Monte Frau da Chiarsuela
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti destra Tagliamento- Prealpi
Carniche-
Avvicinamento: Lestans-Toppo-Meduno- Lago di Redona-seguire
indicazioni per Chievolis- Indicazioni per Selva- Bivio per Chiarsuela- lasciare
l’auto nello spiazzo prominente la frazione
Dislivello: 300 m.
Dislivello
complessivo: 636 m.
Distanza percorsa in Km: 7 chilometri.
Quota minima partenza: 470 m.
Quota massima raggiunta: 778 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In: Solitaria
Tipologia Escursione:
Selvaggio
Difficoltà: Escursionisti Esperti idonei ad agire in
ambienti privi di segni e con le sole tracce di animali selvatici.
Segnavia: nessuno
Impegno fisico: medio.
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: No.
Croce di vetta: no.
Ometto di vetta: si.
Libro di vetta: si, installato barattolino viandante spirito
libero.
Timbro di vetta: No
Riferimenti:
1) Cartografici:
IGM Friuli-Venezia Giulia - Tabacco.028
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in: Condizioni di terreno bagnato o
ghiacciato.
Condizioni del sentiero:
Fonti d’acqua: si.
Consigliati: Ramponi da erba.
Data: lunedì 14 marzo 2022.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Monte Frau è la sorprendente piccola grande montagna posta a
protezione su Chievolis, una delle più caratteristiche frazioni della Val
Tramontina. L’elevazione non raggiunge
gli ottocento metri di quota, la prima volta la notai durante un’escursione in
zona, ne registrai la posizione per poi procedere a ulteriori ricerche. Il richiamo
dell’ignoto e il fascino dell’esplorazione sono la mia causa; continuamente voglio:
sapere, scoprire, annotare e divulgare; di conseguenza, per l’escursione sul monte
Frau, effettuo una ricerca più approfondita, adoperando le mappe a mia
disposizione. Sulla carta topografica IGM (ne posseggo una collezione remota e cartacea),
leggo una traccia che si arresta presso un canale, mentre nelle recenti mappe
il sentiero è sparito. Mi studio la topografia del rilievo, misurando le curve di livello e calcolando le
distanze. La dorsale più abbordabile pare quella che dalla frazione di Chiarsuela, tramite un percorso ripido,
con direzione da ovest ad est, mi condurrà
alla vetta quotata 778 m.
Una volta arrivato in cima, mi piacerebbe continuare scemando
a settentrione, sempre tramite il ripido pendio e di seguito raggiungere la
frazione di Inglagna; per completare un anello che mi riporti al punto di partenza.
Questo percorso che ho appena descritto è l’itinerario che
ho ideato, per attuarlo non mi rimane che: preparare lo zaino, far morire la
notte e partire alla volta della Val Tramontina.
Alle ore che seguono l’aurora, come previsto, sono in movimento
per la strada che da Meduno conduce alla valle del Lago di Redona. Presso il
ponticello ( Ponte Racli) che conduce alla frazione di Chievolis, effettuo la
classica foto cartolina. Raggiunta la frazione di Chievolis, proseguo con le
indicazioni per Staligial, tramite l’aerea e adrenalinica arteria stradale,
fino a voltare, tramite una serie di stretti tornanti, per la frazione di Chiarsuela,
ove, alla periferia della stessa, lascio l’auto presso un ampio slargo.
Appena sceso dall’auto, volgo lo sguardo al monte Frau, il profilo
del versante è ancora oscuro e in attesa dei raggi solari. Mi appronto
velocemente, e mi incammino, transitando per i vicoli silenti del borgo. Chiarsuela
ancora non si è desta, le presenze umane evidentemente sono stagionali. Le
antiche case sono ancora in ottimo stato, e la frazione, riparata a oriente dal monte Frau, occupa una magnifica
ubicazione panoramica.
Lasciata alle spalle l’ultima abitazione, miro dapprima al
prato e di seguito alla seguente boscaglia, ove percepisco qualcosa muoversi. Dei
caprioli, attardati nel loro vagare mattinale e impauriti dalla mia presenza,
fuggono, svanendo tra le frasche come folletti. Infatti, come avevo presagito,
trovo delle tracce che mi conducono al ripido crinale. Raggiunto il filo di
cresta del pendio la pista creata dalla
selvaggina è chiara, e pare anche frequentata dagli umani. Spesso, su alcuni crinali
e vette, la presenza si riconduce a rari appassionati. Un tempo le cime erano la
prerogativa esclusiva di: cacciatori, soldati e contrabbandieri. Confermando
che l’esplorazione, sin dai primordi, ha interessato per la maggior parte dei
casi queste tre categorie che ho appena citato. Il cacciatore in molte culture
racchiude in sé anche il guerriero, altri frequentatori sono stati i
contrabbandieri, come più raramente gli eremiti. Tutti in comune hanno una natura,
ossia lo spirito avventuroso e solitario.
Mentre risalgo il
crinale, effettuo queste osservazioni, lasciandomi anche incantare dalle prime
fioriture e dal gioco di luce della vegetazione. Naturalmente la solitudine mi
entusiasma, il mio lato selvaggio, da tempo non più represso, trova un ampio
sfogo in questo luogo silvestre. Dividerò i pericoli con me stesso, come il
mitico eroe di Itaca, che non volle coinvolgere i compagni quando esplorò il
monte dimorato da Circe. E per lo stesso motivo, dividerò con me stesso la
conquista e l’attimo, in cui lo sguardo sfiora un ometto o un qualcosa che simboleggi
la meta. La traccia è tangibile, non vi
sono segni colorati, ma solo intuizioni da tradurre.
Raggiunta la cresta, mi spingo a oriente, alla ricerca di un
segno, finché scorgo un corposo ometto. Fatta! La vetta è stata raggiunta. Verifico
l’ora dall’orologio che porto al polso. Sorrido!
Ho impiegato meno di un’ora dalla partenza, e di solito, nelle mie normali
escursioni, in questo lasso di tempo sono
ancora in fase di riscaldamento. Bene! Molto Bene! Impiegherò il tempo per
erigere un segno di riconoscimento, effettuare
qualche ritocco, e naturalmente mi concederò uno spazio più ampio per la
contemplazione dell’ambiente. La quota più alta è adombrata dalla vegetazione
che non concede una decente visione panoramica. Poco più a nord-est, uscendo
dall’ombra delle fronde, e camminando su un esposto e ingiallito prato
sommitale, scorgo un secondo ometto, con ampia vista sulla Val Tramontina.
Da quest’ultimo pulpito panoramico la visione è sublime, spaziando
all’infinito. Mi ritrovo nelle prime ore del mattino a godere di questo splendido
paradiso, potrei scrivere che sono felice, e senza enfatizzare nessun
sentimento. Fino all’ultimo secondo, prima che riprenda lo zaino, ho il dubbio
di come procedere dalla vetta. Sono indeciso se scendere dal versante settentrionale,
senza traccia, o rifare il sentiero dell’andata. Prevale il sentimento ardito, e
quindi, indossati i ramponi da erba per sicurezza, procedo a settentrione,
sperando di non trovarmi a ridosso di qualche salto.
Metro dopo metro guadagno la discesa, con lo sguardo miro sempre
a un centinaio di metri avanti, mentre con gli scarponi seguo i passaggi meno rischiosi.
Benché il sottoscritto di corporatura non sia esile, e né veloce nei movimenti,
spesso abbasso il baricentro del corpo, affidandomi all’esperienza maturata nell’ambiente
selvatico. Studio a occhio la morfologia, mi calo dentro i canaloni, sfiorando
i solchi degli impluvi, che si rivelano delle guide sicure. Finalmente, dal ripido
pendio, grazie alle graduazioni dei colori, filtra il color smeraldo dei prati
sottostanti. La ripidezza del tratto è sempre minore, scorgo una sporadica traccia
e alcuni segni. Proseguo per il canale che mi porta alla periferia di Inglagna.
Mi ritrovo tra i resti dei manufatti:
muri ancora integri anche se coperti dal
muschio. Mi aggiro tra le opere create dall’uomo, sbucando su un prato che ospita un solitario
stavolo. Anche questa è fatta. Mi riposo ai margini del prato, sopra un muretto
di contenimento della casera. Tolgo i ramponi, estraggo dal contenitore dei
viveri una barretta energetica e festeggio la scommessa vinta. Ripreso il passo,
transito per i vicoli della frazione che ho conosciuto in un recente passato;
di seguito, lambendo il Rio Inglagna, mi spingo fino a un ponticello posto alle
pendici orientali del Dosso Zouf. Lo Sguardo è rapito dalle cime che dominano a
settentrione: il Col di Luna, il Pizzo
Lovet, il monte Corda, il Buttignan, rocce conosciute e vissute, che ridestano
un amore mai sopito. Per rientrare a Chiarsuela decido di percorrere una
vetusta mulattiera, che con un percorso antiorario, mi conduce al punto di
partenza. La mulattiera, benché ampia, dopo alcuni metri è erosa a causa di un
franamento; supero l’ostacolo con cautela, il seguito sarà arcadico e senza
pericoli oggettivi.
Mi rilassa infinitamente ripercorrere i vecchi sentieri, con
il cammino rivivo il passato storico di
un’umanità che faccio mia. Mi fermo a fotografare e ammirare tutto ciò che è
bellezza: le radici antropomorfe, le fioriture, gli scorci del paesaggio e gli
angoli suggestivi. Sono innamorato della natura, un amore reciproco a giudicare
dai doni con cui vengo ricambiato. Presso un bivio noto una fattoria ancora
attiva, c’è del movimento, percepisco la presenza umana e quella degli animali;
cammino con passo silente, non voglio disturbare. Raggiunta una fonte scolpita in pietra, davvero
bella e unica, aggiro uno stavolo, lasciandomi sedurre da un sentiero che mi
porta a ridosso del Dosso Zouf. L’ambiente è curato, per nulla selvatico. Raggiunti
i prati sommitali del colle, ispeziono il rudere di uno stavolo che un tempo fu
il gendarme della valle sottostante. Il panorama che ammiro dal rudere è simile a quello che ho
ammirato dalla frazione di Inglagna, ma con più segreti svelati. Rientro, e stavolta
ispeziono la fattoria. Genero rumore, in modo di attrarre l’attenzione di
qualcuno. Mi viene incontro un simpatico vecchietto, arzillo, dallo sguardo furbetto
e dolce; egli è il proprietario della masseria e il curatore dell’ambiente che
ho appena visitato. Mi confessa, come se fosse una colpa, che professa la caccia.
Gli confesso, con un sorriso schietto, che sono un ex Primo Luogotenente dell’esercito,
adesso in quiescenza. Iniziamo una amabile conversazione, scoprendo che il simpatico nativo non ha espletato il
servizio di leva, mentre il fratello maggiore l’ha fatto, perendo in guerra.
Con rammarico e commozione continua il
racconto: durante il Secondo Conflitto Mondiale fu esentato di servire la
Patria per sostentare la famiglia. Mi ha chiesto dove sono stato in zona con lo
zaino, gli indico il monte Frau. Mi confida alcuni segreti, le antiche
frequenze e le attività sul monte e negli stavoli che circondano la fattoria. Tra
il forestiero nomade e l’anziano montanaro, grazie alla piacevole conversazione, il tempo scorre con
brio. Prima di congedarmi gli chiedo se mi è possibile completare l’anello
tramite il sentiero che rientra a Chiaursela. Mi assicura che la pesta è in
buone condizioni. Simpaticamente ci congediamo con il classico saluto militare, al basco, anche se nessuno di
noi indossa un copricapo. Ripreso il cammino, ritorno alla fontana, e dopo un
centinaio di metri, scorgo una traccia che mi porta oltre il rivolo affluente
del Rio Inglagna. Percorro il remoto
sentiero, supero alcuni schianti, sbucando sulla carrareccia che collega la Casera
Cuel Bernaz con la frazione di Chiaursela. Ultimi metri di percorso ed
eccomi all’auto. Lascio nell’automezzo
lo zaino, portando al seguito solo il fagotto con il pranzo. Decido di desinare
nella piccola frazione, seduto su uno scalino in pietra ad ammirare il bel
paesaggio, mentre degusto con piacere il cibo. Mentre lo sguardo rapito dalla bellezza della Val
Tramontina l’escursione volge a termine,
con un’altra cima conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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