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lunedì 22 febbraio 2021

Monte Monticello m 1362. da Badiuz (Grauzaria) Moggio Udinese.

Monte Monticello m 1362. da Badiuz (Grauzaria) Moggio Udinese.

 

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche-Gruppo -Sernio-Grauzaria

Avvicinamento: Statale Pontebbana-Moggio Udinese-Val Aupa-Grauzaria- Strada Forestale per Monticello- Spiazzo per auto poco dopo la fine del tratto asfaltato.

Punto di Partenza: Borgo Badiuz.

Dislivello: 800 m.

Dislivello complessivo: 800 m.

Distanza percorsa in Km: 12 km.

Quota minima partenza: 830 m.

Quota massima raggiunta: 1362 m.

In: coppia.

 Tipologia Escursione. Escursionista Panoramica.

Difficoltà: Escursionistica.

Segnavia: CAI 420; 421-

Tempo percorrenza totale: 5 ore escluse le soste.

 

Ferrata-valutazione difficoltà:

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio-alto per via di presenza di neve marcia sul sentiero.

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si, coperto da neve

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 018
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: Tutto l’anno

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato: Segnalo un vistoso franamento di dieci metri di sentiero tra il borgo Badiuz e la cappella della Forca.


Consigliati:

Data: 2 0 febbraio 2021


Relazione.

C‘era una volta e c’è ancora una meravigliosa valle, Val Aupa. Questo bellissimo luogo è un magnifico scrigno, un’isola che non c’è, o meglio l’isola del tesoro. I suoi gioielli sono i monti che la circondano, sicuramente tra i più affascinanti del Friuli, ed è impossibile resistere al suo fascino. La piccola cittadina di Moggio ne è il custode, posta alle porte di essa come guardiano. Tra le sue magnificenze cito le cime del gruppo Sernio-Grauzaria e l’entusiasmante “Alta Via” che dal Pisimoni (Cavaliere indomito e possente) con alpinistici saliscendi raggiunge le lontane e dolomitiche Crete di Gleris. Spaziare con lo sguardo nel suo mondo è come entrare in una ricca e fornita pasticceria. Negli anni trascorsi ho fatto le cime più rinomate su entrambi i versanti della valle del Torrente Aupa, per poi scoprire con la maturità le cosiddette “cime minori”, che poi minori non sono. Questa primavera affrontando il Cimadors dal borgo Grauzaria, conversai con un vallegiano che mi indicò tra le possibili cime da fare in zona “il Monticello”. Osservai il monte indicato, lo snobbai giudicandolo erroneamente piccolo e boscoso. Ripensando ad una massima che cita “solo gli idioti non cambiano parere “, ho cambiato presto opinione.

Osservando la morfologia del territorio da una mappa, sono rimasto colpito dalla semplicità, così ho deciso di vivere l’escursione come in una favola.

Così scrivevo nel 2016, quando affrontai l’escursione per il Monte Monticello da Moggio Udinese. Dopo un lustro la voce del vallegiano ritorna nei miei ricordi, e con il medesimo itinerario da lui consigliatomi. Le nevicate di quest’anno sono state abbondanti, quindi sono ben cosciente che troverò il versante occidentale del monte ben coperto. Anche in questa avventura mi è accanto la compagna di tutta una vita, portiamo al seguito le ciaspole, decideremo sul luogo se adoperarle.

Si arriva in Val Aupa nel primo mattino, ci aspetta la bella mole della Grauzaria, mi fermo al solito luogo con un punto di vista particolare e fotografo la regina dei monti Friulani. La Grauzaria ha una bellezza unica, benché superi di poco i 2000 metri ha un fascino tutto suo, regale, dolomitico, è una delle montagne più belle del Friuli, insieme all’altra regale Cyanevate.

Per la valle di Monticello viriamo per il piccolo borgo di Grauzaria, e di seguito percorriamo, sempre in auto, la strada forestale, che con dei ripidi tornanti risale il versante settentrionale del Monte Monticello, sino alla periferia del borgo Badiuz.

Finito il tratto asfaltato, il terreno ghiacciato e un ampio spiazzo ci consigliano di lasciare l’auto e proseguire con zaino e scarponi. Consiglio colto al volo, ci allestiamo, e indossate le ghette, ci involiamo per la nuova avventura, percorrendo i pochi metri di sterrato che ci separano dalla stradina campestre.  In un viale adornato di faggi secolari e altre specie di arbusti, camminiamo con attenzione. A causa della temperatura mattutina la neve è ghiacciata e insidiosa in più punti. Dopo un centinaio di metri siamo a ridosso degli stavoli di Borgo di Mezzo, i rumori causati dalla laboriosità dell’uomo e i caminetti fumanti, rendono viva l’atmosfera del remoto borgo. Il latrare di un cane attira la nostra attenzione verso un vicolo dove i segni bianco-rossi del CAI ci guidano attraverso un prato ammantato di bianco. Altri paletti con gli stessi segni ci portano fuori dal prato, verso una bella mulattiera (sentiero CAI 420).

La neve nel versante esposto al sole scompare dal tracciato. Il sentiero percorre a mezza costa le ripide pendici occidentali del monte Monticello, esso, collega la valle montana alla periferia di Moggio Udinese. Sulla mulattiera proviamo tante emozioni, e un senso di felicità dovuta alla libertà del camminare con lo zaino al seguito. Alcuni cartelli indicano il sentiero che stiamo percorrendo (Cengle dal Malar) e un rio che interseca il percorso (Riu dali Culturis).

Una simpatica e timida salamandra pezzata attraversa il sentiero, dal suo incedere comprendiamo come vivere profondamente delle meraviglie della natura. Si procede con gaiezza, alcuni alberelli divelti sono facili ostacoli da superare senza lo sciorinare di acrobazie plastiche, mentre una scultura di ghiaccio da lontano ci inganna, apparendo come il corpo ignudo di una dea (Diana). Tutto intorno è magia, e noi sogniamo.

A un tratto abbiamo una sorpresa non gradita, ben dieci metri di cammino sono smottati in un tratto molto esposto, impossibile proseguire. Medito se: rinunciare all’ascesa al Monticello, o come superare l’ostacolo. Con molta perizia e calma, studio l’inconveniente e mi ingegno. Decidiamo, di comune accordo con la mia signora, di superare dall’alto il tratto franato, seguendo una labile traccia di capriolo, e adoperando come aiuti fissi, i ramoscelli d’albero, e in alcuni casi anche ciuffi d’erba. Una volta superato il tratto eroso, ci abbassiamo, sempre con cautela, fino a raggiungere il sentiero oltre la frana. Il passaggio delicato ha tolto un po’ di energie psicologiche alla mia compagna, la montagna è anche incontrare imprevisti.

Ripreso il passo e di buona lena procediamo per la mulattiera, raggiungendo in breve la Forca, una forcella con cappella votiva (Maine della Forca di Monticello) dove il sentiero si divide in più direzioni.

Il sentiero 420 prosegue a sud per Moggio paese, una traccia ben marcata non CAI per gli stavoli di Moggessa, mentre noi imbocchiamo il sentiero 421, che ci guiderà sul monte Monticello. Durante la breve sosta alla Maine della Forca, veniamo raggiunti da una bella coppia di giovani escursionisti provenienti dalla nostra stessa direzione e scortati da due simpatiche cagnette. Anche loro, logicamente, hanno superato l’ostacolo della frana, e si dirigono alla nostra stessa meta. Dopo una breve e gaudente conversazione ci congediamo dai giovani viandanti per proseguire il cammino. Proprio sopra la cappella votiva, una serie di brevi passaggi ci guidano sino al primo tratto della lunga mulattiera militare che ascende al monte. La neve inizia a fare la sua magica comparsa, e man mano che saliamo di dislivello si fa più consistente. Da un lustro non ritornavo sul bel monte, e devo ammettere che la neve fradicia e illibata da impronte umane, rende il cammino molto faticoso. Nel primo tratto mi tocca fare da apripista, Giovanna calca le mie impronte; inizio ad avvertire la fatica, ma la visione del bianco manto e del cielo azzurro mitiga lo sforzo.

La bella mulattiera di guerra per il bianco candore mi pare una via di latte, tutta luminosa e splendente, profusa di luccichii che sanno di fiabesco. Passo dopo passo, ci alziamo di quota, ammirando le crode della Grauzaria, del Sernio e le altre limitrofe, tutte illuminate da una luce surreale. La mulattiera sembra non giungere mai alla cresta, per un breve tratto percorre il versante orientale (dove si ricongiunge con il sentiero proveniente da Moggio), per poi riprendere il cammino sul versante occidentale. Quasi come un tacito accordo, cediamo il passo alla giovane coppia che nel frattempo ci ha raggiunti, saranno ora loro a farci da apripista, e la differenza del passo si sente sin da subito, fatichiamo molto di meno.

Raggiunta una grotta, viriamo a sud, cavalcando un’incredibile cresta di neve, finché scorgiamo il vertice della croce in metallo emergere dalla neve. Fatta! Monte Monticello è stato raggiunto, e oltre alla soddisfazione personale riceviamo il plauso dei simpatici escursionisti che ci hanno preceduti e lo scodinzolare dei loro stupendi pelosi.

Ci sarà almeno un metro di neve in cima sotto i nostri scarponi, troviamo un cantuccio, vicino i giovani amici, dove poter fare una pausa per rifocillarci, e soprattutto, una posizione non esposta sui ripidi versanti. Riprendiamo con i ragazzi la conversazione da dove l’avevamo interrotta, scoprendo, che sono tosti e hanno esperienza da vendere per quanto riguarda la montagna. Ma quello che mi colpisce, in particolar modo, è la loro dolcezza e bontà, che trapela notevolmente dalle poche frasi e dagli altrettanti episodi citati. È proprio vero, che in montagna (tranne che in rari casi) si incontra gente perbene, e in questo noi siamo fortunati. Mi prodigo a giocare anche con le cagnette, sono così carine e affettuose, che in cuor mio ne adotterei una. Magritte, il nostro glorioso fido, oggi non è con noi, per sopraggiunti limiti di età lo abbiamo tenuto a riposo, lo coccoleremo una volta rientrati a casa. Malgrado la giornata sia spettacolare e il cielo terso, si decide di rientrare, preceduti di pochi minuti dai giovani. Abbiamo a disposizione all’incirca due ore di luce, e sono preoccupato per quel tratto franato, dopo aver superato l’ostacolo sarò più tranquillo, consapevole di avere al seguito delle torce nel caso malaugurato che facesse buio.

La discesa avviene velocemente, contrariamente a come siamo di solito fare. In meno di un’ora e quindici minuti siamo sul tratto franato, che stavolta, con nostra stessa sorpresa, superiamo agevolmente e senza patemi. Confesso, che me lo aspettavo e lo speravo. A volte, in montagna, alcuni tratti di percorso complessi paiono meno problematici al rientro, come, se la mente elaborasse i dati appresi e trovasse una serie di soluzioni per affrontare meglio l’ostacolo nel suo riproporsi.

Passato il tratto franato, pochi metri dopo ci concediamo una pausa. Cambio i calzini inzuppi d’acqua, accidentalmente della neve mi è penetrata negli scarponi tramite le ghette. Ripreso il cammino, riprendiamo il nostro andamento classico, cioè blando, godendoci gli ultimi istanti di luce prima che re sole tramonti dietro le montagne. Raggiungiamo il borgo di Badiuz, riammirando i vecchi casolari che sanno di vissuto, e con la mente voliamo in un lontano passato, quando queste frazioni pullulavano di vita: dura, sacrificata, ma sempre vita era. Il rientro a valle ha il candore della beatitudine, gli occhi e la nostra memoria ancora sfavillano della poesia che il monte innevato ci ha donato. Abbiamo accumulato tanta energia positiva, che serberemo a lungo e ci sarà di conforto, durante il normale vivere del quotidiano.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.

 




























































 

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