Anello
del Monte Oselar dalla Forchia Zuvial (Tramonti di Mezzo PN)
Localizzazione:
Prealpi Carniche- Catena Valcalda Verzegnis- Gruppo Valcalda Taiet- Dorsale del
Valcalda.
Avvicinamento:
Lestans- Toppo-Meduno-Val Tramontina- Tramonti di Mezzo- Indicazioni per la
Forchia Zuvial- Punto sosta presso uno spiazzo sito alla fine della stradina
asfaltata (quota 740 m. circa)
Regione:
Friuli- Venezia Giulia
Provincia
di: PN
.
Dislivello:
636 m.
Dislivello
complessivo: 1020 m.
Distanza percorsa in Km: 13
Quota minima partenza: 740 m.
Quota
massima raggiunta: 1338 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
Solitaria
Tipologia
Escursione: Escursione in ambiente selvatico- con tratti di percorso privi di
segni, e altri con tracce labili
Difficoltà:
Escursionisti Esperti
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero 830 CAI, remoto, che ricalca le antiche vie di accesso alle
malghe- Spesso i sentieri tracciati in nero sulla mappa sono più agevoli,
sicuramente dovuta alla frequenza dei cacciatori. Il sentiero 810 CAI, è abbastanza comodo e
ampio, non presenta nessuna difficolta, direi turistico.
Ferrata-
Segnavia:
CAI 830-815
Fonti
d’acqua: si
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: installato
contenitore per viandanti- spiriti liberi.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati: Ho adoperato i ramponi a sei punte solo nel tratto finale della
vetta del monte Oselar, per via della presenza di ghiaccio.
Data: mercoledì 9
marzo 2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Finalmente è maturato il
tempo di esplorare una parte del territorio della Val Tramontina. Benché il sottoscritto graviti da tempo nella
meravigliosa valle, e sia iscritto da sedici anni alla sottosezione CAI, non mi
ero mai addentrato ancora nel Canale di Cuna, e lo stesso vale per l’Aquila del
Frascola. Sono esperienze alpine note e ambite, che ho rinviato a un futuro
prossimo, ben cosciente che il passare del tempo non giochi a mio favore. Per l’ascesa
al monte Oselar è scoccata la scintilla della curiosità. Notai la sua vetta per
la prima volta dalla cima del Monte Rossa, fu un autentico colpo di fulmine. Durante una precedente
visita in Val Tramontina, ho incontrato il responsabile del CAI locale , gli ho
chiesto delucidazioni in merito alle condizioni della strada forestale che da
Tramonti di Mezzo conduce alla forchia Zuvial; l’amico mi ha tranquillizzato, la
stradina è libera, non vi è presenza di ghiaccio, quindi, inizio il conto alla
rovescia per la conquista. Un mercoledì, il giorno dopo di quello notoriamente festeggiato
dalle donne, parto per l’avventura, ignorando del tutto cosa mi aspetti. Per un
capriccioso snobismo avventuroso, evito anche di indagare sul web. Parto letteralmente
“all’Avventura” per la Val Tramontina, che dista solo 20 chilometri dalla mia abitazione.
Ogni qualvolta che vago
all’interno della splendida valle, il pensiero va al mio maestro di montagna,
Vittorio Pradolin, un uomo speciale, buono, cordiale, gentiluomo di altri
tempi. L’ho sempre considerato come un secondo padre, regnava una stima
reciproca. Confesso, che quando vago per i monti, ho due angeli custodi che mi
seguono nelle peripezie, mio padre e Vittorio, sono la mia autentica sicurezza.
Viaggiare per la valle è emozionante anche per altri aspetti: ogni singola cima
mi rievoca esperienze vissute. Tramonti di mezzo è una sorpresa, la piccola
frazione me la sono lasciata per ultima, per questo stadio particolare della
mia vita. Durante un sopralluogo turistico con la mia famiglia, abbiamo ammirato
le romantiche costruzioni, ed ora è il giunto il momento che mi inoltri in
profondità, sino alle pendici che sovrastano lo storico Canale di Cuna. La stradina
che dalla frazione porta alla Forchia Zuvial è angusta ed aerea, spesso
dissestata. L’avventura vera e propria inizia dalla frazione di Tramonti di
Mezzo.
Risalgo la stretta
valle con una serie di tornanti, e da quanto dislivello guadagni per ogni
tornante superato, mi pare di giungere in vetta direttamente con l’auto. La
strada asfaltata ha un inizio e una fine. Un metro dopo l’inizio dello sterrato nello
spiazzo adiacente a destra, trovo un punto dove sostare l’auto, accanto ad un
automezzo, sospetto di sapere chi sia il proprietario.
Lasciata l’auto e
indossato lo zaino, parto, in direzione di un cartello con indicazioni CAI,
posto a pochi metri dal punto di sosta. Inizio subito con una mulattiera, che proviene
dalla valle. Intuisco che sarà una lunga camminata, ma con una pendenza moderata.
Poche centinaia di metri di ombra ed esco dalla selva per scoprire un tratto
eroso e dirupato, una frana ha portato via parte del remoto sentiero. Sono al
prologo di quello che mi aspetta, ovvero un secondo tratto eroso, alle pendici
meridionali del monte Ciuf. Davvero sorprendente, sia per l’aspetto
dolomitico, sia per l’apertura
panoramica verso le creste attigue.
Lo sguardo si spinge
oltre l’orizzonte, sfiorando la dorsale che dal monte Givoli conduce fino al
monte Agarial. Il tratto di macereto è
lungo alcune centinaia di metri, con una pesta instabile ma percorribile,
simile a una linea sottile che porta all’altro estremo, ed è emozionante
provare le inaspettate sensazioni dolomitiche. Raggiunto il sentiero inerbito,
do uno sguardo al tratto appena percorso, scoprendo in alto, nascosta tra le rupi
sommitali del Monte Ciuf, una finestra rocciosa da dove filtra il color
turchese del cielo. Riprendo il cammino sulla comoda mulattiera, sono rari i
casi in cui si interrompe ancora a causa di ostacoli, tra cui rivoli o tratti
franati, essa, scorre dolcemente e
lineare all’interno della pineta, fino a lambire le rocciose pareti di
quello che pare un comodo antro. All’improvviso la magia: lo spirito si meraviglia
grazie alla splendida visuale del teatro naturale che si apre come un proscenio,
sormontato dalle crude e bianche rocce
del monte Sciara e della Cuesta Spioleit.
La mia meta, posta poco
più in basso, pare un orso dormiente, è toccata da neve residua, anche se attrae
di più l’attenzione e la voglia di conquista il cocuzzolo posto poco sopra.
Avvisto una casera dominante
sul versante che sto percorrendo, attrae la mia attenzione, in seguito scoprirò
chiamarsi rifugio Gardelin. Non sono distante dalla meta, mentre cammino mi studio
l’avvicinamento, cerco di intuire da dove poter salire in vetta, anche se
qualche timido timore me lo donano le lingue del nevaio. Sono fiducioso, al
seguito ho il materiale adatto per qualsiasi evenienza. Mentre cammino, vengo distratto
da una traccia segnata e da un cartello con la scritta Casera Savoiet, un
bivio, viro immediatamente a sinistra, in seguito scoprirò che la scelta è
stata azzeccata. Una comoda traccia, sicuramente di origini remote, con diversi
tornantini, mi conduce velocemente in cresta, presso un dosso, a ridosso dei pittoreschi
ruderi delle stalle Gardelin.
Durante l’ascesa ho
modo di lasciare segni e costruire ometti, e i ricordi volano a un ex compagno
di ventura: scendevamo da un monte nel gemonese, il tratto era dirupato, volevo erigere ometti
per chi sarebbe venuto dopo di noi, e ricordo ancora la sua reazione:<<
Ma se non lo fanno gli altri, perché lo dobbiamo fare noi?>>La risposta
mi stupì, può darsi che anche questo modo di agire fu una delle cause del divorzio.
Continuo il racconto. Raggiunti i ruderi delle stalle Gardelin, mi spingo
oltre, camminando su un soffice prato ricco di margherite, e prominente all’affascinante
figura del Monte Spicher di Tui. L’elevazione è proprio a due passi, ma decido
che ritornerò in seguito con mia moglie, per adesso mi dedico al monte Oselar.
Dai ruderi mi par di scorgere qualcosa che sventola, si è la bandiera azzurra del
Friuli, che si erge dalla casera Savoiet, posta a poche decine di metri. La
raggiungo ed effettuo la prima sosta dell’escursione. Visito l’interno del bel
bivacco, è meravigliosamente attrezzato
e organizzato, la sensazione è quella che gli occupanti, cacciatori, siano appena
usciti per una battuta. Tutto pulito, munito di tutti i confort. Non sono sorpreso,
per via dell’esperienza personale in ambienti con forte presenza maschile. Gli
uomini sono sorprendenti nella cura delle abitazioni e dei materiali. Riconosco
dalle foto appese uno dei frequentatori, andavamo assieme a fare manutenzione dei
sentieri della valle, e abbiamo frequentato lo stesso corso di roccia. Estraggo
dal mio zaino un libro, “Ragazzi di Vita” di Pier Paolo Pasolini, effettuo un’intitolazione
sul risguardo del libro, dedicandola agli amici di Tramonti. Lascio il bivacco
e riprendo il cammino, dirigendomi a oriente. Poco sopra la casera diparte una
traccia, che con andamento orizzontale
conduce alla meta. La pesta ben marcata incrocia il sentiero 830, quello lasciato
in precedenza prima del bivio, e che ascende fino al monte Sciara. Io continuo
per il tratto marcato, prima sul versante inerbito, e di seguito, una volta guadato il letto di un torrente asciutto, si inerpica sul versante
occidentale del monte Oselar. Appare la prima neve, e avvicinandomi si mostra
corposa. Decido per sicurezza di indossare
i ramponi e proseguire, seguendo, per quanto intuibile, la vecchia traccia.
Raggiunta la cresta che collega il monte Oselar al corpo della Cuesta Spioleit,
mi indirizzo verso la meta. Sul versante orientale la neve è residua, pochi
passaggi ripidi e sono in vetta (1338 m.), al cospetto di un masso, nessun
ometto. Zaino a terra, e subito al lavoro, prima il dovere e poi il piacere(
deformazione professionale). Erigo una spartana croce, e piazzo il barattolo
per gli appunti di passaggio del viandante in un incavo ricavato nella roccia .
Una volta finite le operazioni, mi concedo al piacere della contemplazione. Bello
il paesaggio, e la giornata è splendida e dal sapore primaverile. La visuale
spazia dai monti che cullano la frazione di San Francesco alla Val Tramontina.
Questo luogo è davvero un paradiso, un meraviglioso ambiente selvatico. Mi pare
di scorgere qualcosa dalla quota 1423 m. sembra un ometto, traguardo con lo
zoom della reflex, e scopro un curioso camoscio che mi sta osservando:
<<Ciao cucciolone, grazie della compagnia.>> Sicuramente una volta
la valle brulicava di montanari, oggi serba solo il ricordo del magico aspetto.
Per la discesa ho un altro piano, non rientro per lo stesso sentiero
dell’andata, ma provo a raggiungere il Canale di Cuna, precisamente la chiesetta
di San Vincenzo. Mi assicurerò della percorrenza di un remoto sentiero
tracciato e tratteggiato in nero sulla mappa, esso rasenta le pendici
occidentali dell’Oselar.
Rifatto il cammino a
ritroso, e raggiunto il sentiero 830, lo percorro in discesa, e mi rendo conto
che del sentiero CAI non vi è rimasto nulla, solo dei radi e sbiaditi segni tinti
sulle cortecce degli aghiformi. Scendo dal crinale affidandomi all’intuito,
fino a raggiungere la mulattiera dell’andata. Effettuo una breve deviazione per
vistare il bivacco Gardelin, davvero un sito affascinante e riparato a nord da
possenti pareti rocciose. Visito l’interno dell’edificio, esso si presenta
scarno e arcaico, quasi in abbandono. Peccato! Spero che gli amici cacciatori
provvedano a frequentare più spesso codesto riparo. Lasciata la casera, riprendo
il cammino, guado un rivo da dove zampilla la fresca acqua. Pochi metri ancora
ed eccomi dove ho cambiato direzione all’andata, stavolta seguo le indicazioni
per la Casera Mosareit. La prima gioia che
avverto è nel constatare che il sentiero è pulito e ben marcato, quindi, la mia
intuizione si rivela felice. Confesso che godo nello scendere a valle. Fluisco
velocemente dentro il bosco di faggi, guadando un torrente segnato con ometti, e
seguitando per una traccia che rimanda ai vetusti cammini di montagna. Bel
cammino, selvaggio quanto basta, un piacere per l’animo. Avvisto i ruderi di
quello che un dì fu un borgo, “Mosareit”, di esso è rimasto poco in piedi, le pareti
pericolanti e il cigolio di qualche anta consumata dal tempo. La traccia si dipana
dentro le passate mura degli stavoli, il transito è un pochetto pericoloso (un
calcinaccio mi colpisce a un braccio). Sbuco fuori dai ruderi, continuando la
discesa per il pendio, fino ad avvistare dall’alto il campanile della chiesetta
di San Vincenzo. Fatta! Missione compiuta, e mi ritengo soddisfatto. La
chiesetta è davvero graziosa, pare disegnata dalle mani sognanti di un bimbo
solitario ma pieno di fantasia. Visito l’interno della chiesetta alpina,
peccato che sia spoglio, molto più affascinante l’immagine esterna. Avevo
deciso di pranzare una volta raggiunta la località, ma rinvio ancora, posso
resistere al richiamo della fame. Inizio il cammino del rientro pensando che sia
meno faticoso, dovendo risalire un’ampia e comoda mulattiera, trecento metri di
dislivello ( sentiero CAI 810). Invece avverto il travaglio. Percorro la
schiena di un crinale chiamato Riviala, è molto ombroso per la folta
vegetazione, durante il cammino scorgo solo un rudere. Raggiunta la Forchia
Zuvial passo tra altri ruderi, ma stavolta si scende. Decido di proseguire per lo
stesso sentiero che stavo percorrendo, evitando di transitare su una stradina
sterrata, che raggiungo successivamente, dopo un breve tratto nel bosco. Negli
ultimi metri lungo la carrareccia, lambisco un altro rudere, la comoda arteria mi conduce all’auto. L’automezzo
che avevo visto alla partenza non c’è più, ho avuto la sensazione di non essere
solo alle falde del monte Sciara, tutte queste mie sensazioni verranno di
seguito confermate. Mi avvio con calma per il ritorno, e una volta raggiunta la
frazione di Tramonti di Mezzo, procedo per il lago di Redona, dove troverò la sosta
nello spiazzo adiacente alla strada che domina i ruderi semi sommersi di Borgo
Movada. Finalmente, nella quiete della valle, procedo al desinare, attimi che
scorrono svogliati e inebriano la mente, come la lenta ascesa delle acque del
lago di Redona che sommergono i ruderi del borgo Movada. Affascinato dai
riflessi del lago, rivivo i momenti salienti dell’avventura. Qualche giorno
dopo ritornerò nei pressi del monte Oselar, ma questa sarà un’altra avventura
da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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