Note tecniche.
Localizzazione: Alpi Carniche
Avvicinamento: Lestans-
Pinzano-Cornino-Interneppo-Cavazzo Carnico-Tolmezzo-Valle del But-
Caneva-Fusea- Ampio parcheggio presso uno spiazzo periferico.
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Dislivello: 700 m.
Dislivello complessivo: 700 m.
Distanza percorsa in Km: 8 Km.
Quota minima partenza: 700 m.
Quota massima raggiunta: 1034 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: paesaggistica-naturalistica
Difficoltà: Escursionistiche
Ferrata-
valutazione difficoltà:
Segnavia: Locali della comunità segni bianco-verdi e In un
frangente bolli rossi (ampia e ricca segnaletica).
Fonti d’acqua: si, molteplici rivoli.
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: Croce di vetta e cassetta porta libro di vetta
sul Monte Dobis, presso il Cuel Maior, sulla quota più alta, sotto un alberello,
edificato dal sottoscritto un ometto con all’interno raccoglitore libretto di
vetta.
Ometto di vetta: SI
Libro di vetta: si, leggere a Croce di vetta.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 013
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: tutto l’anno
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Consigliati:
Data: sabato 27 febbraio 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La precedente esplorazione sulla vetta del monte Diverdalce mi
ha svelato un universo ignoto, come se avessi scoperto in una biblioteca che
credevo conosciuta uno scaffale carico di libri mai letti. L’eccitazione della precedente
escursione è ancora viva nello spirito, sono appena passati due giorni e con il
cuore sono rimasto sui prati di Curiedi, consapevole che a breve sarei
ritornato.
Infatti, dopo solo due giorni, rieccomi a scorrazzare per i
sentieri dell’altopiano tolmezzino, e in compagnia della mia signora, che
simpaticamente e caparbiamente ambisce ad aggiungere cento al numero delle cime
conquistate. L’occasione si presenta propizia, vagheremo in lungo e largo, tra
l’utile e il dilettevole. Le mete prefissate sono il Monte Dobis e il Cuel di
Maior, con in aggiunta una spruzzata abbondante di bianco candore. Raggiunta la
località di Fusea, respiriamo tutta la poesia che può elargire un borgo di
montagna: l’aria fresca primaverile, il canto dei galli, il latrare dei cani e il cinguettio degli uccellini.
Osserviamo tutto intorno, inebriati e ricambiati dalla cortesia
degli abitanti del luogo.
È divino udire un cordiale mandi, e riverirlo con un altrettanto
salve, non abbiamo ancora indossato gli scarponi e già siamo euforici. Una
volta pronti si parte, passiamo prima per i vicoli del paesello, osservando anche
i più piccoli particolari, come: un fermaglio di capelli smarrito o i vetri
delle finestre ornati con merletti. L’atmosfera è magica, e perdurerà per tutta
l’escursione. Appena fuori dal borgo ci immettiamo sul breve tratto di strada campestre
iniziando la nostra avventura dal sentiero segnato in bianco-verde e chiamato
Strozador. Il tracciato con una breve serie di tornanti ci porta all’imbocco
dell’altopiano del Curiedi.
Dopo pochi minuti di cammino, siamo a ridosso della stradina
asfaltata che proviene da Fusea, e dirimpetto, un altro cartello (con gli
stessi colori del precedente), ci invita a proseguire per la cima del Monte
Dobis. La bianca e morbida neve fa subito la sua comparsa, e sarà di compagnia
sino al pulpito panoramico. Seguiamo le orme di chi ci ha preceduto, così
fatichiamo di meno. Il sentiero è ben segnato, a tratti molto ripido. Progrediamo
in salita con calma, la giornata propizia è l’ideale per una passeggiata in
montagna, l’azzurro e terso cielo è tinto dalle sparute bianche timide nubi.
Superata l’elevazione più alta (1034 m.), usciamo fuori dal
fitto bosco di faggi, percorrendo gli ultimi metri (esposti sul versante a
sud-est), prima di raggiungere il belvedere (minuta croce in metallo e cassetta
porta libro di vetta) che si affaccia sull’ampia conca tolmezzina (quota 1024
m.).
Solo questa visione è valsa la levataccia. Sul sito troviamo una
coppia di giovani intenti (seduti su un tronco d’albero che fa da panchina) ad
ammirare il paesaggio. Il monte Amariana (la regina di Tolmezzo) domina lo
spettacolare panorama, gli altri monti circostanti, lontani o meno elevati, paiono
paggi, in confronto. In basso guardiamo il confluire del fiume But nel
Tagliamento, tramite le enormi lingue detritiche dei rispettivi letti; anche i
monti partecipano allo sposalizio tramite le varie tonalità di colore che variano
dall’ocra al grigio azzurro.
Paiono lontani i suoni meccanici delle sirene delle fabbriche
che scandiscono un tempo che da quassù è incantato. Se in questo preciso istante
mi fosse chiesto come vorrei rappresentare la felicità, risponderei: << Guardati
intorno, ammira e leggine la risposta!>>
Effettuata la prima breve sosta, continuiamo per la seconda meta.
Come avevo ben presagito, in cresta scorgo dei segni biancoverdi, e dei paletti
che invitano a seguirli sul versante meridionale, aggiungo anche, che oggi ho
dimenticato il GPS a casa, quindi procedo alla vecchia maniera, cioè mappe alla
mano e istinto come guida.
Il primo tratto di sentiero (molto ripido) è sgombro da neve,
che troviamo poco dopo quando il versante si appiana. Un cartello, dai colori identici
ai precedenti, ci invita a proseguire a destra per il Cuel Maior.
Percorriamo per breve tratto un piano innevato, per poi scendere
velocemente, tramite lo stesso sentiero, per il versante occidentale del monte.
La neve prima svanisce per poi riappare nutrita e profonda nel
fondo valle. Raggiunto il piano di Feralz, stavolta seguiamo dei provvidenziali
bolli rossi, avanziamo a rilento a causa dell’affondare dei nostri arti nel
bianco manto. Durante la faticosa progressione ci concediamo anche alla
contemplazione della flora, ripassando i nomi degli alberi che ben conosciamo.
Raggiunto un torrente dalla fluente acqua, lo guadiamo,
continuando il passo (sempre seguendo e calcando le orme del misterioso omino
che ci ha preceduto) sino a una trattoria isolata e chiusa. Le stesse orme ora
conducono a una carrareccia, che percorriamo per alcuni metri. Un respiro
di petali di rosa dal colore vermiglio (giunti chissà da dove) attrae la mia
attenzione, indicandomi sulla neve l’esatta direzione da seguire. Un segno
bianco-verde oltre l’accumulo di neve e ancora le impronte dell’omino, indicano
il sentiero, stavolta saliamo per il versante orientale del Cuel di Maior.
La mulattiera è ben segnata, solo la neve ne ostacola il facile
cammino, specie dove manca la copertura delle chiome degli aghiformi. Raggiunto
un cartello posto al centro di un avvallamento, continuiamo per la cima del
Cuel Maior, che dista solo cinque minuti. Il tratto ripido della parte
terminale del colle è solcato dalla stretta mulattiera, che denota la chiara
fattura di matrice bellica. In pochi minuti raggiungiamo un affascinante
belvedere, e dopo aver sfiorato alcuni ruderi di postazioni proseguiamo per la
vetta del colle (1023 m.), materializzata da due piazzole in calcestruzzo, adoperate
dalle batterie di artiglieria.
È chiaro che l’opera militare risale alla Prima Guerra Mondiale,
dove le due bocche da fuoco dell’artiglieria vegliavano continuamente sulla
conca tolmezzina.
Ai margini della piazzola, quella più a meridione, è posta una
panchina fissa a beneficio degli escursionisti.
Nel punto più alto del colle, protetto da arbusti di faggio e carpino
nero, ereggo un corposo ometto di sassi, sovrastato da una croce realizzata con
due rametti. All’interno del gruppo di sassi serbiamo un piccolo contenitore
con un libretto di vetta. Di seguito, a un ramo del carpino nero, lego una piccola
bandiera tricolore, in onore dei colleghi artiglieri che più di cento anni fa
presidiavano il colle. Ci dà gioia
vedere e sentire lo sventolio del tricolore spinto da un brioso Grecale,
dedichiamo un attimo di commosso silenzio a chi ha servito la Patria con
l’uniforme grigio-verde.
Dopo la religiosa sacralità del raggiungimento della meta, ora
ci dedichiamo all’operazione ludica, ma non per questo meno indispensabile, ovvero
la consumazione del lauto pranzo. Come postazione per banchettare scegliamo la
panchina, meglio non potevamo augurarci.
Dal pulpito panoramico lo sguardo spazia all’infinito dalle
creste friulane a quelle carniche. Ricordi di escursioni vicine e lontane che
si sovrappongono e fondono nei ricordi, e questa cima è l’ideale per
festeggiare la centesima prima vetta conquistata della mia signora. In tutta
l’escursione abbiamo incontrato e sempre a debita distanza, solo cinque viandanti.
Finita la pausa pranzo, decidiamo di rientrare, anche se a
malincuore. Ripercorriamo il sentiero a ritroso sino al cartello incontrato in
precedenza, e da quest’ultimo, seguendo le indicazioni, ci inoltriamo per
Curiedi (Feralz).
Il manto di neve è onnipresente, avanziamo per il sentiero che
sciorina tra i piccoli colli, spesso affondando fin sopra al bacino. Ma nulla
di pericoloso, anzi, molto divertente. Raggiunta la periferia di Curiedi siamo
fuori dal bosco, ammiriamo lo stupendo paesaggio, dove spiccano le singole
fattorie erette sui brevi colli dell’altopiano, e poco distante il versante
meridionale del monte Diverldalce, ormai quasi sgombro da neve.
Una gaiezza di spirito pervade il nostro animo, la felicità la
si intuisce dai volti. Rientriamo a Fusea con gli occhi illuminati dalle
recenti visioni, ma non miriamo subito all’auto. Dato che la luce perdura dedichiamo tempo a
una preziosa escursione tra gli stretti vicoli della frazione. Dopo aver giocherellato
con un simpatico cane pastore, sempre lo stesso della volta precedente, quello posto
di guardia più per fede che per convinzione, ci avventuriamo dentro Fusea.
Quello che noto subito sono la caratteristica bellezza locale delle abitazioni carniche,
e la non comune gentilezza dei nativi. Molte case sono in vendita, non
nascondiamo che un pensierino lo facciamo. Presso un lato della piazza del
paese (al centro di essa obelisco monumentale dedicato ai caduti delle due guerre)
notiamo, un punto blu con defibrillatore, che troviamo un altissimo e sentito
segno di civiltà, davvero lodevole. Proseguiamo per i vicoli, e tramite delle
scalette raggiungiamo la chiesetta e campanile che sovrastano il paese. Edifici
remoti e in eccellente stato di conservazione, che risalgono al XII secolo, e
assieme al prato circostante danno vita a uno splendido pulpito panoramico, che
domina dalla sua posizione la valle sottostante. Gli ultimi passi tra i vicoli
a carezzare il borgo, circunavigandolo per gli aurei prati che portano all’auto.
Abbiamo l’animo inebriato da tanta
bellezza, ci dispiace molto rientrare, un pezzo del nostro cuore rimarrà ancora
quassù. Il togliere gli scarponi, il prepararsi e il rombo del motore
suggellano l’inizio del rientro al vivere quotidiano. Un'altra nostra avventura
è giunta felicemente a termine, con tanti meravigliosi ricordi da serbare nel profondo
del cuore o da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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