavo un po' di vergogna quando passavo con i miei compari di manutenzione accanto alle recinzioni arrugginite con i cartelli militari di divieto di accesso. Il  poligono è chiuso ormai da anni, ma percepisco che le pene da espiare sono infinite, come l’amore che provo per questa grande montagna, e quando posso mi catapulto sul massiccio, cercando sempre zone nuove da esplorare. È proprio vero che spesso i più validi poliziotti sono ex delinquenti, lo stesso vale per la passione per la montagna. L’amore che nasce dal dolore a volte è più intenso, perché ha conosciuto la sofferenza. Questo amore fatto di roccia, flora e fauna si chiama Ciaurlec.

L’ultima relazione che illustro è un’idea nata nelle recenti incursioni sul monte, da quando ho letto  il nome Monte Ciavolet sulla mappa. Non ci sono mai stato, quindi ideo un anello con partenza e arrivo da Toppo. Nel tratto iniziale percorro il sentiero  Cai 850, che conosco benissimo, visto che lo abbiamo ideato quasi vent’anni fa assieme agli amici Giorgio e  Tino, e che ha visto molti dei nostri fine settimana a ravanare per liberare l’antico sentiero dagli arbusti e ramaglie.  Partendo da Toppo, insieme alla mia signora, percorriamo in senso orario l’appena citato sentiero CAI. Tralasciamo il primo bivio, da dove arriveremo di ritorno da casera Valinis, proseguendo per la casera Tamer bassa, breve sosta e lasciamo un libro per i viandanti. Proseguiamo sempre  tramite l’850, nell’adombrato bosco. In molti meandri rivivo la compagnia degli ex compagni di ventura, le risate riecheggiano nell’aria, e a volte mi par di essere tornato indietro nel tempo. Malgrado siano passati tre lustri i segni dei nostri tagli permangono. Al secondo bivio, lasciamo il sentiero ufficiale, continuando per quello segnato a tratteggio e in nero sulla mappa che conduce  a incrociare il sentiero 819 proveniente da Casera Valinis. La traccia è ben leggibile e si nota sin da subito che è meno frequentata dalla massa. Sto attento alle varie peste, verso quota 915 metri, dovremmo virare per una che conduce al monte Ciavolet. Infatti, con una precisione millimetrica, troviamo la seguente traccia che con un percosso a ritroso si abbassa di quota fino a condurci alla base del monte. Troviamo tra i rovi i resti di un rudere in parte edificato sulla roccia, un’altra presenza di un passato remoto che ci emoziona. La vetta è poco sopra, cerchiamo una traccia che ci conduca ad essa. La pista si biforca, noi seguiamo quella che conduce a occidente, e poco dopo udiamo delle voci, sempre più vicine; pochi minuti dopo un plotone di teutonici amanti del parapendio marcia incrociando il nostro cammino. Donne e uomini che poco dopo rivivranno il leggendario sogno dell’uomo, quello di volare. La nostra vetta non ha tracce che conducono ad essa, passo dalla modalità di escursionista, a quella di lupo; la mia compagna per esperienza acquisita mi segue fiduciosa, finche nella selva quasi oscura avvistiamo un monolito calcareo, è la cima, quota 907 m. Nessun ometto, nessuna croce, nessun segno, solo questa meravigliosa cuspide calcarea che noi come due primitivi prima di sfiorare adoriamo, come se fossimo al cospetto di un dio, effettivamente la montagna è la nostra divinità. Dopo le nostre rituali operazioni lasciamo il sacro suolo, per avviarci verso Valinis. Nel frattempo, delle strane ombre ci sorvolano, ma non sono uccelli, ma uomini volanti  e festanti. È uno spettacolo vederli volteggiare sopra di noi, ed essi con il loro volo ci indicano la direzione da seguire. Il terreno che percorriamo è volto a sud, quindi caldo e asciutto. Finalmente sbuchiamo nel prato che precede la casera Valinis, ci aspettano l’azzurro cielo, la catena montuosa del Raut e una numerosissima colonia di amanti del parapendio. Senza tanta fantasia siamo al cospetto di un gigantesco stormo di uccelli, molti sono in volo, e mentre alcuni atterrano altri spiccano il volo. Non udiamo cinguettii o gracchiare, ma una lingua strana, che sa di universale. E per una volta gli uomini sono uniti, felici come bimbi, e oggi nei loro volteggi di mille colori, nel cielo, ho letto la parola Pace. La mia signora e io ci fermiamo, incantati da tale spettacolo. In questo periodo storico udire le urla di gioia e in multilingua è diventato un’utopia Non visitiamo la casera Valinis, che ben conosciamo, ma sostiamo presso un gruppo di rocce bianche affioranti, il più bel proscenio da dove poter ammirare il volo di Icaro. Dal mio zaino, tiro fuori il nostro companatico: mafaldine sicule farcite con mortadella bolognese e accompagnate da un buon Nero D’Avola misto a gazzosa,  naturalmente per attenuare il tasso alcolico. Mai pasto fu così buono, e mentre gustiamo il cibo riempiamo gli occhi dei  voli dei nostri amici che svettano nell’azzurro cielo che si protende sulla splendida pianura friulana.

Il tempo dell’estasi è trascorso, ci aspetta il rientro. Come sentiero di ritorno ho ideato di percorrere parte dell’819 che scende a Sottomonte, per poi virare per una traccia (nera e tratteggiata sulla mappa), che ci riporta a Toppo. Ignoro del tutto il sentiero selvatico, quindi iniziamo le danze. L’819  nel suo tratto alto è spettacolare, chiaramente artificiale, e vista la buona percorribilità e l’andamento aereo, sicuramente è stato utilizzato dai malgari nei secoli scorsi. Dopo aver virato per la traccia nera, quota 774 metri, risaliamo di pochi metri di quota ed eccoci in angolo incantevole, una casera e un abete rosso ci accolgono, luogo meraviglioso, mentre un altro edificio da poco restaurato pare che sia un riparo per i viandanti. Sarebbe facile lasciarsi andare, ma il nostro sentiero prosegue a oriente. Dopo un tratto nel bosco lo stesso esce allo scoperto, scendendo per il ripido pendio meridionale. Sono molteplici gli incontri lungo il cammino con gli escursionisti che ascendono questo sentiero per raggiungere i compagni in volo, con loro fardello pesante e il sole che scalda, li percepiamo affaticati ma felici.  Presso quota 690 metri un'altra casera, questa è fruibile al viandante, ne visitiamo l’interno. Il riparo è fornito di tutte le comodità che può offrire la montagna. In un unico ambiente  ci sono la cucina, il soggiorno e la camera da letto, con un lettino adorno e una sedia, la scena mi rimanda a una nota opera pittorica di Van Gogh. Rimaniamo estasiati, e dopo aver visitato l’interno come se fosse il Louvre, diamo un ‘occhiata all’esterno, dove troviamo una lapide che commemora un signore che da anche il nome alla casera, Pietro Bortolussi, morto di vecchiaia ma in  in Canada. Commovente il ricordo, che denota il forte attaccamento dei friulani con la propria terra natia. Lasciata la casera proseguiamo il nostro cammino, per l’ultima sorpresa dell’escursione, percorrere una meravigliosa e solare anche se breve crestina, che ci conduce  al bivio incontrato in mattinata poco sopra Toppo. L’arrivo alla piccola frazione ci vede felici ed estasiati dal riconoscere che è stata un’escursione sorprendente e piacevole. Oggi abbiamo raggiunto una cima, visitato quattro casere, scovato ruderi, e soprattutto  visto l’umanità felice in volo. La montagna è anche questo, sognare a occhi aperti e immaginare che l’umanità sia una sola e unita in un solo sogno, e il Ciaurlec oggi ha realizzato questa grande aspirazione universale.

 

Il Forestiero Nomade.

Malfa








































































 

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