Monti
Alz e Zouf da Cavazzo Carnico
Localizzazione:
Prealpi Carniche
Avvicinamento:
Lestans. Pinzano-Cornino- strada statale n. 512, Interneppo- Cavazzo Carnico-, giunti
all'altezza del ponte sul rio Faeit, si imbocca la stretta rotabile che conduce
alla trattoria Al Pescatore (cartello). La si percorre per qualche centinaio di
metri fino ad incontrare sulla sinistra un comodo spiazzo per il parcheggio
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: UD
.
Dislivello:
830 m.
Dislivello
complessivo:830 m.
Distanza percorsa in Km: 11,5
Quota minima partenza: 290 m.
Quota
massima raggiunta: 827 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: selvaggio- escursionistica
Difficoltà:
E.E.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentieri, mulattiere, tracce di animali, carrarecce.
Ferrata-
Segnavia:
CAI
Fonti
d’acqua: si
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta:
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: Barattolino
sulla prima vetta
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Consigliati:
Data: mercoledì 01
dicembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Monte Alz mi è apparso
in sogno, al risveglio avevo in mente il nome e altri confusi ricordi. Sognai
tanta neve, una bimba vestita di rosso, e un capriolo che vagava nel
bosco. Segno il nome su un pezzo di carta,
accedo al web, digito Alz e Friuli, e viene fuori una località che conosco marginalmente,
sita a poche centinaia di metri da Cavazzo Carnico. Intensifico la ricerca con le carte
topografiche a mia disposizione, effettivamente c’è un monte chiamato Alz che
si può raggiungere tramite un sentiero tratteggiato in nero. Progetto un’escursione
con un tracciato che dalla forma sulla mappa appare come un otto in orizzontale,
simile alla “lemniscata” simbolo dell’infinito. Traccio con un pennarello color
rosso sulla mappa l’escursione, la fotografo e la invio a Luca: <<Che te
ne pare? Ti va di andare a costatare dal vivo?>> Yes! Risposta
affermativa. L’indomani si parte, sicuramente troveremo neve, quindi, adeguiamo
con l’equipaggiamento. Alle prime luci del mattino siamo nei pressi di Cavazzo,
ci inoltriamo con i rispettivi automezzi nella grigia e oscura valle che
precede le pendici del monte Piciat. Lasciamo gli automezzi presso uno spiazzo,
poco prima del bivio che conduce al ricovero “Al Pescatore.
Fa un freddo boia, il
sole non filtra ancora a causa della copertura di alcuni bassi rilievi a
oriente. Ci mettiamo in marcia, seguendo il disegno sulla mappa. Poco prima del
bivio imbocchiamo una strada forestale che risale il fronte orientale del monte
Alz, e dopo alcuni metri di cammino adocchiamo il profilo del monte illuminato
dal sole. A prima vista la vetta appare fitta di arbusti, questa impressione
sarà in seguito confermata. Dopo alcune centinaia di metri sulla stradina,
imbocchiamo un sentiero a sinistra, l’istinto consiglia correttamente, è la
pista segnata a tratteggio sulla mappa. Il meraviglioso sentiero selvaggio si
sviluppa tramite molteplici diramazioni che si incrociano all’infinito lungo
l’ascesa. Luca percepisce il mio entusiasmo, il lupo che alberga in me è svestito,
e gode a intuire e perseguire le tracce. Sì, proprio le impronte di un
capriolo, di Artemide, l’amata divinità che da sempre mi accompagna quando mi
avventuro nella selva. I sentieri si susseguono, e per ognuno che ne perdiamo
altri cento ne avvistiamo, e tutti conducono al lato oscuro del monte, quello posto
proprio a nord, dove solo la dea osa avventurarsi.
Con l’aumentare della
quota si alza sia lo spessore della neve che la ripidità del versante. Dopo
aver scalato un tratto molto ripido di costone, decidiamo di indossare le
ghette e i ramponi, malgrado la neve non sia tanto dura. La sicurezza è l’unica
compagnia che non limita la nostra libertà. Procediamo con brio, la traccia che
avevo ideato si perde negli schianti non previsti, decidiamo di salire e superare
l’ostacolo accostando un canalone, e la medesima idea l’ha avuta in precedenza
la deità, infatti ne scorgiamo le orme. Superiamo una crestina, affilata e
molto esposta, sul versante occidentale, e ci fermiamo ad ammirare il paesaggio
che esibisce la meravigliosa valle di Tolmezzo. L’Amariana, la divinità
dolomitica, domina la scena, e in essa, noi, per alcuni istanti ci perdiamo,
rapiti dalla sua bellezza. Superato il tratto ardito, siamo in sicurezza, proseguiamo
per il pendio con minor pendenza del precedente. Cercando i passaggi migliori troviamo
la massima elevazione (712 m.), sita all’interno di un fitto bosco composto da
esile vegetazione arborea, tra cui spiccano le acacie e i faggi.
Scegliamo un arbusto a
cui dedicare la massima quota, erigendo una croce con l’ausilio dei materiali
di fortuna, a essa alleghiamo un contenitore in vetro con all’interno un foglio
con su stampata un’aquila, il simbolo di un grande imperatore e spirito libero
“Stupor Mundi”. Fatte le dovute operazioni, proseguiamo l’avventura, prima
scendendo di quota a meridione, dove scorgiamo un’enorme ferita nella roccia,
forse i segni di una remota scorsa tellurica. Di seguito, vista l’impossibilità
di proseguire a sud, viriamo per la cresta, ascendendo l’ante-cima del monte (705
m.) e proseguendo per il giocoso pendio di neve. Godimento totale! L’escursione
non è mai pericolosa, anzi, molto divertente, e tra le piste bianche ideate
scendiamo velocemente di quota, sino a trovare un sentiero vero e proprio. Lo
seguiamo in basso, esso conduce nella selletta posta tra i due monti, il monte
Alz appena scalato e lo Zouf che studiamo. Un canale d’acqua misto al sentiero
attira la nostra attenzione, esso, sul versante meridionale, ascende al monte Zouf,
tramite questa strana combinazione, finché il rigolo d’acqua svanisce lasciando
il proseguo a una vistosa e ampia mulattiera. La pesta sale con dolcezza, e non
ci par vero che conduca in alto. Rilevo dalla mappa che dovrebbe addirittura
spingersi sino in vetta. Ci lasciamo andare alla bellezza del dolce camminare,
finché scorgiamo un muro perimetrale, e di seguito la struttura dello Stavolo
Gadoria del Perar.
Luca vorrebbe
soprassedere l’esplorazione degli interni e procedere per la vetta, ma io insisto,
sono attratto e richiamato dal rudere. Aggiriamo i cespugli di rovi che
proteggono la casera trovando un varco da dove accediamo. Ispeziono vivamente
l’edificio: nel piano terra troviamo la stalla e la cucina in modeste condizioni.
Nel locale cucina è posto un camino con la classica cappa e l’aggeggio per
tenere il pentolone. Sulla cucina vera e propria, a legna, troviamo: piatti,
posate e pentole, come se i commensali si fossero allontanati di fretta e furia
durante la consumazione del pasto. Qualcosa di strano e impiegabile sicuramente
è successo. Nella stalla adiacente trovo una pantofolina rossa, poggiata per
terra, forse la giovane donna stava badando agli animali quando è stata colta
di sorpresa da qualcosa o qualcuno. Il rosso è il colore del fuoco e della
passione, lo stesso della fanciulla che ho sognato. Non percepisco dolore, ma solo
tanto eros, un rapimento passionale. Ispezioniamo gli ambienti del piano
superiore che confermano questa mia tesi. Troviamo le camere da letto, e una di
esse sembra portare i segni della furia devastatrice dell’impeto passionale.
Lasciamo questo luogo dove ancora avverto la presenza umana. Luca sembra il più
lesto nel ritornare sul sentiero, gli ho confidato le mie suggestioni, con più crudezza
di quanto consiglia lo scritto. Riprendiamo il sentiero che ascende il monte
Zouf, la mulattiera è ben marcata, e con una serie di tornanti giunge fino alla
cresta, dove troviamo solo un esile traccia sulla neve. Seguiamo il filo di
cresta, stavolta le impronte della dea sono succedute da quelle di un nostro simile
con ciaspole. Giungiamo alla vetta, un’altra fitta faggeta, e su un arbusto
lasciamo il segno del nostro passaggio. Il cielo, di un azzurro turchese,
filtra dalle fronde degli alberi, esso è stato licenziato dal cinereo delle
nubi. Seguiamo sempre la cresta a occidente, e dopo una breve discesa in libera
sul versante innevato incrociamo il marcato sentiero percorso ancora dalle orme
delle ciaspole dello stesso omino che ci ha preceduto in vetta. Camminiamo con
tranquillità per l’antico selciato, che invita piacevolmente alla volta del
piccolo borgo di Casera Dueibis. Le nostre fatiche dovrebbero essere finite,
togliamo i ramponi e le ghette, e godiamo della bellezza degli stavoli. Dopo
una breve sosta continuiamo per la stradina asfaltata sino al borgo di Pusea,
dove troviamo due indigeni intenti a fabbricare qualcosa. Fraternizziamo, breve
scambio di battute, e proseguiamo per la nostra meta. La direzione è opposta a
quella della conquista dell’ascesa dei monti. Stiamo effettuando un anello in
senso antiorario, e ora continuiamo da occidente a oriente. Risaliamo la
carrareccia fino a quando improvvisamente si interrompe, proprio poco prima di
un rigolo. Superiamo l’asperità trovando stavolta un sentiero abbastanza ampio,
evidentemente quel tratto in passato deve essere franato. Procediamo lesti, ma
Luca mi arresta, la fame lo ha chiamato all’ordine, decidiamo di desinare,
adoperando gli zaini come comodi cuscini. La breve pausa scorre velocemente,
presto siamo pronti con gli zaini in spalle, e riprendiamo il passo. Non manca
molto a chiudere l’anello, il sentiero è davvero bello, antico, molto
affascinante rispetto alle note montagne che dominano la valle. Superiamo anche
un ponticello, e dopo siamo a ridosso dei prati che conducono al locale” Al Pescatore”.
Pochi metri ancora e siamo alle auto, l’escursione è finita, fortunatamente
senza intoppi. È stata una bella avventura. L’escursione, come è consuetudine quando si è
in compagnia, finirà in un bar per bere qualcosa. Ne troviamo uno lungo la
strada, semplice, con pochi tavoli e meno gente. Fraternizziamo con il gestore
e un avventore, commentando la sorprendente escursione con una grappa e una
cioccolata.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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