Monte
Plai e Monte Pezzabona dal Lago di Barcis.
Localizzazione: Prealpi Bellunesi- Catena Cavallo-Visentin - Gruppo Col Nudo-Cavallo -Sottogruppo del Col Nudo.
Avvicinamento:
Lestans- Maniago- Montereale -Val Cellina- Barcis- circumnavigare il lago
tramite la stradina, e sostare l’auto presso il parcheggio che precede
l’ingresso alla Val Pentina.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: PN
.
Dislivello:
600 m.
Dislivello
complessivo:
Distanza percorsa in Km: 8
Quota minima partenza: 418 m.
Quota
massima raggiunta: 927 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
Solitaria
Tipologia
Escursione: Panoramica-selvatica
Difficoltà:
Escursionisti Esperti atti ad agire in ambiente selvatico privo di tracce e
segni.
Tipologia sentiero o
cammino: Carrareccia-sentiero CAI- sentiero di camosci.
Ferrata- no
Segnavia:
CAI
Fonti
d’acqua: si
Impegno
fisico: medio-alto
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: installato
barattolino di vetta.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera estate
3)
4)
Da
evitare da farsi in: con sentiero gelato o fortemente bagnato.
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: martedì 19
aprile 2022
Queste due cimette
sono venute fuori dal noto cilindro delle sorprese. Ho cercato sul web notizie
a digitando i nomi, nessuna relazione trovata. Bene, quindi, in un nuovo luogo sconosciuto
effettuerò la visita di cortesia. La
posizione geografica delle due cimette è al centro di anfiteatro , dove il
perimetro è evidenziato dal Monte Laura, le pendici settentrionali della Pala D’Altei,
e il versante orientale della magnifica cresta che da cima Manera conduce fino al
Col Nudo. Insomma, Monte Plai e monte Pezzabona sono due formichine poco conosciute in un universo popolato da
giganti famosi. Le ho trovate per caso, spero che il fato non mi deluda. Devo partire per
l’escursione dall’argine occidentale del Lago di Barcis, penso che pochi metri
prima di entrare nella Val Pentina troverò sicuramente uno spiazzo adibito alla
sosta.
Il mattino dell’escursione
vago in auto per la Valle del Cellina, e una volta superate le gallerie sono
nei pressi della diga che sbarra il torrente,
così creando il noto lago artificiale. La prima sorpresa è di scoprire un nuovo ponte in metallo che
permette di sostituire il remoto passaggio
sulla diga. Raggiunto l’argine opposto, continuo fino al punto prestabilito dove trovo un
ampio spiazzo. Come avevo intuito trovo le indicazioni per il sentiero delle
Carbonaie. Lo storico tracciato mi renderebbe più facile il primo tratto
dell’escursione, essendo battuto e segnato, ma in mente ho una traccia segnata
in nero e a tratteggio sulla mappa. Ho
voglia di scoprire, quindi non cambio decisione, e mi avvio a monte dello
spiazzo, sulla sinistra, dove diparte una ripida stradina asfaltata che mi
conduce fino a uno stavolo nei pressi della Sorgente del Molinat.
Finito il tratto
asfaltato sono al centro di un teatro boschivo, un’abitazione è alla mia
destra, io mi incammino al centro del vallone, dove trovo una labile traccia
che seguo fino a conquistare la sovrastante cresta. Dal crinale osservo le
pendici orientali del monte Pezzabona, l’ambiente è mirabilmente selvaggio.
Seguo finché mi è possibile le tracce dei
caprioli, compiendo una leggera ansa che mi porta a vagare all’interno del
meraviglioso e fitto bosco, un ambiente ancora intatto. Tale è la magnificenza
del luogo, che mi fermo per un istante ai piedi delle conifere, chiudo gli
occhi e ascolto la dolce armonia del bosco, un’autentica sinfonia, diretta per
l’occasione da un chiassoso cuculo.
Proseguo per la
traccia, finché si congiunge con l’ampio sentiero segnato, quello noto delle
Carbonaie. Pochi metri dopo sono al cospetto della frazione di Lesie. Che
incanto! Il borgo è abitato, ma serba ancora la sua antica naturalezza; dai
vetusti stavoli alla fontana ancora attiva, dal prato che circonda gli edifici
alla legna accatastata. Un incanto. Giro intorno a me stesso, con movimenti
rallentati e cadenzati. Chiudendo gli occhi mimo un girotondo, sono tanto felice,
mi trovo in paradiso, e il magnifico paesaggio che mi circonda lo sta a
testimoniare. Continuo per il sentiero delle Carbonaie, lascio la frazione e mi
dirigo a sud, sino a un bivio, dove lascio il sentiero sicuro. Stavolta cambio
l’approccio assecondando la nuova tipologia del percorso. Sopra di me il ripidissimo e assolato versante
del monte Plai, dentro di me l’universo, ma procedo senza tracce. Decido di calzare i
ramponi da erba, e proseguendo, cerco un barlume di traccia, segni di passaggio
che una volta intraviste di seguito svaniscono. Non mi rimane che ascendere in
libera il ripidissimo versante, zizzagando per diminuire la pendenza, e quando
sia possibile, fermarsi per riprendere fiato presso i radi arbusti. Fa tanto
caldo, e la pendenza non fa che aumentare la sudorazione. I cento metri di dislivello
del ripido pendio lasciano il segno, ma una volta che ho raggiunto l’agognata
cresta gongolo, soprattutto per il proseguo del cammino che ora pare lieve.
Mi districo per la
larga cresta, fino a entrare in un tratto boschivo. Ecco la vetta! Quota 927 m.
materializzati dal nulla, nemmeno un misero sasso, ma è una cima, e quindi le
dedico il meritato tributo, con foto ricordo. Su questo sito non lascio segni
di passaggio, non so il perché, ma mi va di fare così. Continuo per la cresta, e per intuito, qualche parvenza
di traccia stavolta la trovo. Procedo a vista, come le navi in mezzo a una
bufera, di metro in metro, scendendo ripidamente dal crinale e con direzione da
sud a nord, verso il Monte Pezzabona. A
volte la cresta si ampia, altre no, ma imperterrito proseguo, ammirando sia
destra che a sinistra il meraviglioso paesaggio. Non scorgo vie di fuga tranne il logico proseguire
per il crinale, quindi, conquisto la
quota 848 m. L’altura poteva essere battezzata, chissà, Monte Elena per esempio,
visto che la vetta dirimpettaia fa di nome Monte Laura, invece nulla, nemmeno
uno sparuto ometto. Proseguo per la cresta, a volte inerbita altre con la ingombrante
presenza della vegetazione selvatica. Stavolta raggiungo la vetta del monte
Pezzabona (quota775 m.), materializzata da un nervoso faggio, e intorno a esso
tanti sassi. Stavolta mollo lo zaino edificando un bel ometto, corposo, alla
cui base inserisco e custodisco il contenitore per gli appunti di viaggio degli
spiriti liberi. Proseguo l’opera con la collocazione di una rudimentale croce
costruita con rami secchi, molto laconica, come si addice all’ambiente austero.
Qualcuno è contrario a lasciare segni in vetta, malgrado poi usufruisca a gogò di
bolli rossi. Questo sentiero di cresta non ha nemmeno un segno. Penso che faccia
piacere trovare in vetta un ometto, un segno, un barattolo con un blocco note con
delle firme, note o ignote che siano. Il Monte Zerten è un esempio di quello
che voglio rappresentare, leggere la firma di Riccardo Cassin è stata un’emozione
indescrivibile.
Mi godo il paesaggio,
il monte sovrasta il lago di Barcis, e la giornata primaverile è da
incorniciare. Finita l’ampia sosta decido
di continuare per cresta, sempre sperando di non azzardare troppo. La traccia
prosegue a nord, e in un tratto il cammino si fa arduo, dovendo aggirare un bel
salto. Dopo aver superato l’ultimo ostacolo, la ripidezza della quota scema. Avvisto
un edicoletta in legno, è una delle stazioni di una originale via Crucis.
Percorro il sentiero, ben marcato, segnato e intermezzato da altre fermate della
stessa via Crucis. Mi fermo ad ognuna per leggere le frasi, che mi colpiscono
per la saggezza. I temi trattati sono la fedeltà, la sincerità, e naturalmente
l’amore. Il sentiero termina il suo divenire dentro un teatro scalinato in
cemento, è un altare. Constato che mi ritrovo all’interno di una struttura religiosa chiamata Santa Maria.
Con discrezione esco all’esterno del complesso, ritrovandomi sulla stradina
asfaltata che conduce dalla Val Pentina al Lago di Barcis.
Percorro un centinaio
di metri di asfalto, finché raggiungo una zona attrezzata posta sopra l’argine
del torrente Pentina. Tavoli e panche a gogò, non manca proprio nulla, e la
fame si fa sentire. Prima di dedicare il tempo al desinare odo uno scroscio
costante, è la vicina cascata che aggetta le copiose acque nel torrente. Un
autentico spettacolo che completa, come la classica ciliegina sulla torta, la
splendida escursione. Finalmente mi accomodo in uno dei tavoli in legno,
consumo il pasto in santa pace, e di seguito riprendo il cammino. Poco prima
del ponticello che sovrasta il lago di Barcis, incontro una famigliola di
escursionisti: madre, padre e tre virgulti. Gentilmente mi chiedono delle informazioni
sui sentieri in zona, riferisco quello che so, e sull’abbigliamento consiglio che
gli scarponi sono l’elemento che non bisogna sottovalutare. Mi ha fatto piacere
vedere un nucleo familiare al completo in montagna, è un bel modo di affrontare l’esistenza. Congedatomi dai nuovi
amici, riprendo il passo, ammiro da un foro a forma di cuore nel legno il lago
ritratto all’interno e di seguito raggiungo l’auto. È stata una splendida
escursione, ho cavalcato delle piccole cime
sconosciute, e ho pensato al detto che cita” Il vino buono si conserva nelle botti
piccole”. Confermo, e oggi mi sono inebriato di vino buono.
Il forestiero Nomade.
Malfa
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