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martedì 9 marzo 2021

Monte Chiarandeit e Cereis da Forchia di Meduno (PN)

Monte Chiarandeit e Cereis da Forchia di Meduno (PN)

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Prealpi Carniche Sottogruppo Valcalda-Verzegnis- Ciaurlec.

 

Avvicinamento: Lestans-Meduno- presso il borgo prendere la rotabile con destinazione Campone- Lasciare l’auto in uno dei numerosi spiazzi presenti presso la Forchia di Meduno.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

Provincia di: Pordenone

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Dislivello: 500 m.

 

Dislivello complessivo: 700 m


Distanza percorsa in Km: 10 km


Quota minima partenza: 630 m.

 

Quota massima raggiunta: 1079 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore

In: Coppia

 

Tipologia Escursione: naturalistica

 

Difficoltà: escursionistica

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: CAI locale- bolli arancioni

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: Istallate croci costruite con rametti

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: tutto l’anno.

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato


Consigliati:

Data: 06 marzo 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Il paradiso è a pochi chilometri da casa e non può attendere, ecco come mi appaiono i primi rilievi che scorgo da Lestans, un autentico e infinito universo di combinazioni escursionistiche e di sentieri da esplorare. Per poter godere di questo piacere basta poco, solo lo zaino, un paio di scarponi e tanta voglia di libertà. In questa escursione, Giovanna e io, ritorniamo su un monte che abbiamo fatto tempo fa, ovvero il monte Chiarandeit, una elevazione posta a occidente dell’altopiano del Ciaurlec. Effettueremo un anello, con partenza e rientro dalla Forchia di Meduno.

Vista la vicinanza della meta, ce la prendiamo comoda, e dopo una ricca colazione, trasbordiamo il materiale da trekking in auto, per poi partire per la meta, con noi oggi sarà il vecchio e inossidabile Magritte.

Raggiunta la Forchia, appena fuori dall’abitacolo, veniamo gelati dalla temperatura esterna, che troviamo insolitamente invernale, quindi, ci copriamo bene e partiamo per la nostra avventura. Dalla Forchia di Meduno, riconoscibile anche per il tempietto dedicato agli alpini, ci incamminiamo sulla strada forestale che percorre e aggira la valle posta tra il monte Chiarandeit e il monte Mulon. I primi passi sono lenti, man mano che camminiamo ci scaldiamo, nel frattempo la natura si risveglia e si prepara per le nozze con la primavera, presentando i primi timidi segni attraverso delle splendide fioriture. Le nubi che fino a pochi minuti prima avvolgevano le creste dei monti ora si diradano, scoprendo un bellissimo cielo dal color cobalto. Lungo il cammino scorgiamo due operai intenti a rendere più sicura la carreggiabile, ci salutiamo alla “spiriti liberi maniera” e si continua per la carrareccia che inizia ad aumentare la pendenza e guadagnare quota. Sul versante orientale si aprono ampi squarci nella vegetazione che permettono di ammirare i monti che circondano la Val Tramontina, tra cui riconosciamo subito le inconfondibili moli dei monti: Rest, Valcalda, Roppa Buffon e le creste minori.

La passeggiata inizia ad avere i suoi effetti benefici, i cuori traboccano di contentezza, abbracciamo intensamente alcuni alberi, tra cui un faggio dalle grandi dimensioni. Per un breve tratto, quando la stradina taglia il versante occidentale del monte, scorgiamo delle lingue di neve ai margini del tratturo per poi sciogliersi appena la rotabile è illuminata e scaldata dai caldi raggi solari. 

Presso quota 900 m, visitiamo gli affascinanti stavoli di Cereis, posti presso un pulpito panoramico e in eccellenti condizioni. Tutto intorno agli edifici vi sono dei prati curati e delle panche poste in bella vista e in attesa di visitatori romantici. Che meraviglia! Ci accomodiamo su una panca posta ed esposta sul versante occidentale, da dove possiamo ammirare la cresta innevata del Monte Raut, ignari che nel frattempo alcuni amici spiriti liberi ne stanno scalando la vetta.

Proviamo gioia allo stato puro, la bellezza di un mondo remoto che continua a sbalordirci con le sue magiche visioni. Come si fa a resistere alla bellezza, impossibile non amare ciò che ci circonda e non lasciarsi andare alla contemplazione sarebbe un misfatto. Continuiamo per la nostra meta, percorriamo per brevi metri un antico sentiero, per poi riprendere la carrareccia. Un centinaio di metri dopo, do un’occhiata al versante del monte Chiarandeit e alla mappa, percepisco e leggo la vicinanza alla vetta, quindi chiedo a Giovanna se gli va di raggiungerla per un ripido pendio selvatico con percorso libero, acconsente, quindi si procede.

Dalla carrareccia, miriamo al vertice, tagliando e filtrando dove è possibile tra faggi e cespugli, a volte la vegetazione si fa fitta per poi diradarsi. Il pendio è molto scosceso, dopo un centinaio di metri di quota calpestiamo la prima neve, molto dura, ma procediamo tranquilli. La vegetazione selvaggia non ci ostacola più di tanto, lasciandoci intuire tra un arbusto e l’altro, le vie di passaggio e la giusta direzione. Poco sotto la sommità affiorano le prime rocce dalla chiara conformazione carsica, e superate quest’ultime siamo in cresta. Manca poco alla vetta, scorgo una labile traccia che mi conduce a essa, e dopo un paio si saliscendi tra gli esili faggi, uno striminzito ometto ci indica che siamo giunti a capolinea, la meta principale è raggiunta. La vetta del monte Chiarandeit è posta a 1079 m. di quota. Per godere del panorama bisogna portarsi alcune decine di metri avanti, fuori dalla boscaglia, da dove si può ammirare la pianura friulana a occidente. Noi ci ingegniamo per costruire un ometto più corposo, dove poter sormontare una piccola croce ideata con rami e al suo interno istallare un barattolino di vetro con il simbolo del gruppo e il libretto per annotare il passaggio dei viandanti. Dopo le rituali foto, si riprende il passo, mirando a sud, per la località Stavoli Del Bianca, dove effettueremo la meritata sosta per il pranzo. Proprio ai margini del ripido prato di vetta si dirama una traccia poco battuta e non segnata, che ci porta, con una serie di tornanti alla località Li Pocis.  Gli stavoli Del Bianca sono preceduti da un incantevole laghetto artificiale, l’atmosfera è così magica che ci pare di vagare dentro un acquerello di Turner.  La visione romantica cattura l’animo, donandoci tanta beatitudine. Dopo aver ammirato il laghetto, ci avviciniamo a delle panche costruite con tronchi d’albero e poste fuori dagli stavoli, proprio sotto un meraviglioso abete rosso. Questa magica visione da sola è valsa la fatica finora affrontata.

Zaini a terra, finalmente si mangia, e dal sacco bazar estraggo la borsa ristorante dove ho messo di tutto. Divoriamo con brama il lauto pranzo, e sperando che la sonnolenza non abbia il sopravvento, ci approntiamo per continuare il viaggio. Prima di partire ispezioniamo un locale insito nello stavolo e adibito come rifugio per i viandanti; meditate gente, meditate, questo è un alto segno di civiltà.  Il localino disposto su due piani, è accessibile tramite una scaletta, ed è provvisto di sedie nel piano superiore, dove è possibile pernottare con sacchi a pelo. Sul pavimento sono disposti dei giochi da tavolo, mentre una finestra si apre sul panorama. Finita la visita del locale, sempre fuori sentiero, procediamo per la cresta Li Pocis che parte a sud dell’abete con panche, e dopo alcune centinaia di metri ci troviamo davanti uno spettacolo, degno di nota, davvero unico e immaginifico. Tra le dune si apre uno scenario fantastico, circumnavighiamo il bordo di una enorme dolina, che sembra immaginata dagli scrittori di storie fantastiche. Non è difficile ideare nel frangente gnomi, draghi, soldati a cavallo, unicorni, fate e streghe, basta solo lasciarsi andare alla fantasticheria. Non immaginavamo di trovare tale meraviglia, e ora è difficile proseguire il viaggio, siamo letteralmente incantati, ma dobbiamo andare avanti. Continuando per il terreno carsico, e dopo aver superato un’altra dolina (ma non bella e ampia come la prima), cavalchiamo la cresta, sempre in direzione sud, finché, dopo alcuni saliscendi, incrociamo un sentiero marcato (e segnato con bolli color arancio) proveniente dalla carreggiabile percorsa in precedenza. Dopo pochi metri, lasciamo provvisoriamente il sentiero, per raggiungere poco più in alto nel boschetto, un masso nascosto tra la selvatica vegetazione, esso materializza la vetta del monte Cereis (961 m.).

I secchi arbusti e la selvaggia vegetazione (noccioli soprattutto) proteggono la massima elevazione e la rendono poco panoramica e occultata al viandante, ma è pur sempre una vetta. Noi ci ingegniamo di nuovo a erigere un’altra piccola croce, sempre con rami, e con alcuni sassi costruiamo sul grande masso un ometto dove serbare il contenitore del libro di vetta per viandanti.

L’operazione ci sottrae alcuni minuti, ma è divertente. Finite le operazioni di edificazione, mentre Magritte sonnecchia profondamente, effettuiamo la foto di rito, per poi riprendere il cammino. Il sentiero bollato in arancio, dopo pochi metri sbuca allo scoperto, affacciandosi sul vertice inerbito del pendio che come un balcone domina tutta la pianura friulana. Spettacolo da mozzare il fiato, rimaniamo estasiati, nell’ammirare la bellezza della pianura sottostante. Brevi momenti di altissima contemplazione prima di iniziare la lunga discesa per il ripido pendio. La traccia è ben marcata e segnata, gli operatori della sezione CAI di appartenenza del monte hanno effettuato un lavoro encomiabile. Scendere per il pendio è davvero sublime, la traccia dopo un tratto quasi verticalmente ripido, vira a sinistra, attraverso una lunga diagonale che ci riporta al tempietto alpino, dove si chiude l’anello escursionistico. Presso il monumento sacro ci fermiamo a porgere un saluto a coloro che hanno donato la vita alla patria, e da buon soldato l’attimo è profondo e partecipe. Sono sicuro che ritorneremo presto in questo luogo, abbiamo individuato altri sentieri a noi sconosciuti, e altri sicuramente ne cela la montagna. Una volta raggiunto il parcheggio dell’auto, ancora inebriati dalla beatitudine, ci avviamo per la strada del rientro, anche questa stavolta con una nuova storia vissuta da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa


























































































 

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