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venerdì 3 giugno 2022

Monte Plai e Monte Pezzabona dal Lago di Barcis.

Monte Plai e Monte Pezzabona dal Lago di Barcis.

 

 

Localizzazione:  Prealpi Bellunesi- Catena Cavallo-Visentin - Gruppo Col Nudo-Cavallo -Sottogruppo del Col Nudo.

 

 

Avvicinamento: Lestans- Maniago- Montereale -Val Cellina- Barcis- circumnavigare il lago tramite la stradina, e sostare l’auto presso il parcheggio che precede l’ingresso alla Val Pentina.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

 

Provincia di: PN

.

Dislivello:  600 m.

 

Dislivello complessivo:


Distanza percorsa in Km: 8


Quota minima partenza: 418 m.

 

Quota massima raggiunta: 927 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore

In: Solitaria

 

Tipologia Escursione: Panoramica-selvatica

 

Difficoltà: Escursionisti Esperti atti ad agire in ambiente selvatico privo di tracce e segni.

 

Tipologia sentiero o cammino: Carrareccia-sentiero CAI- sentiero di camosci.

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI

 

Fonti d’acqua: si

 

Impegno fisico: medio-alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: installato barattolino di vetta.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato:  primavera estate

3)                

4)               Da evitare da farsi in: con sentiero gelato o fortemente bagnato.

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: martedì 19 aprile 2022

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Queste due cimette sono venute fuori dal noto cilindro delle sorprese. Ho cercato sul web notizie a digitando i nomi, nessuna relazione trovata. Bene, quindi, in un nuovo luogo sconosciuto effettuerò la visita di cortesia.  La posizione geografica delle due cimette è al centro di anfiteatro , dove il perimetro è evidenziato dal Monte Laura, le pendici settentrionali della Pala D’Altei, e il versante orientale della magnifica cresta che da cima Manera conduce fino al Col Nudo. Insomma, Monte Plai e monte Pezzabona sono due formichine  poco conosciute in un universo popolato da giganti famosi. Le ho trovate per caso, spero che  il fato non mi deluda. Devo partire per l’escursione dall’argine occidentale del Lago di Barcis, penso che pochi metri prima di entrare nella Val Pentina troverò sicuramente uno spiazzo adibito alla sosta.

Il mattino dell’escursione vago in auto per la Valle del Cellina, e una volta superate le gallerie sono nei pressi della diga che sbarra il torrente,  così creando il noto lago artificiale. La prima sorpresa è  di scoprire un nuovo ponte in metallo che permette di sostituire il  remoto passaggio sulla diga. Raggiunto l’argine opposto, continuo  fino al punto prestabilito dove trovo un ampio spiazzo. Come avevo intuito trovo le indicazioni per il sentiero delle Carbonaie. Lo storico tracciato mi renderebbe più facile il primo tratto dell’escursione, essendo battuto e segnato, ma in mente ho una traccia segnata in nero e a tratteggio sulla mappa.  Ho voglia di scoprire, quindi non cambio decisione, e mi avvio a monte dello spiazzo, sulla sinistra, dove diparte una ripida stradina asfaltata che mi conduce fino a uno stavolo nei pressi della Sorgente del Molinat.

Finito il tratto asfaltato sono al centro di un teatro boschivo, un’abitazione è alla mia destra, io mi incammino al centro del vallone, dove trovo una labile traccia che seguo fino a conquistare la sovrastante cresta. Dal crinale osservo le pendici orientali del monte Pezzabona, l’ambiente è mirabilmente selvaggio. Seguo finché  mi è possibile le tracce dei caprioli, compiendo una leggera ansa che mi porta a vagare all’interno del meraviglioso e fitto bosco, un ambiente ancora intatto. Tale è la magnificenza del luogo, che mi fermo per un istante ai piedi delle conifere, chiudo gli occhi e ascolto la dolce armonia del bosco, un’autentica sinfonia, diretta per l’occasione da un chiassoso cuculo.

Proseguo per la traccia, finché si congiunge con l’ampio sentiero segnato, quello noto delle Carbonaie. Pochi metri dopo sono al cospetto della frazione di Lesie. Che incanto! Il borgo è abitato, ma serba ancora la sua antica naturalezza; dai vetusti stavoli alla fontana ancora attiva, dal prato che circonda gli edifici alla legna accatastata. Un incanto. Giro intorno a me stesso, con movimenti rallentati e cadenzati. Chiudendo gli occhi mimo un girotondo, sono tanto felice, mi trovo in paradiso, e il magnifico paesaggio che mi circonda lo sta a testimoniare. Continuo per il sentiero delle Carbonaie, lascio la frazione e mi dirigo a sud, sino a un bivio, dove lascio il sentiero sicuro. Stavolta cambio l’approccio assecondando la nuova tipologia del percorso.  Sopra di me il ripidissimo e assolato versante del monte Plai, dentro di me l’universo,  ma procedo senza tracce. Decido di calzare i ramponi da erba, e proseguendo, cerco un barlume di traccia, segni di passaggio che una volta intraviste di seguito svaniscono. Non mi rimane che ascendere in libera il ripidissimo versante, zizzagando per diminuire la pendenza, e quando sia possibile, fermarsi per riprendere fiato presso i radi arbusti. Fa tanto caldo, e la pendenza non fa che aumentare la sudorazione. I cento metri di dislivello del ripido pendio lasciano il segno, ma una volta che ho raggiunto l’agognata cresta gongolo, soprattutto per il proseguo del cammino che ora pare lieve.

Mi districo per la larga cresta, fino a entrare in un tratto boschivo. Ecco la vetta! Quota 927 m. materializzati dal nulla, nemmeno un misero sasso, ma è una cima, e quindi le dedico il meritato tributo, con foto ricordo. Su questo sito non lascio segni di passaggio, non so il perché, ma mi va di fare così. Continuo  per la cresta, e per intuito, qualche parvenza di traccia stavolta la trovo. Procedo a vista, come le navi in mezzo a una bufera, di metro in metro, scendendo ripidamente dal crinale e con direzione da sud a nord, verso il Monte Pezzabona.  A volte la cresta si ampia, altre no, ma imperterrito proseguo, ammirando sia destra che a sinistra il meraviglioso paesaggio.  Non scorgo vie di fuga tranne il logico proseguire per il crinale, quindi,  conquisto la quota 848 m. L’altura poteva essere battezzata, chissà, Monte Elena per esempio, visto che la vetta dirimpettaia fa di nome Monte Laura, invece nulla, nemmeno uno sparuto ometto. Proseguo per la cresta, a volte inerbita altre con la ingombrante presenza della vegetazione selvatica. Stavolta raggiungo la vetta del monte Pezzabona (quota775 m.), materializzata da un nervoso faggio, e intorno a esso tanti sassi. Stavolta mollo lo zaino edificando un bel ometto, corposo, alla cui base inserisco e custodisco il contenitore per gli appunti di viaggio degli spiriti liberi. Proseguo l’opera con la collocazione di una rudimentale croce costruita con rami secchi, molto laconica, come si addice all’ambiente austero. Qualcuno è contrario a lasciare segni in vetta, malgrado poi usufruisca a gogò di bolli rossi. Questo sentiero di cresta non ha nemmeno un segno. Penso che faccia piacere trovare in vetta un ometto, un segno, un barattolo con un blocco note con delle firme, note o ignote che siano. Il Monte Zerten è un esempio di quello che voglio rappresentare, leggere la firma di Riccardo Cassin è stata un’emozione indescrivibile.

Mi godo il paesaggio, il monte sovrasta il lago di Barcis, e la giornata primaverile è da incorniciare.  Finita l’ampia sosta decido di continuare per cresta, sempre sperando di non azzardare troppo. La traccia prosegue a nord, e in un tratto il cammino si fa arduo, dovendo aggirare un bel salto. Dopo aver superato l’ultimo ostacolo, la ripidezza della quota scema. Avvisto un edicoletta in legno, è una delle stazioni di una originale via Crucis. Percorro il sentiero, ben marcato, segnato e intermezzato da altre fermate della stessa via Crucis. Mi fermo ad ognuna per leggere le frasi, che mi colpiscono per la saggezza. I temi trattati sono la fedeltà, la sincerità, e naturalmente l’amore. Il sentiero termina il suo divenire dentro un teatro scalinato in cemento, è un altare. Constato che mi ritrovo all’interno di  una struttura religiosa chiamata Santa Maria. Con discrezione esco all’esterno del complesso, ritrovandomi sulla stradina asfaltata che conduce dalla Val Pentina al Lago di Barcis.

 

Percorro un centinaio di metri di asfalto, finché raggiungo una zona attrezzata posta sopra l’argine del torrente Pentina. Tavoli e panche a gogò, non manca proprio nulla, e la fame si fa sentire. Prima di dedicare il tempo al desinare odo uno scroscio costante, è la vicina cascata che aggetta le copiose acque nel torrente. Un autentico spettacolo che completa, come la classica ciliegina sulla torta, la splendida escursione. Finalmente mi accomodo in uno dei tavoli in legno, consumo il pasto in santa pace, e di seguito riprendo il cammino. Poco prima del ponticello che sovrasta il lago di Barcis, incontro una famigliola di escursionisti: madre, padre e tre virgulti. Gentilmente mi chiedono delle informazioni sui sentieri in zona, riferisco quello che so, e sull’abbigliamento consiglio che gli scarponi sono l’elemento che non bisogna sottovalutare. Mi ha fatto piacere vedere un nucleo familiare al completo in montagna, è un bel modo di  affrontare l’esistenza. Congedatomi dai nuovi amici, riprendo il passo, ammiro da un foro a forma di cuore nel legno il lago ritratto all’interno e di seguito raggiungo l’auto. È stata una splendida escursione, ho cavalcato delle  piccole cime sconosciute, e ho pensato al detto che cita” Il vino buono si conserva nelle botti piccole”. Confermo, e oggi mi sono inebriato di vino buono.

Il forestiero Nomade.

Malfa
































































 

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