Stavoli Tamars, Colle del Zuccio e Monte Pedroc.
Localizzazione: Prealpi Carniche
Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Somp Cornino- Parcheggio poco
prima del bivio che porta al borgo
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Provincia di: UD
.
Dislivello: 910 m.
Dislivello complessivo: 910 m.
Distanza percorsa in Km: 14
Quota minima partenza: 156 m.
Quota massima raggiunta: 881 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: paesaggio naturalista bucolica
Difficoltà: turistico-escursionistiche
Tipologia
sentiero o cammino: sentieri-troi-carrarecce- tratti senza tracce-
Ferrata-
Segnavia: CAI (segni CAI)
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: Istallata
una rudimentale sul Colle del Zuccio
Ometto di vetta: si
sul monte Pedroc
Libro di vetta: istallato
barattolino sul Colle del Zuccio
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 23 novembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
In una giornata all’insegna
del sole, Monte Prat e le sue infinite varianti è la meta ideale. Il monte non ha particolari difficoltà, un
tempo era abitato da una nutrita comunità, lo testimoniano i numerosi stavoli
sparsi in ogni dove e a qualsiasi quota della pur modesta altezza.
Sono anni che percorro
i suoi remoti sentieri, e ogni qualvolta scopro sempre qualcosa di nuovo.
Stavolta sono stato ispirato dallo spirito libero Giannino, ricordo che mesi fa
pubblicò nel nostro gruppo la foto di una casera chiamata “Stavoli di Tamars”,
ed è giunto il giorno che vi faccia una visita di cortesia.
Studio un anello, lo
disegno sulla mappa, e ne mando copia a Luca. Nel frattempo, aspetto che passi la
lunga notte di attesa, prima di veder nascere il giorno dell’escursione.
Alle prime ore del
mattino con il mio cavallo grigio metallizzato transito per le strade di Flagogna,
mentre re sole nasce infuocando di rosso i profili dei monti. Giungo alla
periferia di Somp Cornino precedendo di poco Luca, mi assicuro che è per
strada, e mi preparo per la partenza, calzando gli scarponi e controllando gli
strumenti di navigazione. Durante questo breve lasso di tempo, vengo attratto e
incuriosito da una ruota a pale in legno che gira grazie al fluire di un torrentello
nella campagna friulana, a pochi metri scorgo un piccolo orto. Si avverte un’aria
bucolica, che dona quella felicità indefinibile, manca soltanto il canto del
gallo e il quadretto romantico è dipinto. Arriva Luca, posteggia l’auto, ci
salutiamo. Gli presento il versante orientale del monte Prat ed esclamo:
<< Luca, ammira! Guarda quanta bellezza! La roccia è tinta dai colori
caldi dovuti al sorgere del sole. Oggi cosa possiamo bramare di più?>>
Entrambi siamo avversi
da tempo nell’ascendere le classiche cime o nel rincorrere i record a tutti i
costi, tipo segnare più vette e chilometri per dimostrare qualcosa, ma poi a
chi? Questa competizione o complesso di inferiorità, sa di contadini in gara
tra loro per raccogliere più mele per ossequiare il padrone. A noi, Luca e io,
questo spirito agonistico non appartiene, siamo Spiriti Liberi e gioiamo anche del
microcosmo che ci sfoggia la meravigliosa Signora. L’affascinante teatro granitico sopra Somp Cornino,
sorvolato dai mattutini grifoni, ci pare un miracolo. Iniziamo il cammino con i
nostri zaini pieni di sogni attraverso il borgo appena citato. Percorriamo le
viuzze, scoprendo angoli caratteristici che pochi illustrano, particolari che
pochi cantano e il tutto cadenzato da un passo lieve per non disturbare, nemmeno
con un sussurro, il silenzio del tempo che scorre. Poco fuori dalla frazione, a
occidente, si cerca e si trova un inizio sentiero, è distinto con gli stessi
colori del CAI, purezza e passione. Seguiamo i segni del marcato sentiero, scopriamo
una antica mulattiera e iniziamo l’ascesa. Spesso ci fermiamo per ammirare e immortalare
in fugaci scatti la landa friulana, posando per primo lo sguardo sul dormiente
gigante Monte Ragogna. Con una serie di tornanti la vecchia strada di montagna ci
guida a ridosso delle pendici, scaliamo il monte sul versante meridionale, fino
a raggiungere un intaglio panoramico, dove i devoti hanno eretto un’edicola multifunzionale;
poco sopra è posta una croce in metallo, chiara dimostrazione del forte ascendente
mistico del sito sulla popolazione limitrofa. Dopo l’intaglio incrociamo una
stradina asfaltata proveniente dal monte Prat, la percorriamo per breve tratto
in ascesa. Dopo pochi metri di asfalto appaiono i meravigliosi Stavoli Ledrania.
D’estate solitamente sono abitati dai simpatici e operosi locali, ora gli stavoli,
sono silenti, come se la presenza umana si fosse dissolta nei ricordi. Mentre Luca
accomoda lo zaino, io mi allontano perlustrando le abitazioni, alla ricerca e
contemplazione del singolo oggetto per arricchire il mio sapere e colmare le mie
lacune. Ma come Narciso, il bellissimo ragazzo ellenico, che si trova così
attraente da innamorarsi del proprio riflesso, io scopro uno
specchio appeso a una parete esterna e in esso riflesso il mio volto. Preso da
impulso irrefrenabile mi lascio andare all’auto-contemplazione con una serie di
scatti fotografici. Il mio egocentrismo è inguaribile, mi diverte riflettere il
colore del cielo nell’iride; per fortuna, Luca, non vede questo mio momento di
perdizione. Dopo essermi amato abbastanza mi allontano dal dannato oggetto e mi
avvicino all’amico, che nel frattempo ha finito le operazioni. Riprendiamo il
cammino, seguendo il sentiero che dagli stavoli, bai-passando la strada
asfaltata, sale fino agli stavoli di sopra (senza nome). Un colle adiacente alle
abitazioni attira la mia attenzione, attraente e seducente come la magia che si
respira nell’aria. Davvero meraviglioso l’ambiente. Lo conosco abbastanza bene,
tra il serio e il faceto descrivo a Luca cosa ci aspetta. Battezzo il sentiero
odierno” Cammino Afrodisiaco” per le emozioni che riesce a suscitare : <<Credimi
caro Luca, chiunque porta la sua bella in questa luogo ne rapisce il
cuore.>> Poco prima di un tornante troviamo un cartello con le informazioni
per il Ciuc dà la Pale, sentiero n° 817, seguiamo le indicazioni tramite una
bella traccia che taglia il monte sul versante sud-orientale, finché scorgiamo
nella vegetazione una tabella con la scritta Bivacco Tamars. Ci siamo! La
diramazione si inoltra e risale il ripido pendio, aggirando il colle quota 802,
fino a percorrere una carrareccia. Dapprima visitiamo un bel stavolo con enormi
querce poste di guardia, e una strana struttura esterna a forma di arco (forse
un magazzino); successivamente continuiamo per il ricovero Tamars, addentrandoci
nella vegetazione, finché scorgiamo l’edificio dall’alto. Procedendo per un
vecchio troi perveniamo al noto bivacco, dall’aspetto surreale e fiabesco. Lasciamo gli zaini all’esterno della magica
struttura e ne ispezioniamo l’anima. Pare abitata dai nanetti di Biancaneve, e
in fondo noi adulti, ora pensionati, siamo sempre alla ricerca del fanciullo
che abbiamo abbandonato per vivere la cosiddetta” vita normale”. Tanti oggetti (riposti con cura all’interno della
vetrinetta) attraggono la nostra attenzione. Abbiamo premura dell’ambiente, vorremmo fare
un caffè, ma ci par di disturbare. Estraggo dallo zaino un libro dal titolo Cent’anni
di Solitudine, il celebre romanzo di Gabriel Garcia Marquez, scrivo una semplice
dedica nel frontespizio del tomo” Leggere e camminare rende liberi”. Pongo lo stesso sul tavolo, e scrivo di
seguito il segno del nostro passaggio nel registro dei visitatori.
È una bella casera,
sicuramente ritornerò, mi ha letteralmente incantato. Lasciamo il locale,
chiudiamo la porta e ci sporgiamo dalla balaustra, foto con autoscatto, ripresa
dal basso, chissà perché in mente mi è venuta la copertina di Please Please Me,
noto album dei Beatles. Il sole ci bacia
e dona energia, proseguiamo il cammino seguendo delle strane indicazioni, finché
raggiungiamo una comoda carrareccia che ci accompagna sino alla stradina
asfaltata percorsa in precedenza e con un divieto di accesso. Un occhio alla
mappa, continuiamo a occidente per un breve tratto, e poi viriamo per un altro
sentiero che porta agli Stavoli di Forchia. Raggiunti quest’ultimi ci lasciamo rapire
dai segni del tempo e dalle recenti presenze: una scatola di biscotti datata e
mezza arrugginita e cuori ovunque. Mi commuove la vista di due innaffiatoi in
alluminio, sembrano disegnati a matita, mi sdraio per terra per coglierne il
lato romantico. Si continua a sognare, fotografiamo particolari, non abbiamo premura,
inseguiamo i sogni con la fantasia. Lasciamo il sentiero e miriamo dietro agli stavoli,
direzione nord, alla ricerca della via di accesso alla selvaggia cresta. Ascendiamo
il malagevole pendio con le mille difficoltà dovute alla numerosa flora che
ostacola il cammino. Il colle del Zuccio ha un’anima, la percepiamo, passo dopo
passo la vetta sembra allontanarsi, finché il cielo azzurro appare basso, la
massima elevazione stavolta è vicina.
Ci siamo! Scorgo due
gruppi di massi, uno è poco più alto dell’altro. Lasciamo gli zaini poco distanti
e iniziamo la nostra opera, ovvero, la creazione di un simbolo di vetta. Per
questa operazione ci serviamo di un robusto tronco, che riduciamo facendo leva con
le rocce. Trovate le due componenti, la lunga e verticale e la corta orizzontale,
leghiamo i due elementi con una corda da serranda a rullo. All’asse verticale
alleghiamo un barattolo con il simbolo del gruppo. Fatto! È vero, in montagna riscopriamo la nostra infanzia,
quando ci bastava poco per giocare ed essere felici. Eseguite le foto di rito,
decidiamo di desinare, abbiamo prenotato un tavolo presso gli Stavoli Larghis posti
poco più in basso.
Raggiunti gli edifici,
ci accomodiamo su due blocchi di pietra posti all’esterno, iniziando l’attimo ludico
dedicato al recupero delle energie. La temperatura mite, il sole, e il cielo di
un bellissimo colore che varia tra il turchese e il cobalto (chiederò simpaticamente
i diritti d’autore a un’amica per la citazione) emozionano e allo stesso tempo
caricano di energia vitale lo spirito. Il tempo scorre, siamo rapiti dalla
bellezza del luogo. Il colle che abbiamo da poco conquistato è adombrato dalla
controluce. È ancora presto per rientrare ma tardi per rimanere. Ci alziamo e
iniziamo il rientro, poco più avanti superiamo un cancello, e siamo su una carrareccia
che ci conduce presso un bivio. Avevo accennato di mattina a Luca del monte Pedroc,
e visto che abbiamo ancora due ore prima che il sole tramonti, invertiamo direzione
e ci dirigiamo tramite una strada forestale a nord, alla volta degli stavoli di
Val di Sotto e del sovrastante Monte Pedroc. Vado a memoria, finché trovo la stradina
che ci guida agli stavoli, e pochi metri sopra una pesta conduce alla cresta
del monte. Superato un altro rudimentale cancello siamo presso la vetta
goniometrica, simbolizzata da una pietra messa verticale sopra un ometto. Tra i
sassi cerco un barattolino che avevo messo non molto tempo fa, non c’è, almeno
chi lo ha sottratto lo avesse sostituito con un altro. È proprio vero che la
madre degli stupidi è sempre incinta, e intuisco che opera spesso parti
plurigemellari. Non rispettare il lavoro degli altri è sinonimo di un medioevo
mentale, per molti il rinascimento non è mai sorto, sono rimasti al tempo della
pietra. Rientriamo definitivamente, il sole sta per calare e i colori si fanno
più accesi, mentre l’oscurità che avanza tinge con intensi e vellutati
chiaroscuri il paesaggio. L’ultima foto l’ho fatta a Luca mentre dall’intaglio
sopra Somp Cornino traguarda il tramonto con la sua reflex. Il resto è la notte
che sopraggiunge. Finiremo la serata in un bar-trattoria posto tra Majano e Rivoli
di Osoppo, in un locale pieno di anime munite del rosso nettare. Siamo lontani
dal nostro ambiente preferito, siamo come anime perse fuori dal tempo, e la
luna, fuori dalla finestra, scrive la parola fine alla splendida escursione svolta
in una delle località più caratteristiche della montagna friulana.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.