Monte
Zopiet o Cupiat da Pert (Vito d’Asio).
Note
tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche: Catena Valcalda-Verzegnis- Gruppo del Verzegnis - Dorsale del Cuar.
Avvicinamento: Lestans- Pinzano- Anduins-
strada provinciale per San Francesco- prendere l’imbocco a destra per Pert- Presso
la frazione esigui spazi per la sosta del mezzo.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
.
Dislivello:
430 m.
Dislivello complessivo: 430 m.
Distanza percorsa in Km: 8
Quota minima partenza: 320 m.
Quota
massima raggiunta: 730 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: Storico- naturalistica
Difficoltà:
E.
Ferrata- valutazione
difficoltà:
Segnavia:
CAI 814
Fonti
d’acqua: si
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli –Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
Da
evitare da farsi in:
4)
Condizioni
del sentiero: Ben battuto e segnato
5)
Consigliati:
Data: venerdì 18 marzo
2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Mamma,
il 04 luglio del 1931
hai dato alla luce un bimbo, oggi quel bambino ha novant’anni ed è qui.
Nessuno muore finché vivrà
nei ricordi di chi rimane. Grazie Mamma.
Mandi
Inizio il racconto dalla
fine, da una commovente testimonianza letta su una tanichetta di plastica adoperata
per innaffiare i fiori di una lapide. Un dolce e delicato pensiero dedicato da
un fanciullo, che oggi, mentre scrivo, ha ben novantuno anni, ed è rimasto
legato per l’eternità al grembo della sua mamma. Così io descrivo un’escursione che mi ha
portato a vagare nel cuore della madre terra, che malgrado il progresso dei
tempi, mantiene intatto nel cuore dei suoi fanciulli ottuagenari un universo
ancora integro e colmo di genuini valori, tra cui il più grande è l’amore. La ricerca
del tempo perduto mi ha indicato un territorio posto alle falde del ripido
versante del Monte Prat nord -occidentale, esattamente intorno al monte Zopiet, che grazie al suo bel profilo domina la piccola frazione di Pert.
L’ escursione nasce
dal curioso e vibrante indagare, il consueto indice della mano destra che rotea
su una mappa antica, tanto da poter ancora intuire e svelare ciò che il tempo ha mutato per sempre.
Mi aspetta una grande emozione, quella di scoprire e guadare il torrente Arzino.
Santa e benedetta sia l’ignoranza! Quante gioie che dona al nomade il non essere
edotto su cosa celi il cammino. Il non sapere è la più grande fonte della
felicità, non a caso ci rende saggi. Mi fermo con l’auto sul ponticello che
dalla statale che collega Anduins a San Francesco conduce alla frazione di Pert.
Esco fuori dall’abitacolo dell’auto, pochi passi per effettuare una
respirazione profonda e inebriarmi della fresca atmosfera emanata dal continuo fluire
delle acque del torrente. Mi carico ancora di più di propositi positivi e riprendo
il cammino, scalando, sempre con l’automezzo, una serie di esposti tornanti,
sino a raggiungere la periferia meridionale della frazione di Pert.
Lasciata l’auto in uno spiazzo prospicente un‘abitazione,
proprio dove finisce la stradina asfaltata; mi assicuro di aver preso tutto il
materiale di cui abbisogno. Zaino in spalle, uno sguardo al cielo turchese e
via, inizio una nuova avventura. Non essendo lungo il giro che ho in mente, e sicuro
del meteo favorevole, mi dedico a una e più approfondita esplorazione del
territorio. Tralascio i segni CAI iniziali, per perlustrare una meravigliosa
mulattiera tinta dei teneri colori della primavera. Cammino con gaiezza, i
primi passi sono carichi di emozioni ; intuisco che l’arteria è ampia per via
dell’uso e dell’usura effettuato nei secoli scorsi ad opera dei montanari
muniti di ruotati, immagino carri e carrozze. La mulattiera sicuramente ascendeva
al monte Prat, e gli ampi tornanti sono testimoni del duro lavoro dell’uomo per
rendere meno malagevole il laborioso via
vai dei montanari. La mia meta è già in vista, il monte Zopiet, con un profilo ben
delineato, mentre il versante sudorientale si svela ripido e dirupato; ecco perché,
il rilievo malgrado la modesta quota (730 m.) assume la peculiarità di
chiamarsi monte. Continuo a percorrere l’ampio sentiero, noto una deviazione
che percorrerò al rientro; cammino serenamente,
gratificato dalla modesta pendenza che risale il pendio posto alle pendici del Monte Flagjel. Mi
aspetto una sorpresa, per via dell’andamento sinuoso del tratto, tale da
superare più di una volta degli impluvi carichi d’acque fluenti. In uno dei
torrentelli effettuo una sosta, riscoprendo il fascino dell’eterno scorrere
della nostra materia vitale; un autentico spettacolo e miracolo della vita, capace
con la semplice osservazione di sedurre lo
spirito. La traccia, sempre con il medesimo scoscendimento si avvicina agli
stavoli Zopiet, dove si interseca con la strada asfaltata, che dalla Val D’Arzino
ascende sino all’altopiano del monte Prat.
Gli stavoli Zopiet, dai
suoni campestri che mi giungono, risultano abitati, tutto intorno all’edificio
si sviluppa una fattoria; durante l’avvicinamento ho già fatto conoscenza con i
pacifici bovini, mentre i cani da guardia, allertati dal mio movimento,
annunciano con il chiassoso e incessante latrare il mio avvento. Decido di circumnavigare
la fattoria (per non turbare la quiete del fattore e degli animali), tramite
una traccia di mucche; e dopo aver oltrepassato
un cancelletto, eccomi al cospetto di un ampio prato che precede il dolce
pendio che conduce alla vetta del monte Zopiet. La distesa prativa è rasa,
sicuramente dovuta alla frequenza delle greggi. Cerco e trovo una traccia nell’erba,
pare di tratturo, evidentemente la cresta è adoperata per produrre il foraggio e tagliare la legna. Pian piano mi
avvicino alla cresta sommitale, che solo nell’ultimo tratto si svela selvatica
e primitiva. Un masso ricoperto di muschio è la massima quota che accarezzo, esso,
celato tra le frasche, maschera l’eccellente posizionamento della vetta. Il
monte Zopiet è un’altra cima poco panoramica, anche se tanto selvatica, confesso
che da sempre sono la mia prerogativa. Installo il segno del passaggio del
viandante, e non avendo nulla da
ammirare come panorama, fantastico. Immagino
presenze primordiali di vedetta, e i loro sogni proiettati a un futuro lontano
che è il medesimo che sto vivendo. Riprendo il cammino a ritroso, portandomi sulle
orme lasciate sui prati percorsi in precedenza. Dagli stavoli Zopiet, per un breve tratto, riprendo il
cammino passato, e per la stessa mulattiera, presso un recinto, devio a
occidente, inoltrandomi nella selvatica selva, alla ricerca di un remoto
sentiero segnato sulla mappa che trovo subito dopo.
È il classico sentiero
di montagna, che nel Friuli viene nominato “troi”, esso, delineato ai margini
da muri a secco, segna il versante poco sotto la mulattiera percorsa all’andata.
Il sentiero collega con la sua sinuosa direttrice i numerosi stavoli della
frazione. Sempre sulla mappa leggo Stavoli di Saetola, un agglomerato composto
da stavoli abitabili misti a ruderi. Il cammino per raggiungerli è stato faticoso,
spesso ho trovato il sentiero sbarrato da numerosi schianti, o eroso dal
passare del tempo. Per fortuna, la traccia, dagli stavoli in poi è ben marcata
e frequentata; essa in poco tempo mi conduce al bivio incrociato nella prima mattinata.
L’anello escursionistico che avevo
ideato è compiuto; non sono pago e mi concedo un ulteriore tempo per esplorare il sentiero
tralasciato in mattinata e segnato CAI 814.
Il tratto è meno comodo
del precedente, sicuramente intransitabile dai carri. Giungo alla periferia di Pert,
poco distante dall’auto e mi dedico a ispezionare gli ultimi stavoli, tra cui
la struttura di un’abitazione dove leggo, da un’architettura remota, una funzione
utilitaristica. Presso un cantuccio scorgo l’iscrizione citata nel prologo
della relazione, scritta a pennarello su una tanichetta di plastica. Mentre leggo la dedica, immagino il fanciullo con i
calzoni corti, rientrare dalla scuola e correre ad aiutare il babbo, lo
immagino anche stringersi alla gonna della sua mamma, mentre dal focolare dove è appeso un pentolone con la zuppa, odo ardere
la legna. Il bello del fantasticare e
che riesco a immedesimarmi in situazioni irreali, che mi lasciano dei solchi profondi
nell’animo. Ripreso il cammino, raggiungo l’auto, deposito lo zaino, portando al seguito solo il fagotto con i
viveri. Mi accomodo su un muretto in pietra, da dove posso ammirare dall’alto
la Val D’Arzino. Percepisco un’ombra alle mie spalle, mi giro, scoprendo un
uccellino intento a svolazzare e cinguettare, felice di essere desto e di vivere
la nuova primavera. La montagna è uno smisurato scrigno ingente di gioielli, a
cui noi umani assegniamo molteplici nomi. Il viandante, sensibile e mite per
natura, ha il privilegio di riconoscere tale ricchezza a cui dona il suo bene
più prezioso, il tempo.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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