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martedì 22 giugno 2021

Anello del Monte Arvenis dal Rifugio Moro (Sutrio)

Anello del Monte Arvenis dal Rifugio Moro (Sutrio)

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Alpi carniche Centrali- Alpi orientali Tolmezzine-Gruppo dell’Arvenis-Dorsale Tamai-Zoncolan.

 

Avvicinamento: Lestans-Pinzano- Cornino. Cavazzo Nuovo- Valle del But- Sutri- Seguire indicazione per il monte Zoncolan- Ampio parcheggio presso l’Hotel Enzo Moro (1303 m. circa)

 

Regione: Friuli- Venezia Giulia.

Provincia di: UD

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Dislivello: 860 m.

 

Dislivello complessivo:860 m.


Distanza percorsa in Km: 13


Quota minima partenza: 1303 m.

 

Quota massima raggiunta: 1970 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.

In: coppia

 

Tipologia Escursione: escursionistica- panoramica

 

Difficoltà: escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: Sentieri CAI-piste da sci

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI 170-157

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si

Timbro di vetta: si

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 09
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: tutto l’anno

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: 19 giugno 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Un’escursione tranquilla, per tutti, all’insegna della gioia, della felicità, camminare per creste e poter volgere lo sguardo all’infinito. Ecco di cosa avevamo bisogno, di sognare a occhi aperti, e per una volta affrontare la montagna nel suo aspetto più dolce e classico, quasi a richiamare la favola di Heidi, di Peter e le caprette che fanno ciao. Visto il recente tentativo di scalare l’Arvenis ci ha portato tra i selvaggi versanti del Tribil, stavolta ho cambiato versante, ascendendo da Sutrio. Il borgo di Sutrio, uno dei più antichi della Carnia, le prime documentazioni della sua esistenza risalgono al XIV secolo, da esso risaliremo in auto per i tortuosi e lunghi tornanti che portano allo Zoncolan.

La giornata è piacevolissima, e lo stesso vagare in auto da forti sensazioni di benessere, a stento riesco a mantenere la concentrazione mentre guido, distratto dal meraviglioso mondo montano della Carnia. Raggiunti gli ampi parcheggi della stazione sciistica, lasciamo l’auto presso il Rifugio Moro, e ci approntiamo per la partenza. A casa ho immaginato di compiere un anello che racchiudesse le tre elevazioni: Zoncolan, Tamai e Arvenis, quindi, non ci rimane che attuarlo.

Dal rifugio, alla nostra sinistra, guardando a occidente, una pista di sci tra i prati inerbiti risale il ripidissimo pendio, ma ci permetterà di accedere alla cresta evitando le antipatiche carrarecce.

Saliamo, percependo sin da subito il caldo e la fatica. La visione dei verdi prati e gli abeti posti al margine, ci irradia una strana felicità.

Una solitaria marmotta, non proprio timida, vigila sul nostro passaggio, poi svanisce, lasciandoci raggiungere il vertice del colle che precede lo Zoncolan.

Toccato un secondo rifugio proseguiamo per la cresta, dove scorgiamo le prime presenze umane. Un motociclista fa del motocross, mentre un anziano signore, seduto su una sdraio accanto alla sua auto, è rapito da leggere un libro che ben conosco “Memoria delle mie puttane tristi” di Gabriel García Marquez. La montagna è di tutti, e questo a me piace assai. Continuiamo il cammino per la cresta, si sente un continuo via vai di motori, giungiamo alla sella, dove la strada asfaltata scende a Ovaro. Una comitiva di centauri tedeschi è in sosta sulle moto, sono tutti vestiti di pelle nera, e hanno l’aspetto di templari che vanno alla conquista di una terra straniera per punire i miscredenti. Un ciclista, sicuramente italico, nascosto lo sguardo acuto dietro gli occhiali da sole, si guarda intorno e dal suo labbro una leggera piega fa intuire l’ironia che prova nell’osservare i teutonici e la nostra stravaganza, penserà che nel mondo per fortuna vi siano ancora i pazzi. Noi transitiamo sull’altra sponda della via di comunicazione, all’arrembaggio della quota più alta dello Zoncolan (1750 m.), materializzata da un folto cespuglio di mughi. Davanti a noi, a meridione il Tamai ci attende, spero di ascenderlo per cresta, perché la carrareccia è davvero brutta, un obbrobrio.  Dalla prima elevazione stavolta scendiamo per una traccia segnata CAI, poi altri segni, ed ecco percorrere il sentiero vero e proprio battezzato 170, che ci condurrà sino all’Arvenis. Lungo il sentiero un corpicino di un topino, le formiche stanno organizzando in suo onore un banchetto, il senso della vita, nulla muore, ma tutto si trasforma. Iniziamo a innalzarci di quota percorrendo le strette volte che conducono alla cresta settentrionale del Tamai. Voliamo sul crinale, siamo fratelli e sorelle del vento, dominiamo l’universo carnico, vaghiamo su questo filo immaginario, dove le nostre figure divengono magici disegni animati.  A nord, sulle più alte cime del Friuli, la neve persiste, ma è stanca e vuol divenire acqua zampillante di ruscello per raggiungere il padre natio a valle e facilitare le ascensioni ai meno arditi. Noi continuiamo a volare sulla cresta, e ci par un sogno. Dopo la piccola forcella sbuca l’inconfondibile sagoma dell’Arvenis, come sempre il primo impatto visivo è forte, ma se si scruta con più attenzione la montagna tra le rughe del versante dirupato, si possono constatare i segni della comoda mulattiera di guerra. Sarà la nostra prossima meta, ma ora affrontiamo i pochi metri che ci separano dalla cima del Tamai. Un comodo e inerbito colle ci accompagna a un pugno di rocce, dove si erge un tronco d’albero da dove è stato ricavato il contenitore per il libro di vetta. Non lo ricordavo più. Il bello del latitare della memoria è quello di farti apparire nuovo, quello che dentro si è vissuto. Effettuiamo una puntatina alla cima (1970 m.), firmiamo il libro di vetta, e visto il sopraggiungere di due avvenenti signore, ci spostiamo sul sentiero che precede l’Arvenis. La vetta va sempre goduta in solitudine, quando è possibile, e lasciare il passo è segno di galanteria. Ai margini del sentiero, poco sotto, scorgo una grossa pietra bianca che sa di panca, ne approfittiamo per fare la prima sosta, così ammiriamo la futura meta. Riprendiamo poco dopo il passo, sono euforico, mi diverto a correre lungo il sentiero. Raggiunta la forcella tra il Tamai e l’Arvenis, prendo nota del sentiero 157 che percorreremo in discesa. La mulattiera di guerra è ben marcata, scavata dai gloriosi genieri del primo conflitto mondiale, essa ascende e solca la bianca roccia adornata da mughi e molteplici fioriture. Mi svaga la salita, come tutti i sentieri di guerra, e allo stesso tempo mi da una forte malinconia se penso ai poveri militi italiani che per unirsi hanno dovuto combattere una guerra lontano dalla propria terra.

Percorriamo il versante occidentale, quello dirupato, e in breve siamo a ridosso della sommità. Cedo l’onore della conquista alla mia signora, odo un continuo bisbigliare, non siamo soli, un trio è appena andato via e una coppia permane, mentre noi raggiungiamo la croce di vetta (1968 m.). Fatta! Missione compiuta. Per Giovanna oggi sono tre cimette di seguito, per me è un gradito ritorno dopo 14 anni, ma il piacere, come ho scritto in precedenza, è sempre nuovo. In vetta incontriamo una bella coppia, lei è friulana di Codroipo, lui mezzo carnico e mezzo austriaco. Fraternizziamo, il covid ha reso alcuni soggetti più socievoli, e noi siamo tra questi. Lui mi ricorda una mia storia scritta tempo fa, dove immaginavo l’amore in tempo di guerra. Il volto di una donna disegnato da un soldato italiano e poi ritrovato e sposato dal medesimo soldato austriaco che ha ucciso l’italiano in battaglia. Racconto le emozioni che provo, son fatto così, sono pieno di entusiasmo, la vita è bella e va vissuta.  Dopo aver passato una buona mezzoretta a conversare con i nuovi amici, ci congediamo, loro rientrano e noi continuiamo a permanere in cima, preparandoci per la pausa pranzo. Ficco sull’erba un bastoncino da trekking, dove lego il vessillo che inizia a sventolare.  Successivamente ci accomodiamo a oriente del cippo, iniziando a consumare le provigioni e lasciandoci cullare dalla bellezza del paesaggio. È naturale illustrare a Giovanna le varie cime, alcune ascese assieme. Finita la sosta iniziamo la discesa, stavolta per i ripidi prati del versante orientale. La magica fioritura incanta, ci fermiamo tante volte a immortalare la fioritura dai mille colori. Tanta gioia dona la montagna, stiamo attraversando il magico mondo visto svariate volte sui libri, adesso lo viviamo, passo dopo passo, e non ci par che sia reale. Il sentiero 157 ci conduce in basso, sino a incontrare la stradina campestre che aggirando il versante orientale del monte Tamai accarezza la malga omonima. Un piccolo stagno attira la nostra attenzione, è tremendamente artistico, ci divertiamo a fare le foto, mentre Giovanna attraversa il margine settentrionale e proietta la propria immagine rovesciata sullo specchio azzurro. Da uno scatto ho ideato e immortalato la nuova copertina per il gruppo spiriti liberi. Un’immagine che trasmette sensazioni oniriche. Se smetti di sognare è finita… Ma noi divagheremo sempre, perché la vita è un sogno. Amiamo e fantastichiamo tutto ciò che racchiude l’alito vitale, dalla formichina alla marmotta, dal gracchiante corvo alla piccola ape gravata sul cartello di vetta, dalle fioriture estive al gioco delle nubi, è tutto un divenire, e noi ne siamo i fortunati spettatori. Raggiunta la malga Tamai, spero di trovare un sentiero. Siamo fortunati. Un bellissimo e marcato cammino ci conduce al punto di partenza, mentre odiamo i forti boati della tormenta che si sta avvicinando da occidente. Apprestiamo il passo, ma par d’essere stato solo un preavviso, di seguito le nubi si diradano, e noi raggiungiamo l’auto, lungo la discesa di una pista di sci. Superiamo una coppia di anziani, entrambi hanno l’aspetto di sognatori, fosse siamo noi proiettati in un futuro prossimo, o noi siamo il loro passato remoto. Chissà? Quello che ci accomuna è la fantasia, e di non aver mai smesso di sognare.

Il forestiero Nomade.

Malfa. 































































































































 

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