Anello
Monte Tribil (1747 m.) dagli Stavoli Aiers.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche Centrali.
Avvicinamento:
Tolmezzo-Villa Santina-indicazioni per la frazione Trava- seguire le
indicazioni per la Malga Claupa- Lasciare l’automezzo alla fine della stradina
asfaltata, presso gli stavoli Aiers.
Dislivello:
550 m.
Dislivello complessivo: 550 m. m.
Distanza percorsa in Km: 7 chilometri
Quota minima partenza: 1216 m.
Quota
massima raggiunta: 1747 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In:
coppia
Tipologia
escursione: Escursionistica l’ascesa, turistica la discesa
Difficoltà:
escursionistiche
Segnavia:
CAI 166
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
no
Croce di vetta: istallata
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: rimesso
un altro barattolino di vetro tra i sassi dell’ometto.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 013.
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera- autunno
3)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Fonti d’acqua: no
Consigliati:
Data: 12 giugno 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Sbagliando
si impara! Si, errando una strada se ne trova una nuova, che porta in un
determinato luogo o una situazione che non si è prefissata ma che dà le stesse
emozioni, e spesso anche maggiori.
Mi
è bastato distrarmi un attimo alla guida dell’auto, per ignorare la strada che
sale diretta da Villa Santina a Lauco, deviando per la successiva, che porta
alla frazione di Trava e di seguito, per l’esile stradina forestale, sino agli Stavoli
di Aiers.
La
meta prevista dell’escursione era il monte Avernis, e la località prestabilita
per la partenza quella di Val. Invece giungiamo alla fine del tratto asfaltato,
davanti al caratteristico stavolo con il tetto spiovente, tipico della Carnia.
Lasciamo l’auto presso l’edificio, e una volta pronti, scruto la mappa, alla
ricerca di una verità topografica. La carta che ho al seguito, viste le modeste
dimensioni, non mi aiuta molto. Intuisco che sono a Sud del Monte Tribil, in
lontananza ho identificato il ripido pendio che scende sino a Val. L’ambiente
che ci circonda è strepitoso, verdi e sterminate praterie punteggiate dagli
stavoli donano un senso di felicità difficile da descrivere per quanto sia magnifico.
Dal punto di partenza, a nord, diparte una carrareccia di guerra, abbastanza
ampia da essere percorribile da automezzi. Essa, arditamente, si spinge molto
in alto, fino a raggiungere sul versante occidentale la malga Avernis Alta.
Sarebbe
facile percorrere questo comodo sentiero, ma vengo attratto da un solitario
stavolo a occidente, e di seguito dall’ombroso e sovrastante pendio meridionale
del monte Suelias. Tra le fronde scorgo una leggiadra figura, scalza e con una
veste di cotone bianca, fugge via. Ella, si nasconde tra le ombre del bosco, e
il suo volto dispettoso, da dietro un
affusto d’abete, ci fa un cenno per essere seguita. Rapiti da tal magia ci
inoltriamo nel bosco ostruito da una moltitudine di schianti. Troviamo fra essi,
squarci dove poter passare, guidati dalle orme degli animali selvatici, messi della
Dea Artemide. Si, ho riconosciuto, nella fanciulla vestita di bianco, la divinità
femminile protettrice della natura. Con lei ho un rapporto particolare, spesso
mi coccola, elargendomi doni speciali. Il pendio che risaliamo è ripidissimo, non
vi è nessuna traccia e segno, solo il quieto e monotono ascendere. Dall’ alto
ci guidano, come se fossero segni indicatori, dei ciuffi d’erba illuminati dal
sole. Quando la vegetazione si fa più rada, e si aprono gli scenari, possiamo finalmente
ammirare il paesaggio che spazia all’infinito sotto un cielo che protegge la
Carnia. Con lo sguardo accarezziamo delicatamente le catene montuose del Friuli
e del Veneto.
Il
crinale mantiene la sua ripidezza, molto esposto, spesso tagliamo in diagonale
il versante per faticare di meno. Certe esposizioni sono adrenaliniche, mi
chiedo se siamo bravi o matti. Procediamo lesti, par che voliamo sul manto
inerbito, come le nubi che carezzano la terra prima di dissolversi. Raggiunta l’elevazione
(monte Suelias 1510 m.) ne guadagniamo la cresta a nord, che vista la vista minor
ripidezza, la percorriamo con un sorprendente brio. Da essa, a occidente,
volgiamo lo sguardo sul massiccio del Col Gentile e monte Veltri, che dominano
dall’alto il cuore della Carnia, ossia Ovaro. Gli eroici faggi come i poderosi guerrieri
spartani presidiano il sentiero, avvertiamo il loro tormento impresso nel nervoso
distendere in cielo dei rami. La cresta si affila per alcune decine di metri,
consigliandoci di percorrere a oriente la carreggiabile, per poi riprende il
filo del crinale in prossimità di un tornante.
Ripresa
la dorsale continuiamo fino alla verticale parete del monte Cucasit, che
aggiriamo a oriente per i ripidi ed esposti prati. Il nostro incedere sul
ripido crinale pare un’ascensione mistica, e il nostro passo è cadenzato dalle
leggere carezze della corrente. Raggiunta la vetta del Cucasit (1731 m.)
constatiamo che manca ancora un centinaio di metri per raggiungere la vetta del
Tribil. La pendenza stavolta è moderata, ci abbassiamo solo di alcuni metri,
per poi riprendere la dolce ascesa sino alla cima del Monte Tribil (1747 m.).
La vetta è materializzata da un rametto d’abete piantato verticalmente tra i
sassi di un ometto. Provvedo subito a rinforzare con altri sassi l’ometto e
installare un barattolino con un piccolo blocco note per il passaggio dei
viandanti.
Nello
zaino serbo tra gli oggetti più cari una bandiera con su disegnata la figura
mitologica della Triscele allego alla fine della relazione un piccolo studio
fatto sul web sul significato del simbolo *.
Questa
comunanza tra le antiche civiltà della Sicilia e della Carnia da un senso e
delle risposte al mio vagare per i monti che mi circondano e che sento miei. Li
amo, venero, come divinità, e da essi ricevo energia positiva. Lego con gioia la
bandiera con il Triscele a uno dei bastoncini da trekking conficcati sul
terreno, mentre un soffio di vento si alza e diffonde il volto della Triscele
nell’azzurro cielo carnico. L’ambiente che circonda la cima è fantastico,
silenzioso e con un vastissimo e incantevole panorama. Decidiamo che è giunta
l’ora di pranzare, rinviando la visita di cortesia al monte Avernis, per
poterci godere con calma e tanto Karma il Tribil.
Attimi
di magia che arrestano il tempo catturando gli amabili pensieri…
E
tutto attorno la natura si offre nei suoi compositi aspetti, tra cui ammiriamo la
danza delle nubi, ma loro, burlandosi di noi si dissolvono come neve al sole…
Finita
la sosta riprendiamo il cammino, stavolta si rientra per la comodissima carrareccia,
che scorre a oriente, alcune decine di metri sotto la cresta. La raggiungiamo
per il ripido versante orientale e una volta sull’acciottolato, iniziamo il
nostro passo lento e a ritroso verso la località dove abbiamo lasciato l’auto. La rotabile in alcuni frangenti assume la
denominazione di sentiero CAI numerato 166, assai monotona per la lunga percorrenza
ma che elargisce ampi squarci visivi sull’altopiano di Lauco, inebriando lo
spirito di visioni immaginifiche, che fanno esclamare al miracolo. La vita è meravigliosa
e va vissuta per intera, attimo per attimo, ciuffo d’erba per ciuffo d’erba,
foglia per foglia, respiro per respiro, senza mai smettere di sognare.
Raggiunta
l’auto, costatiamo che è troppo presto per rientrare a casa e tanto tardi per rimanere
in montagna, quindi, con placidità, procediamo ad assumere un assetto da
escursionisti pronti al rientro. Effettuiamo il classico rito della
purificazione delle membra e degli abiti, seduti su una panca posta all’ombra
di un faggio e propensa verso la bellezza del paesaggio. Il rientro per la
carrozzabile accade dolcemente, ci godiamo il paesaggio, notando su un prato, e
in lontananza, due auto di colore rosso e azzurro, che sembrano amoreggiare. La
bellezza del luogo ha contagiato anche i mezzi meccanici, questa è magia allo
stato puro. Stavolta cambio direzione e procedo per Lauco, attraversando il bel
borgo carnico, dove volgo un pensiero all’amico Luca. Raggiunta Villa santina,
si rientra nella pianura in uno stato idilliaco, il medesimo che proviamo
quando rientriamo dal paradiso, ossia la meravigliosa Carnia.
Il
forestiero Nomade.
Malfa
* “…
è un’antica figura mitologia formata da tre gambe unite (simbolo del sole) in
un punto da un volto femminile, quella di gorgone, e dalla testa si diramano tre
spighe di grano. La testa della Gorgona è contornata da serpenti per indicare
la saggezza, le ali sono il simbolo del trascorrere del tempo, mentre le spighe
di grano simboleggiano la fertilità.
Essa
è anche il simbolo della Sicilia dal VII sec a.C.
Un
simbolo simile con le stesse origini remote è il Triskele dei celti, quindi dei
Carni. i Tre Cerchi dell'essere o della manifestazione: Ceugant, il Mondo dell'Assoluto;
Gwynwydd, il Mondo Spirituale dell'Aldilà e Abred, il Mondo Umano o della
Prova;
internamente
ad Abred è il simbolo dei tre aspetti del mondo materiale: la Terra
(cinghiale), l'Acqua (Salmone) e il Cielo (Drago) che con il loro movimento si
riuniscono tutti nel quarto elemento, il Fuoco, simboleggiato dal cerchio che
racchiude il triskell.
la
Triplice Manifestazione del Dio Unico: la Forza, la Saggezza e l'Amore e,
quindi, le tre classi della società celtica che incarnavano tali energie, Guerrieri,
Druidi e Produttori (i lavoratori);
il
Passato, il Presente e il Futuro riuniti al centro in un unico Grande ed Eterno
Ciclo chiamato Continuo Infinito Presente, in cui tutto esiste allo stesso
momento. Ecco perché, nella festa celtica di Samhain del 1º novembre gli uomini
potevano incontrare non solo i loro antenati defunti, ma anche i loro
discendenti ancora a venire;
le
tre fasi solari nella giornata: alba, mezzogiorno, tramonto;
la
Dea nei suoi tre aspetti di Vergine-Madre-Vecchia/Figlia-Madre-Sorella;
la
triplice manifestazione dell'uomo: corpo, emozioni/sentimenti/pensieri e
spirito, ma anche Azione, Sentimento, Pensiero e le tre età dell'esistenza
infanzia, maturità, vecchiaia;
la
triplice specializzazione della dea Brigit come custode e dispensatrice del
Fuoco Sacro e protettrice degli artisti, dei fabbri e dei guaritori;
il
segno sul quale il santo cristiano Patrizio spiegherà il concetto della Trinità
ai celti irlandesi, dopo avere trasformato però il triskele in un trifoglio.
il
simbolo della trinità femminile della battaglia Morrigan-Macha-Boadb e di
quella maschile Ogma-Lugh-Dagda
Anche
il senso di rotazione apparente del simbolo, come anche nella svastica, assume
un diverso significato: se, a partire dal centro del simbolo, le tre spirali si
avvolgono su sé stesse da destra verso sinistra viene rappresentato il
turbinare delle energie dall'interno verso l'esterno, ovvero la
"manifestazione"; se invece si sviluppano da sinistra verso destra si
simboleggia la discesa negli inferi. Nei popoli celtici e in termini di
simbolismo assoluto il Triskell rappresenta nella sua versione destrorsa,
ovvero con le spirali che si avvolgono verso sinistra, stilizzato, il movimento
del sole, e diventa quindi una specie di "ruota del Sole", con
riferimento al dio irlandese Dagda, e si connota così come simbolo positivo
accanto alla svastica indoeuropea. Nella sua variante sinistrorsa, ovvero con
le spirali che si avvolgono, o "finiscono", verso destra, questo
simbolo sarebbe un potente talismano contro il malocchio e la stregoneria in
generale, probabilmente in riferimento al suo carattere di "chiusura"
opposto a quello di "apertura" che distinguerebbe la versione
destrorsa, ma c'è da dire che questa versione è maggiormente caratterizzata
come "sinistra" e speculare alla sua opposta figurata come solare,
luminosa e vitale…”
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