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sabato 9 aprile 2022

Monte Frau da Chiarsuela

 

Monte Frau da Chiarsuela

 

Note tecniche.

 

Localizzazione: Dolomiti destra Tagliamento- Prealpi Carniche-

 

Avvicinamento: Lestans-Toppo-Meduno- Lago di Redona-seguire indicazioni per Chievolis- Indicazioni per Selva- Bivio per Chiarsuela- lasciare l’auto nello spiazzo prominente la frazione

 

Dislivello: 300 m.

 

 

 Dislivello complessivo: 636 m.

 

 

Distanza percorsa in Km: 7 chilometri.

 

 

Quota minima partenza: 470 m.

 

Quota massima raggiunta: 778 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore

In: Solitaria

 

 Tipologia Escursione: Selvaggio

 

Difficoltà: Escursionisti Esperti idonei ad agire in ambienti privi di segni e con le sole tracce di animali selvatici.

Segnavia: nessuno

Impegno fisico: medio.

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: No.

 

Croce di vetta: no.

Ometto di vetta: si.

Libro di vetta: si, installato barattolino viandante spirito libero.

Timbro di vetta: No

Riferimenti:

1)        Cartografici: IGM Friuli-Venezia Giulia - Tabacco.028

2)        Bibliografici:

3)        Internet:

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Da evitare da farsi in: Condizioni di terreno bagnato o ghiacciato.

Condizioni del sentiero:

Fonti d’acqua: si.

Consigliati: Ramponi da erba.

Data: lunedì 14 marzo 2022.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

Monte Frau è la sorprendente piccola grande montagna posta a protezione su Chievolis, una delle più caratteristiche frazioni della Val Tramontina.  L’elevazione non raggiunge gli ottocento metri di quota, la prima volta la notai durante un’escursione in zona, ne registrai la posizione per poi procedere a ulteriori ricerche. Il richiamo dell’ignoto e il fascino dell’esplorazione sono la mia causa; continuamente voglio: sapere, scoprire, annotare e divulgare; di conseguenza, per l’escursione sul monte Frau, effettuo una ricerca più approfondita, adoperando le mappe a mia disposizione. Sulla carta topografica IGM (ne posseggo una collezione remota e cartacea), leggo una traccia che si arresta presso un canale, mentre nelle recenti mappe il sentiero è sparito. Mi studio la topografia del rilievo,  misurando le curve di livello e calcolando le distanze. La dorsale più abbordabile pare quella che dalla  frazione di Chiarsuela, tramite un percorso ripido,  con direzione da ovest ad est, mi condurrà alla vetta quotata 778 m.

Una volta arrivato in cima, mi piacerebbe continuare scemando a settentrione, sempre tramite il ripido pendio e di seguito raggiungere la frazione di Inglagna; per completare un anello che mi riporti al punto di partenza.

Questo percorso che ho appena descritto è l’itinerario che ho ideato, per attuarlo non mi rimane che: preparare lo zaino, far morire la notte e partire alla volta della Val Tramontina.

Alle ore che seguono l’aurora, come previsto, sono in movimento per la strada che da Meduno conduce alla valle del Lago di Redona. Presso il ponticello ( Ponte Racli) che conduce alla frazione di Chievolis, effettuo la classica foto cartolina. Raggiunta la frazione di Chievolis, proseguo con le indicazioni per Staligial, tramite l’aerea e adrenalinica arteria stradale, fino a voltare, tramite una serie di stretti tornanti, per la frazione di Chiarsuela, ove, alla periferia della stessa, lascio l’auto presso un ampio slargo.

Appena sceso dall’auto, volgo lo sguardo al monte Frau, il profilo del versante è ancora  oscuro e  in attesa dei raggi solari. Mi appronto velocemente, e mi incammino, transitando per i vicoli silenti del borgo. Chiarsuela ancora non si è desta, le presenze umane evidentemente sono stagionali. Le antiche case sono ancora in ottimo stato, e la frazione, riparata  a oriente dal monte Frau, occupa una magnifica ubicazione panoramica.

Lasciata alle spalle l’ultima abitazione, miro dapprima al prato e di seguito alla seguente boscaglia, ove percepisco qualcosa muoversi. Dei caprioli, attardati nel loro vagare mattinale e impauriti dalla mia presenza, fuggono, svanendo tra le frasche come folletti. Infatti, come avevo presagito, trovo delle tracce che mi conducono al ripido crinale. Raggiunto il filo di cresta del pendio la  pista creata dalla selvaggina è chiara, e pare anche frequentata dagli umani. Spesso, su alcuni crinali e vette, la presenza si riconduce a rari appassionati. Un tempo le cime erano la prerogativa esclusiva di: cacciatori, soldati e contrabbandieri. Confermando che l’esplorazione, sin dai primordi, ha interessato per la maggior parte dei casi queste tre categorie che ho appena citato. Il cacciatore in molte culture racchiude in sé anche il guerriero, altri frequentatori sono stati i contrabbandieri, come più raramente gli eremiti. Tutti in comune hanno una natura, ossia lo spirito avventuroso e solitario.

Mentre  risalgo il crinale, effettuo queste osservazioni, lasciandomi anche incantare dalle prime fioriture e dal gioco di luce della vegetazione. Naturalmente la solitudine mi entusiasma, il mio lato selvaggio, da tempo non più represso, trova un ampio sfogo in questo luogo silvestre. Dividerò i pericoli con me stesso, come il mitico eroe di Itaca, che non volle coinvolgere i compagni quando esplorò il monte dimorato da Circe. E per lo stesso motivo, dividerò con me stesso la conquista e l’attimo, in cui lo sguardo sfiora un ometto o un qualcosa che simboleggi la meta.  La traccia è tangibile, non vi sono segni colorati, ma solo intuizioni da tradurre.

Raggiunta la cresta, mi spingo a oriente, alla ricerca di un segno, finché scorgo un corposo ometto. Fatta! La vetta è stata raggiunta. Verifico  l’ora dall’orologio che porto al polso. Sorrido! Ho impiegato meno di un’ora dalla partenza, e di solito, nelle mie normali escursioni,  in questo lasso di tempo sono ancora in fase di riscaldamento. Bene! Molto Bene! Impiegherò il tempo per erigere un segno di riconoscimento,  effettuare qualche ritocco, e naturalmente mi concederò uno spazio più ampio per la contemplazione dell’ambiente. La quota più alta è adombrata dalla vegetazione che non concede una decente visione panoramica. Poco più a nord-est, uscendo dall’ombra delle fronde, e camminando su un esposto e ingiallito prato sommitale, scorgo un secondo ometto, con ampia vista sulla Val Tramontina.

Da quest’ultimo pulpito panoramico la visione è sublime, spaziando all’infinito. Mi ritrovo nelle prime ore del mattino a godere di questo splendido paradiso, potrei scrivere che sono felice, e senza enfatizzare nessun sentimento. Fino all’ultimo secondo, prima che riprenda lo zaino, ho il dubbio di come procedere dalla vetta. Sono indeciso se scendere dal versante settentrionale, senza traccia, o rifare il sentiero dell’andata. Prevale il sentimento ardito, e quindi, indossati i ramponi da erba per sicurezza, procedo a settentrione, sperando di non trovarmi a ridosso di qualche salto.

Metro dopo metro guadagno la discesa, con lo sguardo miro sempre a un centinaio di metri avanti, mentre con gli scarponi seguo i passaggi meno rischiosi. Benché il sottoscritto di corporatura non sia esile, e né veloce nei movimenti, spesso abbasso il baricentro del corpo, affidandomi all’esperienza maturata nell’ambiente selvatico. Studio a occhio la morfologia, mi calo dentro i canaloni, sfiorando i solchi degli impluvi, che si rivelano delle guide sicure. Finalmente, dal ripido pendio, grazie alle graduazioni dei colori, filtra il color smeraldo dei prati sottostanti. La ripidezza del tratto è sempre minore, scorgo una sporadica traccia e alcuni segni. Proseguo per il canale che mi porta alla periferia di Inglagna.  Mi ritrovo tra i resti dei manufatti: muri ancora integri anche se coperti  dal muschio. Mi aggiro tra le opere create dall’uomo,  sbucando su un prato che ospita un solitario stavolo. Anche questa è fatta. Mi riposo ai margini del prato, sopra un muretto di contenimento della casera. Tolgo i ramponi, estraggo dal contenitore dei viveri una barretta energetica e festeggio la scommessa vinta. Ripreso il passo, transito per i vicoli della frazione che ho conosciuto in un recente passato; di seguito, lambendo il Rio Inglagna, mi spingo fino a un ponticello posto alle pendici orientali del Dosso Zouf. Lo Sguardo è rapito dalle cime che dominano a settentrione: il Col di Luna,  il Pizzo Lovet, il monte Corda, il Buttignan, rocce conosciute e vissute, che ridestano un amore mai sopito. Per rientrare a Chiarsuela decido di percorrere una vetusta mulattiera, che con un percorso antiorario, mi conduce al punto di partenza. La mulattiera, benché ampia, dopo alcuni metri è erosa a causa di un franamento; supero l’ostacolo con cautela, il seguito sarà arcadico e senza pericoli oggettivi.

Mi rilassa infinitamente ripercorrere i vecchi sentieri, con il cammino rivivo il passato  storico di un’umanità che faccio mia. Mi fermo a fotografare e ammirare tutto ciò che è bellezza: le radici antropomorfe, le fioriture, gli scorci del paesaggio e gli angoli suggestivi. Sono innamorato della natura, un amore reciproco a giudicare dai doni con cui vengo ricambiato. Presso un bivio noto una fattoria ancora attiva, c’è del movimento, percepisco la presenza umana e quella degli animali; cammino con passo silente, non voglio disturbare.  Raggiunta una fonte scolpita in pietra, davvero bella e unica, aggiro uno stavolo, lasciandomi sedurre da un sentiero che mi porta a ridosso del Dosso Zouf. L’ambiente è curato, per nulla selvatico. Raggiunti i prati sommitali del colle, ispeziono il rudere di uno stavolo che un tempo fu il gendarme della valle sottostante. Il panorama  che ammiro dal rudere è simile a quello che ho ammirato dalla frazione di Inglagna, ma con più segreti svelati. Rientro, e stavolta ispeziono la fattoria. Genero rumore, in modo di attrarre l’attenzione di qualcuno. Mi viene incontro un simpatico vecchietto, arzillo, dallo sguardo furbetto e dolce; egli è il proprietario della masseria e il curatore dell’ambiente che ho appena visitato. Mi confessa, come se fosse una colpa, che professa la caccia. Gli confesso, con un sorriso schietto, che sono un ex Primo Luogotenente dell’esercito, adesso in quiescenza. Iniziamo una amabile conversazione, scoprendo che  il simpatico nativo non ha espletato il servizio di leva, mentre il fratello maggiore l’ha fatto, perendo in guerra. Con rammarico  e commozione continua il racconto: durante il Secondo Conflitto Mondiale fu esentato di servire la Patria per sostentare la famiglia. Mi ha chiesto dove sono stato in zona con lo zaino, gli indico il monte Frau. Mi confida alcuni segreti, le antiche frequenze e le attività sul monte e negli stavoli che circondano la fattoria. Tra il forestiero nomade e l’anziano montanaro, grazie alla  piacevole conversazione, il tempo scorre con brio. Prima di congedarmi gli chiedo se mi è possibile completare l’anello tramite il sentiero che rientra a Chiaursela. Mi assicura che la pesta è in buone condizioni. Simpaticamente ci congediamo con il classico  saluto militare, al basco, anche se nessuno di noi indossa un copricapo. Ripreso il cammino, ritorno alla fontana, e dopo un centinaio di metri, scorgo una traccia che mi porta oltre il rivolo affluente del Rio Inglagna.  Percorro il remoto sentiero, supero alcuni schianti, sbucando sulla carrareccia che collega la Casera Cuel Bernaz con la frazione di Chiaursela. Ultimi metri di percorso ed eccomi  all’auto. Lascio nell’automezzo lo zaino, portando al seguito solo il fagotto con il pranzo. Decido di desinare nella piccola frazione, seduto su uno scalino in pietra ad ammirare il bel paesaggio, mentre degusto con piacere il cibo.  Mentre lo sguardo rapito dalla bellezza della Val Tramontina  l’escursione volge a termine, con un’altra cima conquistata e una nuova storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa
























































 

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