Cima
di Camp da Pineda (Valle del Vajont)
Note
tecniche.
Localizzazione:
Gruppo Col Nudo- Cavallo.
Avvicinamento:
Montereale Valcellina-Barcis-Cimolais-Erto-rotabile per le frazioni di Pineda-
Lasciare l’auto presso una cappella votiva al margine della stradina.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: Pordenone
.
Dislivello:
900 m.
Dislivello
complessivo: 1200 m.
Distanza percorsa in Km: 18 Km.
Quota minima partenza: 770 m.
Quota
massima raggiunta: 1671 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 7 ore
In:
Coppia
Tipologia
Escursione: Selvaggio-naturalistica
Difficoltà:
E.E.S - Escursionisti esperti dotati di ottimo senso dell’orientamento e idonei
ad agire in ambiente selvaggio con percorso spesso privo di segni e di tracce
Tipologia sentiero o
cammino: Dalla partenza ala casera Ditta percorso turistico- dalla casera Ditta
alla forcella Col de Pino, escursionistico, con alcuni tratti da stare attenti.
Dalla forcella Col de Pino
alla Vetta, e proseguo sino alla forcella il Camp solo per Escursionisti esperti
dotati di ottimo senso dell’orientamento e idonei ad agire in ambiente
selvaggio con percorso spesso privo di segni e di tracce. Dalla forcella Il Camp
fino agli stavoli di Case Liron escursionistico. Dalle casere Liron al punto di
partenza- turistico.
Ferrata-
Segnavia:
CAI 905; 904; Dalla forcella Col Pino rari segni.
Fonti
d’acqua: Si, molteplici, soprattutto il versante meridionale
Impegno
fisico: medio alto
Preparazione
tecnica: medio alta
Attrezzature:
no
Croce di vetta: Si,
creata una minimalista
Ometto di vetta: si,
minuscolo.
Libro di vetta: istallato
barattolino di vetro a uso dei viandanti.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 021
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera-autunno
3)
4)
Da
evitare da farsi in: Con condizioni di sentiero umido o gelato
Condizioni del
sentiero: Ben marcato e segnato sino alla forcella Col de Pin; Sul versante
settentrionale, letteralmente sparito a causa di non frequenza.
Consigliati: Ramponcini per erba.
Data: 30 maggio 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Finalmente ho avverato
il desiderio di visitare la valle che ospita la casera Ditta. Sono anni che
percorro in lungo e largo i sentieri della valle del Vajont, ma per svariati
motivi ho sempre glissato di visitare la valle del torrente Mesaz. Per l’ascesa
alla Cima di Camp ho studiato un mio itinerario, quindi, con la compagna di
vita ci siamo organizzati per l’avventura. Il mattino dell’escursione sembra quello
propizio, le nubi latitano, solo qualcuna birbantella fa da cappello alle
grandi montagne, tra cui il Raut, Cima Manera e il Col Nudo. Percorriamo in
auto e con prudenza la valle del Cellino, sia per non travolgere qualche
animale selvatico che si è attardato nel rientro dalla libera uscita, o per i
numerosi autovelox, noti per la loro non indulgenza. Il limite è di cinquanta
chilometri orari, e quando passi lentamente sotto le telecamere ti par di accompagnare
un funerale. Una volta usciti nella valle che precede Cimolais ci attende una
delle più belle cartoline della montagna friulana, in un solo fotogramma catturo
il monte Lodin, il Duranno, la Cima dei Frati e la regina Cima dei Preti. Da sola
tale visione merita una levataccia.
Valicato il passo di
Sant Osvaldo ci inoltriamo nella valle del Vajont. La visione di questo magico luogo
è sublime, tra le signore montagne che catturano la nostra attenzione cito il
massiccio del Monte Borgà, Lo Zerten o Certen e la Cima Mora (che sovrasta la
nota frana), anche se molti la chiamano erroneamente il monte Toc (poco distinguibile
dalla valle). Procediamo con calma, siamo rapiti dalla bellezza del luogo.
Presso i resti della disastrosa frana del 1963, poco prima della diga, viriamo
a sinistra, percorrendo un tratto tetro e simbolico, ovvero l’abnorme materiale
depositato dalla frana nel lago del Vajont. Tale tragedia 58 anni fa provocò
notevoli danni e più di duemila morti. La strada che percorriamo porta alla
località Pineda, dove cerchiamo un posteggio per l’auto lungo il margine della rotabile, lo troviamo
presso una cappella votiva. Si scende dall’automezzo, si indossano gli zaini, e
si parte per questa nuova avventura. Seguiamo le indicazioni per la Casera Ditta,
risalendo un breve sentiero che si collega alla carrareccia che scorre pochi
metri sopra. La strada battuta è l’inizio del sentiero CAI 905, essa ci
accompagnerà per un breve tratto. Durante lo spostamento incontriamo una coppia
di escursionisti, con cui ci alterniamo nella marcia. La strada forestale
risale la valle scavata dal torrente Mesaz, essa è protetta dalle catene
montuose delle Cime di Pino, Col Nudo e Monte Toc. Un autentico paradisiaco teatro
naturale. Ad un bivio lasciamo la strada per imboccare il viottolo numerato 905
che si abbassa di alcune decine di metri per poi seguitare sulla sinistra
orografica del torrente. Alcuni scorci panoramici sono sbalorditivi, da uno di
questi ammiriamo la cuspide inconfondibile del Duranno. Con brio incediamo lungo
il bel sentiero, di tanto in tanto ci fermiamo donandoci un sorriso, per poi
riprendere il passo scaldati dal sole e guidati dalla dolce melodia scandita
dall’ininterrotto scorrere delle acque del torrente Mesaz.
Presso un tratto
delicato da superare incontriamo due simpatici escursionisti, loro, una volta informati
della nostra meta, ci mettono in guardia, avvisandoci che il gestore della casera
Ditta non è di buon umore. Ci consigliano vivamente di non passare dalla casera.
Ci congediamo dall’incontro, non ho osato confessare che non ho mai visitato il
rifugio, quindi accetterò il cimento e transiteremo per casera Ditta. Gli
ultimi metri che precedono il sentiero sono all’insegna dello spettacolo, guadiamo
il torrente transitando su una passerella in metallo abbastanza inclinata. Giunti
a ridosso della casera, ci accoglie un prato dagli accesi colori della
primavera che preannuncia la recinzione della casera, dove un cartello ci
invita a girare al largo se non abbiamo prenotato. Il tassativo avviso è dovuto
alla sicurezza e il distanziamento per il Covid. Impavidi ed eroicamente varchiamo
lo steccato e un bel cagnetto bianco, assunto come portiere diurno, ci viene
incontro, sicuro di impaurirci con il suo latrare poco convinto. Di seguito
udiamo l’inconfondibile voce di Gaia:<<Andate via! Andate via! Ma... Ma voi
siete Giovanna e Giuseppe! Venite avanti, venite su!>> Ecco, Gaia è la
nostra password per accedere al luogo tanto temibile. Una splendida e gioiosa ragazza
che da anni coadiuva il gestore nelle attività del rifugio. Una mansione che tanti
amanti della montagna agognano. La fanciulla ci inizia alla casera, in attesa
di presentarci il gestore. Io non ho mai visto l’uomo misterioso e temerario,
Giovanna sì. Lei è stata ben due volte, essendo amica di Gigliola, la mamma di
Gaia. Ispeziono i locali, e scopro musica per le mie orecchie e segni per la
mia vista. Più che un classico rifugio di montagna pare un circolo per spiriti
liberi. Ammiro l’effige del Che tinta in nero sulla parete esterna, e stimo il
cartello con la scritta” Razzisti, sovranisti e fascisti, non siete benvenuti”.
Lo stesso gruppo “La montagna per spiriti liberi” è stato ideato per unire e
non per dividere. La montagna non ha confini fisici o ideali, e chi li crea è
solo un povero di spirito. Il gestore è in cucina, sta preparando il pranzo per
una comitiva di giovani, tra di loro noto un volto orientale, e questo
amplifica la sensazione di universalità che sto avvertendo. Finalmente l’uomo
misterioso esce dalla cucina, ci presentiamo, si chiama Adriano Roncali. Ha un
aspetto giovanile, simpatico e un volto che emana luce, fisico asciutto e in forma,
sbarbato (chissà perché lo immaginavo con una barba tipo Mangiafuoco di
Pinocchio) e sfoggia una cortesia smisurata. Mi chiede dove andiamo, tiro fuori
la mini-mappa che ho al seguito e gli illustro i miei propositi escursionistici.
Mi avverte che quello che ho in mente è un percorso selvatico, troverò sicuramente
degli schianti dopo la forcella Col de Pin. Si ferma nella locuzione, ci scruta ed emana la
sentenza, che par essere una benedizione: <<Per voi non sarà un
problema!>> Ci congediamo con l’amico dopo esserci salutati alla maniera
nostra (vedere foto), e soprattutto con la promessa di telefonargli una volta
che abbiamo compiuto la missione, sia per rassicurarlo che per informarlo sulle
condizioni del sentiero. Partiamo da casera Ditta, salutiamo Gaia, intenta
nelle ordinarie operazioni, e seguiamo la nostra via. Poco sopra la casera il
sentiero si biforca, noi procediamo per quello a sinistra numerato 904, esso
conduce alla forcella Col de Pin. Il primo tratto di cammino è ripido e
adombrato dalla faggeta. Presso i ruderi
della casera Fratton (che mantiene intatto il fascino poetico della vestigia di
montagna) ci dilettiamo a fotografare i particolari architettonici misti a
quelli naturali. Di seguito, proseguendo il cammino, usciamo allo scoperto,
percorrendo una bellissima, selvaggia e soleggiata mulattiera, che taglia il
fianco meridionale della Cima di Camp. Alla nostra destra dominano la scena le
piramidali e imponenti cuspidi rocciose delle cime di Pino, che si pongono come
un insuperabile baluardo alla maestosità del Col Nudo. A volte superiamo dei tratti
esposti ma non pericolosi, e un paio di piccoli franamenti, ma ben segnati.
Guardando all’orizzonte percepiamo l’avvicinarsi della forcella. A volte è
istintivo fermarsi per volgersi all’indietro e ammirare la valle che abbiamo
percorso. Colmiamo gli occhi di tanta bellezza e con essi lo spirito, ricordi che
serberemo come energia positiva. Raggiunta la forcella Col de Pin, rudere di
edificio, lasciamo il sentiero 904 e viriamo a sinistra, dove troviamo sulle
cortecce dei faggi alcuni segni sbiaditi e dello stesso colore del CAI. Non immaginavo
che li avrei trovati, ne sono felice, e continuiamo a seguire la pesta a
occidente, finché non percorriamo il versante settentrionale del monte.
Proprio sotto delle
pareti rocciose decidiamo di calzare i ramponcini da erba. Percepisco la vetta
della Cima di Camp proprio sopra di noi, ma per raggiungerla dobbiamo effettuare
un percorso astruso. Dopo la breve pausa riprendiamo il cammino, entrando in
una ripidissima ed esposta distesa prativa, erosa in più punti da un inizio di
frana. La percorriamo zizzagando nell’ascesa per diminuire la fatica e trovare dei
passaggi più comodi, finché raggiunta la cresta del monte tutto si agevola. La
Vetta è a oriente e il crinale è protetto ed indicato dai faggi più coraggiosi,
quelli che in tutte le stagioni osano sfidare le intemperie in cambio del dono
di poter tutti i dì ammirar l’aurora e il crepuscolo.
Procediamo con gioia
verso la meta, sorridiamo, e dopo la quota più alta (un faggio) procediamo
verso quella panoramica, selvaggia e incantata, toccata da un infuocato raggio solare
come se fosse un fiabesco castello incantato. Un paio di arditi faggi e un mugo
materializzano la vetta, e poco oltre sta uno smussato ed esile precipizio
proiettato nel vuoto, come fosse una rampa da dove spiccano il volo le aquile
per un volo pindarico nel cielo che sovrasta la valle sottostante. Siamo
emozionati, spesso nelle piccole elevazioni troviamo l’estasi. Presso un incavo
creato dalle possenti radici del faggio sommitale trovo uno scrigno dove
serbare il barattolino di vetro per i viandanti. Di seguito ci spingiamo verso l’estremità
esposta, per ammirare il Col Nudo e le altre regine che ci attorniano.
Raggiunta e goduta la cima ci apprestiamo al rientro, compiendo un anello che
aggira il versante settentrionale del monte. Ripercorriamo a ritroso la cresta,
sulla quota più alta (un faggio) erigiamo con dei rami una croce minimalista, e
procediamo verso un tratto di cresta dove possiamo discendere con prudenza sino
a ritrovare in basso la traccia lasciata in precedenza.
Sembra che il cammino
sia agevolato, ma presso un pulpito panoramico perdo la pesta, quindi di
istinto passiamo alla configurazione di lupo, avviando gli istinti selvaggi, tra
cui l’orientamento e il procedere in terreno sconnesso. Aggiriamo il versante, stando
attenti a non scivolare giù a valle. Superato un canalone con residui di neve, continuiamo
l’aggiramento del fianco sino a scorgere una chiara traccia che ci guida fino
alla forcella del Il Camp. Da quest’ultima compare un’ampia mulattiera che ci
porterà a Valle. Dopo pochi metri di cammino, alla nostra sinistra è posto un
altarino basilare con lumini in cera donati in segno di devozione. Da questo
tratto il nostro viaggio sarà comodo e rilassante, solo due schianti da
superare con facilità, per il resto la lunga mulattiera con la dolcezza donata
dalla folta vegetazione ci guida sino alla periferia degli stavoli in basso.
Raggiunte le case di Liron, ne ammiriamo le forme, cercando negli oggetti disposti
all’esterno i segni del tempo trascorso. Ne approfittiamo finalmente per fare
la dovuta pausa pranzo, sostando presso un muretto a secco che adoperiamo come
panca. Siamo soddisfatti. Dalla località, immersi nel verde, ammiriamo il
vicino monte Zerten e il dirimpettaio monte Borgà, essi risvegliano al
sottoscritto tanti ricordi perduti che
racconto a Giovanna. Finita la breve sosta, riprendiamo il cammino, per la mulattiera
che ci guida sul ciglio della stradina asfaltata proveniente da Pineda.
L’ultimo tratto dell’escursione è il raggiungimento
della località Pineda tramite il superamento di due gallerie scavate nella
roccia. Fine dell’esplorazione! Siamo stanchi ma lieti per aver portato a
termine la missione. Una volta pronti, rientriamo a casa. Le note musicali dell’autoradio
con la voce di Franco Battiato si sposano con la nostra beatitudine di aver
trascorso un dì dell’esistenza in uno dei luoghi naturali più affascinanti del
Friuli.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento