Monte
Moarda (Moharda) da Altofonte (PA)
La
Moharda è la montagna che sovrasta il centro abitato di Altofonte, e il suo
nome deriva da un toponimo arabo che significava “colma, zampillante d’acqua”;
e infatti questo luogo è ricchissimo di acque che dai territori carsici
dell’interno riaffiorano nel versante della valle dell’Oreto.
Oltre a questi
importanti aspetti geologici, testimoniati anche da numerose grotte come quella
della Moardella, comuni a tutto il versante meridionale del bacino dell’Oreto
dove si localizzano altre interessanti cavità carsiche (Grotta del Carpineto,
Grotta delle Volpi, Grotta del Garrone e Zubbione della Pizzuta), la Moharda è
interessante per gli aspetti paesaggistici, ambientali e storico-archeologici.
Localizzazione:
Monti di Palermo- Palermo
Avvicinamento:
Palermo centro storico- Autobus urbani- Altofonte (PA) - È possibile
raggiungere la Moarda dall'abitato di Altofonte, dal km 14 della S.P.89, dal km
17 e dal km 21 della S.P.5b oppure per il sentiero di fondovalle che raggiunge
da sud la Portella del Pozzillo.
Regione:
Sicilia
Provincia
di: Palermo
.
Dislivello:
927 m.
Dislivello
complessivo: 927 m.
Distanza percorsa in Km: 13
Quota minima partenza: 290 m.
Quota
massima raggiunta: 1076 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: panoramica-naturalistica
Difficoltà:
Escursionisti Esperti
Tipologia sentiero o
cammino: Trazzeri-sentieri remoti-carrarecce-piste di cacciatori
Ferrata-
Segnavia:
Fonti
d’acqua: no
Impegno
fisico: medio alto
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si,
installato barattolino spiriti liberi
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Sicilia – Tabacco 0
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: martedì 14
settembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La Moharda o Monte
Moarda è una delle meravigliose elevazioni dei Monti di Palermo. La passione
per la montagna, oltre a farmi scoprire le montagne del triveneto, mi ha
permesso di conoscere anche i rilievi che circondano la mia città natia.
Come un cieco che si
riappropria improvvisamente della vista, così ho scoperto che la Sicilia è un’isola
dal territorio montano, la naturale prosecuzione dell’appennino, e a ben
osservare, poche regioni in Italia hanno cotanta superficie dedicata alla
montagna. La stessa Conca d’Oro non è una pianura, ma un quasi altopiano, per
via dei numerosi rilievi. La differenza sostanziale tra i monti del nord e
quelli siculi sta nella loro età geologica. Quelli siculi sono molto remoti,
ecco spiegate anche le rotondità delle vette e le minor quote. La montagna
sicula è spesso selvaggia, poco frequentata dai locali, e lo stesso CAI sembra
assente. I sentieri non sono curati, quasi lasciati all’improvvisazione, dove
il legale si mescola con l’illegale, e a volte pare di violare le regole,
quando le stesse regole non contano per una quota di popolazione anarchica per
natura. Con questo spirito da escursionisti improvvisati andiamo all’assalto di
quest’ultima cima, ignorando quasi del tutto le vie di accesso e affidandoci alle
provvidenziali mappe IGM, ben calibrate ma riferite a un territorio quasi del
tutto scomparso.
Ci imbarchiamo sull’automezzo
pubblico presso la stazione centrale di Palermo, il numero di linea è il 232 e
ha una frequenza di passaggio di circa un’ora tra un mezzo e l’altro. Dall’abitazione
dove risiediamo alla stazione andiamo a piedi, percorrendo l’antica e
meravigliosa arteria di via Maqueda, ideata nel Seicento dal Viceré pirata. Il
viceré Bernardino de Cárdenas, duca di Maqueda, è entrato in modo
indelebile nella storia di Palermo, visto che proprio a lui si deve la
realizzazione di via Maqueda, che già nel 1600 cambiò per sempre la struttura
urbanistica della città, dividendola nei quattro quartieri storici
che ben conosciamo. Tanta storia leggiamo in questa meravigliosa strada,
ci perdiamo ad ogni angolo per ammirare le stupefacenti bellezze architettoniche.
Giunti alla fermata degli autobus prendiamo a volo l’automezzo che ci conduce alla
periferia di Altofonte. Durante il tragitto ho modo di rivedere le strade e le
abitazioni che ho vissuto durante l’infanzia. Poco è cambiato, sicuramente io si.
Osservo i volti della gente sugli automezzi, sono prevalentemente del ceto
medio, la maggioranza della cittadinanza preferisce andare in auto e alimentare
il già caotico traffico urbano. Mi piace osservare questa classe sociale, è la
stessa mia di origine, e benché oggi abbia una sicurezza economica e realizzato
molti dei miei sogni, non ho dimenticato l’oceano di sofferenza da cui
provengo. Scendiamo al capolinea dell’autobus, presso un curvone, Altofonte è avanti
di un paio di chilometri, percorreremo l’avvicinamento a piedi.
Camminiamo lungo la
statale con un certo brio, stando attenti nei curvoni, visto che non vi sono marciapiedi.
Alle porte di Altofonte alziamo lo sguardo per scrutare gli edifici. Le costruzioni
si ergono sull’erto pendio, e hanno tutte un lato rivolto alla montagna e l’altro
proteso sulla pianura. Gli edifici sono costruiti
su vertiginosi dirupi da mozzafiato. Giunti in piazza al paese, riscopriamo la
vita di provincia, con tutte le sue attività, da un funerale in celebrazione
alla chiesa madre, al gentil e colto macellaio che avendo intuito i nostri
propositi ci rende edotti su quale scalinata salire.
Da una fontana ancora attiva del Seicento,
iniziamo a contare gli scalini, un micione rosso ci guarda stranito. La
periferia del paese sotto le pendici del Monte Moarda è costituita dalle
tipiche costruzioni del contado di una volta, alcune di esse sono disabitate, e
conservano i segni inesorabili dello scorrere del tempo. Al margine della
periferia del paese scopriamo un sentiero che ripercorre una Via Crucis
intervallata dalle classiche edicole con originali bassorilievi in ceramica.
Sopraggiunti a una chiesetta, usciamo da questo miniparco, per percorrere un breve
tratto di strada asfaltata, e poco dopo una curva seguiamo i segni CAI, che ci
indirizzano presso una scorciatoia che conduce a ridosso di alcune abitazioni.
Da una di queste
abitazioni sbuca all’improvviso simile a un pupazzo a molla da una scatola un
simpatico autoctono che ci indica la direzione da seguire, per la prima volta
ho visto in vita mia un ometto vivente. Infatti, accompagnati dal latrare di un
anziano cane randagio dalle fattezze di lupo iniziamo a percorrere una remota
strada di montagna. Non è una traccia ufficiale, percorriamo il versante
orientale del monte, e ci lasciamo guidare da segni di passaggio. La pesta è
remota, forse risale ai primi pellegrini, la roccia è levigata dal passaggio umano,
e più saliamo e più assume le sembianze di una via vissuta. Mi par di vivere agli
albori della storia della nostra civiltà, e intuisco che la montagna doveva
ospitare nei suoi meandri qualcosa di sacro. La traccia dopo un reticolato si
perde, noi seguiamo stavolta una pesta di cacciatori e animali, essa è esile e spesso
si perde nell’erba alta. Sopra di noi intuisco qualcosa di battuto, pare una
carrareccia, quindi, con fatica ,tagliamo i ripidi prati di rovi e puntiamo in
alto. Durante la ripida ascesa lambiamo ciò che resta della pineta arsa nel
rogo causato dai malvagi piromani l’anno precedente. Per codesta gente provo
solo uno smisurato disprezzo. Non li considero nemmeno appartenenti alla razza
umana, ma semplicemente orfani di cervello.
Dopo un’ascesa
faticosa senza tracce raggiungiamo una carrareccia, avevo intuito bene, e le
nostre fatiche di colpo diminuiscono di intensità. L’arteria di montagna per
comodo tratto ci accompagna presso la cresta, che presto sormonta, continuando
il suo corso sul versante occidentale per un breve tratto per poi rientrare in
quello orientale. Guadagniamo quota, e stavolta la vegetazione è rigogliosa,
tipica della macchia mediterranea, tra cui spiccano le ombrose querce. Poco
sotto la punta della Moarda lasciamo la carrareccia e seguiamo un marcato
sentiero dentro il fitto bosco, fino a raggiungere un antico riparo costruito
in tufo. L’edificio è chiamato la Casa del Soldato, breve visita e proseguiamo
a nord verso la vetta. Il bel sentiero continua e aggira i massi erratici e la
meravigliosa flora, si intuisce che il luogo da sempre è un luogo di culto,
anche a noi emana magia, infatti un falco ci accoglie e poi svanisce nel cielo.
La vetta è a destra, cerchiamo e troviamo tra i rovi e i massi il punto dove il
passaggio è meno ardito, così raggiungiamo l’apice, materializzato da un ometto
e un ceppo d’albero con su legato un maglione bianco. Fatta! La Moarda è conquistata! Il senso di
felicità che emana tale conseguimento è incommensurabile. Siamo felici e allo
stesso tempo stanchi. Sganciamo gli zaini, li adagiamo sull’erba, e durante le
operazioni ammiriamo tutto il creato che ci circonda. Presso dei piccoli massi
cerchiamo una comoda posa per sederci e pranzare. La fame ora si fa sentire.
Siamo assai soddisfatti della conquista, un altro tassello dei Monti di Palermo
si è aggiunto alla nostra conoscenza. Dall’alto della nostra posizione distinguiamo
tutta la Conca d’Oro con le bianchi e lucenti abitazioni di Palermo, e l’azzurro
mare che si fonde con il cielo dello stesso colore completa il quadretto. La
natura alimenta il nostro spirito, donandoci un sentimento di felicità che
raramente dona il quotidiano vivere tra le genti. Istalliamo il classico nostro
barattolino con foglio rosso degli spiriti liberi all’interno, che verrà
scoperto il giorno dopo la nostra visita da un escursionista. Per le altre
punte della vetta rinviamo la visita negli anni a seguire. La nostra filosofia
di montagna è quella di dedicare più tempo a un determinato obiettivo,
piuttosto che correre per collezionare in breve tempo una serie di nomi e quote.
L’unica competizione che contempliamo è quella interiore, e prediligiamo i
tempi a rilento, per poterli dedicare all’ammirazione del più piccolo
particolare. La discesa dal monte è per lo stesso itinerario d’andata. Durante
il passaggio all’interno del tessuto urbano di Altofonte abbiamo modo di
conversare piacevolmente con alcuni paesani, e la cosa l’abbiamo gradita molto.
Abbiamo notato una smisurata ospitalità e la raffinatezza dei modi, virtù che
apprezziamo da tempo. Naturalmente, prima di lasciare il paese ci siamo
concessi un meritato e gustosissimo gelato, la naturale ciliegina sulla torta
di una meravigliosa giornata. Il rientro in città avviene come all’andata attraverso
i mezzi pubblici, stavolta siamo soddisfattissimi ma stanchi, e il camminare stanchi
e puzzanti di sudore con zaini in spalle in mezzo al popolo di turisti ha
aggiunto un tocco surreale al finale dell’escursione.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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