Anello Monte Chiadins da Marins (San Francesco) Valle D’Arzino-UD.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche- Gruppo del
Verzegnis- Dorsale Verzegnis-Piombada.
Avvicinamento: Pinzano- Anduins- Valle D’Arzino-
San Francesco- lasciare l’auto presso uno spiazzo nella frazione di Marins.
Regione: Friuli-Venezia Giulia.
Provincia di. Udine
.
Dislivello: 650 m.
Dislivello complessivo: 850 m.
Distanza percorsa in Km: 12
Quota minima partenza: 400 m.
Quota massima raggiunta: 1123 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: Coppia
Tipologia Escursione: Panoramica- Naturalistica
Difficoltà: Escursionisti Esperti abili ad agire in ambiente
selvatico.
Ferrata-
valutazione difficoltà:
Segnavia: CAI 827- Segni rossi e piccole tabelle rosse
esplicative, tracce di raschiamento sulle cortecce dei faggi.
Fonti d’acqua: si, alcuni ruscelli e il rio Armentaria
Impegno fisico: medio alto
Preparazione tecnica: media alta
Attrezzature: si (breve cavo e staffe, in ottime condizioni)
presso un tratto di sentiero franato)
Croce di vetta: si,
minimalista, due pezzi di ramo, ma bella.
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si,
impiantato barattolo di vetro alla base della croce,
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera-autunno
3)
4)
Da
evitare da farsi in: in condizione di terreno asciutto, soprattutto il tratto
dalla Forchia dal Vedis alla Malga Armentaria.
Condizioni del
sentiero: Ben battuto, e ben segnato, solo dopo la Forchia dal Vedis, qualche
problema di orientamento.
Consigliati: Ramponcini da erba per il tratto esposto e selvaggio.
Data: mercoledì 03
marzo 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Dopo un lungo periodo
di non attività in sentieri selvaggi, torno alla grande con un anello che avevo
in mente da tempo. Con la stessa accesa brama di libertà sono andato alla
ricerca, di itinerari nuovi sulle mappe regionali. Sul monte Chiadins non sono
mai stato, e non ho trovato nessuna relazione sul web, quindi la cosa mi
attrae, e una volta studiata la topografia con i relativi tempi di impiego, mi
organizzo. Coinvolgo nell’impresa l’amico Fabio, sarà una buona occasione per
passare delle ore di conversazioni idilliache in uno dei nostri ambienti
preferiti. L’appuntamento è fissato a Pinzano, Fabio viene direttamente da
Trieste, insieme procediamo per la Valle D’Arzino. Poco dopo Anduins, ne
approfittiamo per fare una sosta e gustare un caffè presso un locale con i tavoli
all’aperto. Riprendiamo subito il viaggio per la valle, avremo tempo di parlare
durante l’escursione. Giunti nella frazione di Marins (San Francesco) troviamo
un comodo posteggio per l’auto, proprio sotto uno stavolo, in cui le porte sono
chiuse a lucchetto e decorate con lustrini a forma di cuoricini rossi.
Con l’amico ci
organizziamo per la partenza, noto che entrambi siamo bradipi nei movimenti,
come se effettuassimo un rito liturgico. Fabio si allontana un attimo per
riempire la sua bottiglia d’acqua, alla vecchina che lo ha incrociato non gli è
sembrato vero di ritrovarsi di primo mattino un bel uomo venuto dal mare e lo
disseta alla sua fonte, sull’episodio (Fabio e io) ci ridiamo su. Profetizzo
che durante l’escursione le battute umoristiche verranno fuori a raffica. Pronti,
si parte per la nostra meta, e una volta diretti a oriente, troviamo subito la
strada forestale, con i relativi cartelli CAI. Piano piano, con molta calma
inizia il nostro cammino, che ci conduce nella valle solcata dal rio
Armentaria. A un bivio seguiamo il sentiero a sinistra (numerato 827)
tralasciando quello numerato 840. Dopo un tornante notiamo, inchiodata a un
giovane fusto di pino una piccola targa in metallo, tinta di rosso con le
indicazioni a pennarello scritte in nero. Ci siamo, è il nostro sentiero
selvaggio. Lasciamo il sentiero CAI, per iniziare la santa ravanata. Malgrado
temessimo di trovare una traccia labile e i temuti schianti, rimaniamo sopresi,
il sentiero è ben marcato, ripido sì, ma magistralmente scavato nel pendio, in
modo di alternare i tratti erti con quelli comodi dei panoramici traversi.
Fabio e io siamo estasiati, è davvero un bel sentiero, ci galvanizza, bello
assai, che a descriverlo in versi non potrò mai illustrare le emozioni che provo.
Percorriamo in salita il versante sud-orientale del monte Chiadins, le
vegetazioni sono le tipiche specie dei sempre verdi aghiformi, tra cui fa la
parte del leone il bel pino silvestre. Nei tratti panoramici abbiamo modo di
ammirare le cime circostanti, in lontananza riusciamo a riconoscere le cuspidi
del Chiampon e del Cuar. Fa tanto caldo, ci alleggeriamo degli indumenti, e
proseguiamo per l’avventura. Percepiamo la cresta sempre più vicina, abbiamo
ben letto la mappa, ed ecco sbucare proprio sotto la cresta un rudere di stavolo
dagli interessanti particolari architettonici tra cui le arcate. Breve
ispezione all’interno dell’edificio, è un mistero come sia stato edificato a
questa quota. La vicina cresta consiglia di lasciare il sentiero che ora ha
preso le sembianze di una mulattiera, e di scalare in libera i ripidi e aurei
prati. Tratto molto faticoso, ma in breve siamo sulla cresta che porta alla
cima del Chiadins, posta a occidente. Sul
crinale non ci sono tracce, solo i ripidi versanti dove bisogna fare attenzione
nel percorrerlo sino alla vetta. La cima sembra non giungere mai, malgrado si
preannunci, dietro ogni elevazione se ne svela un ‘altra. Con Fabio ci alterniamo
nell’aprire la pista, finché una piccola spartana croce ci annuncia che le
nostre fatiche sono state premiate. Cima Chiadins è raggiunta, alta metri 1051,
è stata conquistata da due indomiti spiriti liberi, il resto è storia che
continuo a raccontare. In vetta effettuiamo una breve pausa, consumiamo solo
una buona tavoletta di cioccolata alle nocciole, per il pranzo abbiamo
prenotato un tavolo posto pochi metri dopo la Forchia dal Vidis.
Sulla vetta ci godiamo
il paesaggio, quello che i carpini neri e i faggi ci concedono di vedere.
Installo un barattolo di vetro alla base della croce, dove segnare il passaggio
dei viandanti nell’apposito blocco note. Passata una buona mezzoretta a
sollazzarci, e data un’occhiata all’ora, scopriamo che è meriggio, quindi decidiamo
di proseguire, compiendo l’anello. Decretiamo a priori, e nel pieno delle
nostre capacità di intendere e volere (atto notarile sepolto sotto un faggio), di
tralasciare il monte Ceresule per una prossima avventura, così diamo più decoro
e prestigio al monte Chiadins, nell’averlo scelto come unica vetta
dell’escursione odierna.
C’è molta ironia nel
nostro fare, soprattutto sarcasmo nei confronti di chi ha scambiato la montagna
come un luogo di competizione, una pista di formula uno, dove conta solo sommare
nomi e numeri; noi, Fabio e io, amiamo competere solo con il nostro io e i
nostri acciacchi.
Ripreso il cammino,
raggiungiamo in breve la mulattiera che si dirama pochi metri dopo i ruderi
dello stavolo, e proseguiamo, sempre seguendo i bolli rossi, in un avvallamento
che, man mano che avanziamo si veste di bianca neve, sino a fare sparire sotto
la coltre gli stessi segni rossi. Per un paio di metri perdiamo pure la
traccia, ma l’istinto da vecchi lupi di montagna, suona a unisono, nel medesimo
istante nelle nostre menti. Infatti, datoci uno sguardo di complicità e visionato
la mappa, guardiamo indietro, scorgendo altri segni rossi. L’istinto, sommato
all’esperienza, in molti casi diviene chiaroveggenza. Riprendiamo il cammino, guadando
il secco impluvio, che erroneamente stavamo risalendo. I segni rossi ci guidano
a risalire il ripido versante di una cresta, fino ad arrivare alla stretta
forcella (ostruita da uno schianto) che ci proietta sul versante meridionale.
Superata anche questa fatica, e trovato un comodo montarozzo, ci ricordiamo di
aver prenotato un tavolo e lo eleggiamo a refettorio. Zaini a terra, finalmente
ci si nutre, recuperiamo le energie; la pausa è breve, ma ci dà la giusta ricarica,
dopodiché, sparecchiamo, laviamo i piatti, ci riappropriamo degli zaini e
iniziamo la discesa per completare l’anello. Durante l’escursione abbiamo avuto
modo e lo faremo sino alla fine della stessa, di improntare un profondo e
costruttivo simposio, spaziando in lungo e largo nei meandri della cultura, tra
il serio e il faceto, non tralasciando l’eros nelle sue mille sfaccettature.
Dalle doti uniche delle milizie di Tebe a quelle spartane, dai convitti
socratici ai riti dionisiaci, e a volte, si va fuori tema nel parlare di
montagna. La montagna è una vera terapia per lo spirito, e le nostre
conversazioni hanno espanso questa valenza. Un faggio con un vistoso segno
rosso materializza la raggiunta destinazione della Forca dal Vedis, e per non
farci mancare il brivido dell’imprevisto, da quest’ultima si diramano ben
cinque tracce, quale sarà quella che ci porterà a valle? È quello che vedremo
nelle prossime puntate, ovvero ora. Non nascondo che abbiamo avuto un attimo di
smarrimento, e quindi dopo aver interrogato la mappa, il GPS e l’Oracolo di
Delfi, e provato tutte le direzioni possibili (i sentieri ascendono piuttosto
che discendere) di comune accordo si decide di proseguire per quella traccia a
sud est, che partendo dalla cresta che sale al monte Ceresule si rivela quella retta.
Due bolli rossi ci appaiono, e per noi sono un miracolo, come lo sono le pozze
d’acqua per gli assetati nel deserto. Un po’ di euforica gaiezza ci rapisce, ma
solo per un breve istante. La traccia labile e a volte inesistente, si rivela
un’autentica prova di ardimento. In sintesi, il sentiero che percorreremo in
discesa aggira il versante meridionale del monte di Ceresule con alcuni passaggi
assai esposti e adrenalinici, degni dei nostri amici Federica e Loris o dei più
noti greppisti. Un autentico sentiero selvaggio, che stimola a sperare che non vi
siano interruzioni, perché sarebbe un’autentica tragedia. Fortunatamente, tutto
fila liscio, e dopo alcune centinaia di metri di sentiero ardito, la traccia si
fa più comoda, si concede al nostro passo come lo facevano le ancelle della dea
Ishtar con i forestieri. Camminiamo ora con
passo sicuro sino a fluire nella strada forestale proveniente da oriente. I
pericoli oggettivi dovrebbero essere finiti, tiriamo un sospiro di sollievo e
andiamo a ispezionare la bella costruzione della Malga Armentaria. L’edificio è
in ottime condizioni ma chiuso ai viandanti, un malcostume che abbiamo
ritrovato in alcune sezioni CAI. Ripreso il cammino, continuiamo l’anello,
seguendo i segni bianco-rossi del CAI e il sentiero numerato 827. Ci abbassiamo
ancora di quota sino a guadare il Rio Armentaria, per poi continuare sulla
sinistra orografica dello stesso, da oriente a occidente. Un altro ritaglio di
escursione davvero spettacolare, sentiamo lo scorrere del rio e il getto di
alcune cascate, un tratto di sentiero ha ceduto a causa di uno smottamento, ed è
stato attrezzato con dei cavi e staffe di ottima fattura. Percorriamo il cuore
della valle, e dal basso a volte scorgiamo la vetta del Chiadins. È un
autentico viaggio da sogno quello che stiamo percorrendo, e tutta questa magnificenza
in una sola escursione. Dopo aver guadato per la seconda volta il rio, ora il
sentiero riprende la fisionomia di una carrareccia, ben percorribile con un
fuoristrada. Beati e paghi raggiungiamo il punto di partenza del sentiero
selvaggio intrapreso in mattinata, e proseguiamo per i comodi e ampi tornanti
per la frazione di Marins. L’escursione volge al termine, il medesimo gatto dal
pelo bianconero, che stamattina dubbioso ci vide partire per l’odissea, ora,
sorpreso più che mai, ci vede rientrare, stanchi, distrutti, con armi usate,
abiti laceri, ma soddisfatti. È stata una stupenda escursione, in ottima
compagnia, tra veri spiriti liberi, amici, gente di mare, dall’aspetto simile ai
Normanni, che si incontrano nella terra appartenuta un tempo ai Veneti e ai
Carni, eredi degli antichi Celti. L’escursione nella nostra testa non ha
termine, continua, passeremo la notte e il giorno a seguire a rivivere i
momenti salienti. Sicuramente i nostri scarponi ritorneranno, insieme, a percorrere,
in lungo e largo, altri sentieri di questa e di altre fantastiche regioni.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
Bravissimi nell'ordinamento, complimenti
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