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martedì 16 febbraio 2021

Monte Vit (723 m.) da Anduins

Monte Vit (723 m.) da Anduins

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Prealpi Carniche

 

Avvicinamento: Lestans- Valeriano-Pinzano- Casiacco- Anduins- Dal centro del paesello seguire le indicazioni per la chiesa di Santa Margherita (m 381, comodo parcheggio).

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

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Dislivello: 600 m.

 

Dislivello complessivo: 600 m.


Distanza percorsa in Km: 13


Quota minima partenza: 381 m.

 

Quota massima raggiunta: 795 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: storico-paesaggistica

 

Difficoltà: turistica-escursionistica

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: Locali- bolli giallo -rossi

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: basso

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: Si, presso pulpito panoramico Vit.

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: tutto l’anno

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Remoti troi in buone condizioni


Consigliati: Macchina fotografica, luogo bellissimo.

Data: 11 febbraio 2018

Il “Forestiero Nomade”
Malfa                     

L’assassino spesso ritorna sul luogo del delitto, e mi riferisco al sottoscritto, che a circa due mesi dall’escursione sul Monte Pala, vaga nel gruppo montano che sovrasta le frazioni di Anduins, Clauzetto e Vito d’Asio. Il punto di partenza è prefissato ad Anduins, poco dopo la chiesetta che domina dall’alto la frazione (quota 381 m.).

 Una volta raggiunta la località, mi appronto velocemente per l’escursione, sperando bene nelle previsioni metereologiche. Da una scaletta accedo alla mulattiera con le indicazioni “Strada di Mont”, percossa di recente, e confesso che continua a deliziarmi.

L’arteria montana, con il suo lineare taglio sul versante del monte, stimola a lasciarsi andare a riflessioni meditative, e la leggera nebbiosità con l’ausilio di alcune gocce di pioggia, aumenta questa curiosa sensazione. Durante l’ascesa incontro una coppia di senili escursionisti, hanno l’aspetto di chi conosce benissimo il luogo. Al primo bivio seguo a destra la mulattiera, dirigendomi alla nota pieve della Madonna delle nevi. All’interno del luogo di culto lascio un libro a beneficio dei viandanti, “Cent’anni di solitudine” il capolavoro di   Gabriel García Márquez. Da tempo pensavo a questa iniziativa, e da oggi persisterò in questo proposito. Anche il sostare dieci minuti per leggere una pagina di un libro è un toccasana per lo spirito, fa stare tanto bene, mai dimentico che una volta la cultura era solo a beneficio delle classi agiate. 

Continuo il cammino, seguendo il sentiero di cresta, sino al pulpito panoramico dove è in bella mostra il mosaico dedicato alla Madre del Friuli. La nebbia copre la visione, continuo l’escursione a settentrione, scendendo rapidamente in un avvallamento prativo e mirando a nord-ovest, ben sicuro di trovare una traccia che mi porta agli stavoli di Fagel.

L’atmosfera creata dalla vegetazione e dalla bruma mattutina è magica, stimola a sognare e lasciarsi andare a mille e più fantasie.

Come avevo intuito, trovo la pista e subito dopo sono a ridosso del borgo. Una graziosa capretta, legata a un albero, mi dà il benvenuto, venendomi incontro essa mi annuncia la presenza del villaggio.

Raggiunto il borgo, mi fermo alla prima casa, che ha un aspetto trascurato e kitsch, come se l’edificio fosse abitato da un viandante. Infatti, dopo aver udito l’abbaiare del cane legato, il belare della capretta, e percepito la curiosità di un gruppo di gatti, odo il cigolio delle cerniere della porta dell’abitazione, e da esso vedo venir fuori un gigante dall’aspetto buono. Sorrido, mi ricorda dall’aspetto un normanno: forte, coraggioso, intrepido ma dall’animo nobile.

L’omone si chiama Gino, ci presentiamo, instaurando una breve, calorosa e piacevole conversazione. Vive, come unica e costante presenza umana, in questo pittoresco borgo, usufruendo alla meno peggio dei beni di consumo essenziali della nostra civiltà, cioè, luce e acqua.

Un vero spirito libero, che ha deciso di vivere nella completa solitudine e lontano da tutti. Ci vuole coraggio per essere veramente liberi, e lui lo è. La conversazione termina velocemente, avrei voluto visitare il suo alloggio, mi rimane la curiosità e la richiesta non compita, sarà per un‘altra volta. Mi congedo dall’amico, con il mio classico saluto a V con le  due dita della mano, saluto anche gatti, capre e il cane, e continuo il cammino.

La frazione di Fagel è davvero ammaliante, con i suoi stavoli in buone condizioni e disposti intorno a un ampio prato, come se ricalcasse il perimetro di un antico castelliere. Dagli stavoli mi congiungo a una stradina asfaltata e mi avvio a nord-ovest, imboccando, alla prima diramazione, la stradina a sinistra che si inoltra sino alla Valle di Mont.

Dopo una serie di tornanti, la strada di montagna si apre sui prati della piccola valle. A sinistra scorgo dei cartelli, un gigantesco abete rosso e posto come sentinella all’inizio del troi che mi riporterà al ritorno sulla mulattiera percorsa in mattinata.

Dopo pochi metri scorgo a destra un prato che conduce a un solitario stavolo, esso mi attrae e chiama con il suo silenzioso aspetto, ed è naturale avvicinarmi per indagare.

L’edificio è una struttura costruita sapientemente con i sassi, divisa in più piani, ma quello che mi colpisce in particolare sono la forma delle finestre. I fabbricanti hanno ideato con le pietre (sapientemente scelte) architravi sormontati da triangoli, in modo da suddividere e scaricare meglio il peso. I muri spogli e l’assenza delle imposte in legno consumate dal tempo, dona agli edifici un aspetto simile a quello della civiltà micenea. C’è tanta magia nell’atmosfera, mi aspetto che all’improvviso una divinità esca dalle semioscurità. La sosta al remoto edificio dura giusto il tempo concesso all’amore per il sacro animo, e poi riprendo il passo, seguendo prima la strada asfaltata, e persistendo a non cadere nella tentazione di lasciare il selciato per i morbidi prati.

Una stradina di montagna mi invita a seguirla ad occidente, delimitata da uno steccato in legno, essa conduce ai margini occidentali della valle. Sono sicurissimo che il luogo era frequentato sin dai tempi remoti, ci trovo tutti i previsti elementi naturali tranne lo scorrere di un torrente. Ammiro gli isolati stavoli, posti a debita distanza l’uno dall’altro, in ottime condizioni, e sovrastati dal misterioso e fitto bosco che tinge di verde ombroso le pendici meridionali del Monte Pala.

Seguo sempre la carrareccia, ho fame, effettuo una pausa presso uno stavolo. Un tavolo con panche è posto all’esterno, dal camino dell’edificio viene fuori del fumo, svelando che della brace arde all’interno di un caminetto, e le recenti tracce degli pneumatici sul prato mi indicano che la dimora è abitata. La breve pausa del pasto è rapita anch’essa dalla visione delle vestigia di quello che ammiro del circondario. Tanti stavoli in ricostruzione, muri a secco che creano disegni sul terreno. Mi nutro di cibo, ma anche di amore, e mai di esso mi sazio. Fantastico su quanto sarebbe stato bello essere all’interno dello stavolo, seduto su una vetusta sedia a dondolo, un plaid sulle gambe, un bicchiere di rosso e un buon libro.  Riprendo il cammino, seguendo la carrareccia sino a un bivio, indicazioni per il Mont di Vit, ci metterò un po’ a intuire che la scritta Vit sta per Vito d’Asio, e che il monte citato è il colle a cui mi appresto a fare una doverosa visita di cortesia.

Stavolta seguo un vero e proprio sentiero, lungo il cammino trovo alcune indicazioni con cartelli. Raggiungo la forcella che si affaccia sulla frazione di Vito d’Asio, il sentiero scende al borgo, io proseguo a sinistra per la cresta. Dopo alcuni metri, su un tratto molto scosceso ed esposto una luminosa croce in legno segna il pulpito panoramico che domina Vito d’Asio e i colli circostanti. Lo sguardo vola sino alla pianura friulana solcata dal magico scorrere del fiume più bello d’Italia, il Tagliamento.

Il gioco delle nubi lascia filtrare i raggi del sole, nebulizzi di azzurro tingono la volta celeste, la magia del creato gioca a fare l’artista, e io, da umile spettatore, assisto alla prodigiosa rappresentazione. Sono tremendamente attratto sempre da ciò che mi sovrasta, sia in senso metaforico che fisico, insieme al sapere prediligo l’ignoto.

Poco avanti scorgo la quota più alta del monte Vit, mi approssimo ad esso tramite un troi edificato con muri a secco perimetrali, e che con il suo andamento lineare accarezza, poco sotto, a settentrione, la cresta del monte. La traccia non è segnata sulla mappa, benché sia molto evidente, peccato. Per un breve tratto lo lascio, salendo in cresta e raggiungendo il punto più alto, ovvero degli enormi macigni dirupanti a meridione. Mi districo tra la selvaggia cresta e raggiunto il masso più alto, trovo all’interno della sua forma carsica una fenditura idonea a ospitare il contenitore con il segno di passaggio del viandante.

Con cautela, scendo di pochi metri di quota sino a ricongiungermi con il remoto sentiero di prima. Lo percorro con gioia, intuisco che continua a lambire la cresta sino al decrescere della quota. Poi ad un tratto, per alcune centinaia di metri, vira a settentrione, sfiorando i ruderi di uno stavolo e alberi secolari dalle più svariate forme. Un vero incantesimo da svelare, ogni singola foglia, pietra, albero è una storia che va ascoltata, vissuta e raccontata. È cotanta l’energia vitale che assimilo, pari a quella che emano. Con la natura ho avuto sin da fanciullo, un canale preferenziale. Sono cosciente di essere un uomo fortunato, un prescelto, e ad essa, la vita, mi dono senza esitazioni. Il sentiero adesso sembra rientrare nell’aurea prateria, ma devia improvvisamente, come se volesse posticiparmi il rientro, lo seguo, e confesso, con qualche esitazione. La traccia lascia il troi ben marcato e scende per stretti tornanti lungo il costone orientale del monte, sino a sbucare in un pulpito panoramico vegliato dalle rovine di un vecchio edificio, e una ancona (Pre Daniele del XIX secolo e dedicata ai santi Umberto e Vittoriano) in ottime condizioni.  Mi ritrovo in un altro luogo magico, proteso verso la pianura, sicuramente un osservatorio dei Celti o dei Legionari Romani, di seguito canonizzato e messo a disposizione della civiltà montana.

Il sentiero scende sulla strada asfaltata, seguo una traccia a sinistra del rudere, che in breve (sfiorando i tralicci dell’alta tensione) mi porta sui tanto agognati prati dorati della Val di Mont. Ma il viaggio magico non è ancora finito. Appena fuori dal sentiero scorgo un’architettura commemorativa costruita sull’adiacente colle. Il monumento è stato edificato dagli alpini nel 1982, in onore dei propri caduti. Un’aquila di bronzo sovrasta la struttura in pietra, lanciandosi con il suo volo verso la vicina pianura. Lo stridere dell’aquila e il tricolore che sventola sul pennone, il berretto con la penna nera, sono un chiaro monito a chi vuol buttare alle ortiche la secolare tradizione del prestigioso e glorioso corpo dell’esercito italiano. Accosto la ghirlanda spostata dal vento al monumento, un attimo di silenzio in onore dei caduti, e riprendo il cammino per il rientro.

Stavolta taglio per i prati, un’emozione che avevo solo rinviato in precedenza. Raggiunto l’inizio del sentiero che mi porta ad Anduins, seguo le indicazioni, lambendo altri stavoli. La originaria vegetazione arborea posta a perimetro del sentiero indica il continuo scorrere del tempo. Sono continuamente immerso dentro un'altra epoca, e questa sensazione la nutrirò sino alla periferia di Anduins. Poco prima del parcheggio ricevo un gradito e sorprendente omaggio floreale, una rosa di colore rosso magenta scuro, che racchiude il fuoco della passione e la sublimazione della vita nei suoi delicati petali. È una fioritura fuori stagione, non la colgo, la fotografo e basta, dipingendola nel cuore. Così ha termine una splendida escursione, ricca di poesia, amore e calore umano. Un altro sogno vissuto a occhi aperti.

 

Il Forestiero Nomade.

Malfa














































































 

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