Note tecniche.
Localizzazione: Alpi Carniche-Gruppo -Sernio-Grauzaria
Avvicinamento: Statale Pontebbana-Moggio Udinese-Val
Aupa-Grauzaria- Strada Forestale per Monticello- Spiazzo per auto poco dopo la
fine del tratto asfaltato.
Punto di Partenza: Borgo Badiuz.
Dislivello: 800 m.
Dislivello complessivo: 800 m.
Distanza percorsa in Km: 12 km.
Quota minima partenza: 830 m.
Quota massima raggiunta: 1362 m.
In: coppia.
Tipologia Escursione.
Escursionista Panoramica.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia: CAI 420; 421-
Tempo percorrenza totale: 5 ore escluse le soste.
Ferrata-valutazione
difficoltà:
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: medio-alto per via di presenza di neve marcia
sul sentiero.
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si,
coperto da neve
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 018
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: Tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: Ben segnato e marcato: Segnalo un vistoso franamento di dieci metri
di sentiero tra il borgo Badiuz e la cappella della Forca.
Consigliati:
Data: 2 0 febbraio 2021
Relazione.
C‘era
una volta e c’è ancora una meravigliosa valle, Val Aupa. Questo bellissimo
luogo è un magnifico scrigno, un’isola che non c’è, o meglio l’isola del tesoro.
I suoi gioielli sono i monti che la circondano, sicuramente tra i più affascinanti
del Friuli, ed è impossibile resistere al suo fascino. La piccola cittadina di
Moggio ne è il custode, posta alle porte di essa come guardiano. Tra le sue
magnificenze cito le cime del gruppo Sernio-Grauzaria e l’entusiasmante “Alta Via”
che dal Pisimoni (Cavaliere indomito e possente) con alpinistici saliscendi
raggiunge le lontane e dolomitiche Crete di Gleris. Spaziare con lo sguardo nel
suo mondo è come entrare in una ricca e fornita pasticceria. Negli anni trascorsi
ho fatto le cime più rinomate su entrambi i versanti della valle del Torrente Aupa,
per poi scoprire con la maturità le cosiddette “cime minori”, che poi minori
non sono. Questa primavera affrontando il Cimadors dal borgo Grauzaria,
conversai con un vallegiano che mi indicò tra le possibili cime da fare in zona
“il Monticello”. Osservai il monte indicato, lo snobbai giudicandolo erroneamente
piccolo e boscoso. Ripensando ad una massima che cita “solo gli idioti non
cambiano parere “, ho cambiato presto opinione.
Osservando
la morfologia del territorio da una mappa, sono rimasto colpito dalla
semplicità, così ho deciso di vivere l’escursione come in una favola.
Così
scrivevo nel 2016, quando affrontai l’escursione per il Monte Monticello da
Moggio Udinese. Dopo un lustro la voce del vallegiano ritorna nei miei ricordi,
e con il medesimo itinerario da lui consigliatomi. Le nevicate di quest’anno
sono state abbondanti, quindi sono ben cosciente che troverò il versante
occidentale del monte ben coperto. Anche in questa avventura mi è accanto la
compagna di tutta una vita, portiamo al seguito le ciaspole, decideremo sul
luogo se adoperarle.
Si
arriva in Val Aupa nel primo mattino, ci aspetta la bella mole della Grauzaria,
mi fermo al solito luogo con un punto di vista particolare e fotografo la
regina dei monti Friulani. La Grauzaria ha una bellezza unica, benché superi di
poco i 2000 metri ha un fascino tutto suo, regale, dolomitico, è una delle
montagne più belle del Friuli, insieme all’altra regale Cyanevate.
Per
la valle di Monticello viriamo per il piccolo borgo di Grauzaria, e di seguito
percorriamo, sempre in auto, la strada forestale, che con dei ripidi tornanti
risale il versante settentrionale del Monte Monticello, sino alla periferia del
borgo Badiuz.
Finito
il tratto asfaltato, il terreno ghiacciato e un ampio spiazzo ci consigliano di
lasciare l’auto e proseguire con zaino e scarponi. Consiglio colto al volo, ci
allestiamo, e indossate le ghette, ci involiamo per la nuova avventura,
percorrendo i pochi metri di sterrato che ci separano dalla stradina
campestre. In un viale adornato di faggi
secolari e altre specie di arbusti, camminiamo con attenzione. A causa della
temperatura mattutina la neve è ghiacciata e insidiosa in più punti. Dopo un
centinaio di metri siamo a ridosso degli stavoli di Borgo di Mezzo, i rumori
causati dalla laboriosità dell’uomo e i caminetti fumanti, rendono viva l’atmosfera
del remoto borgo. Il latrare di un cane attira la nostra attenzione verso un
vicolo dove i segni bianco-rossi del CAI ci guidano attraverso un prato ammantato
di bianco. Altri paletti con gli stessi segni ci portano fuori dal prato, verso
una bella mulattiera (sentiero CAI 420).
La
neve nel versante esposto al sole scompare dal tracciato. Il sentiero percorre
a mezza costa le ripide pendici occidentali del monte Monticello, esso, collega
la valle montana alla periferia di Moggio Udinese. Sulla mulattiera proviamo
tante emozioni, e un senso di felicità dovuta alla libertà del camminare con lo
zaino al seguito. Alcuni cartelli indicano il sentiero che stiamo percorrendo
(Cengle dal Malar) e un rio che interseca il percorso (Riu dali Culturis).
Una
simpatica e timida salamandra pezzata attraversa il sentiero, dal suo incedere
comprendiamo come vivere profondamente delle meraviglie della natura. Si
procede con gaiezza, alcuni alberelli divelti sono facili ostacoli da superare
senza lo sciorinare di acrobazie plastiche, mentre una scultura di ghiaccio da lontano
ci inganna, apparendo come il corpo ignudo di una dea (Diana). Tutto intorno è
magia, e noi sogniamo.
A
un tratto abbiamo una sorpresa non gradita, ben dieci metri di cammino sono smottati
in un tratto molto esposto, impossibile proseguire. Medito se: rinunciare
all’ascesa al Monticello, o come superare l’ostacolo. Con molta perizia e
calma, studio l’inconveniente e mi ingegno. Decidiamo, di comune accordo con la
mia signora, di superare dall’alto il tratto franato, seguendo una labile traccia
di capriolo, e adoperando come aiuti fissi, i ramoscelli d’albero, e in alcuni
casi anche ciuffi d’erba. Una volta superato il tratto eroso, ci abbassiamo,
sempre con cautela, fino a raggiungere il sentiero oltre la frana. Il passaggio
delicato ha tolto un po’ di energie psicologiche alla mia compagna, la montagna
è anche incontrare imprevisti.
Ripreso
il passo e di buona lena procediamo per la mulattiera, raggiungendo in breve la
Forca, una forcella con cappella votiva (Maine della Forca di Monticello) dove
il sentiero si divide in più direzioni.
Il
sentiero 420 prosegue a sud per Moggio paese, una traccia ben marcata non CAI per
gli stavoli di Moggessa, mentre noi imbocchiamo il sentiero 421, che ci guiderà
sul monte Monticello. Durante la breve sosta alla Maine della Forca, veniamo
raggiunti da una bella coppia di giovani escursionisti provenienti dalla nostra
stessa direzione e scortati da due simpatiche cagnette. Anche loro,
logicamente, hanno superato l’ostacolo della frana, e si dirigono alla nostra
stessa meta. Dopo una breve e gaudente conversazione ci congediamo dai giovani
viandanti per proseguire il cammino. Proprio sopra la cappella votiva, una
serie di brevi passaggi ci guidano sino al primo tratto della lunga mulattiera
militare che ascende al monte. La neve inizia a fare la sua magica comparsa, e
man mano che saliamo di dislivello si fa più consistente. Da un lustro non
ritornavo sul bel monte, e devo ammettere che la neve fradicia e illibata da
impronte umane, rende il cammino molto faticoso. Nel primo tratto mi tocca fare
da apripista, Giovanna calca le mie impronte; inizio ad avvertire la fatica, ma
la visione del bianco manto e del cielo azzurro mitiga lo sforzo.
La
bella mulattiera di guerra per il bianco candore mi pare una via di latte, tutta
luminosa e splendente, profusa di luccichii che sanno di fiabesco. Passo dopo
passo, ci alziamo di quota, ammirando le crode della Grauzaria, del Sernio e le
altre limitrofe, tutte illuminate da una luce surreale. La mulattiera sembra
non giungere mai alla cresta, per un breve tratto percorre il versante
orientale (dove si ricongiunge con il sentiero proveniente da Moggio), per poi
riprendere il cammino sul versante occidentale. Quasi come un tacito accordo,
cediamo il passo alla giovane coppia che nel frattempo ci ha raggiunti, saranno
ora loro a farci da apripista, e la differenza del passo si sente sin da subito,
fatichiamo molto di meno.
Raggiunta
una grotta, viriamo a sud, cavalcando un’incredibile cresta di neve, finché
scorgiamo il vertice della croce in metallo emergere dalla neve. Fatta! Monte
Monticello è stato raggiunto, e oltre alla soddisfazione personale riceviamo il
plauso dei simpatici escursionisti che ci hanno preceduti e lo scodinzolare dei
loro stupendi pelosi.
Ci
sarà almeno un metro di neve in cima sotto i nostri scarponi, troviamo un
cantuccio, vicino i giovani amici, dove poter fare una pausa per rifocillarci,
e soprattutto, una posizione non esposta sui ripidi versanti. Riprendiamo con i
ragazzi la conversazione da dove l’avevamo interrotta, scoprendo, che sono
tosti e hanno esperienza da vendere per quanto riguarda la montagna. Ma quello
che mi colpisce, in particolar modo, è la loro dolcezza e bontà, che trapela
notevolmente dalle poche frasi e dagli altrettanti episodi citati. È proprio
vero, che in montagna (tranne che in rari casi) si incontra gente perbene, e in
questo noi siamo fortunati. Mi prodigo a giocare anche con le cagnette, sono
così carine e affettuose, che in cuor mio ne adotterei una. Magritte, il nostro
glorioso fido, oggi non è con noi, per sopraggiunti limiti di età lo abbiamo tenuto
a riposo, lo coccoleremo una volta rientrati a casa. Malgrado la giornata sia
spettacolare e il cielo terso, si decide di rientrare, preceduti di pochi
minuti dai giovani. Abbiamo a disposizione all’incirca due ore di luce, e sono
preoccupato per quel tratto franato, dopo aver superato l’ostacolo sarò più
tranquillo, consapevole di avere al seguito delle torce nel caso malaugurato
che facesse buio.
La
discesa avviene velocemente, contrariamente a come siamo di solito fare. In
meno di un’ora e quindici minuti siamo sul tratto franato, che stavolta, con
nostra stessa sorpresa, superiamo agevolmente e senza patemi. Confesso, che me
lo aspettavo e lo speravo. A volte, in montagna, alcuni tratti di percorso complessi
paiono meno problematici al rientro, come, se la mente elaborasse i dati
appresi e trovasse una serie di soluzioni per affrontare meglio l’ostacolo nel suo
riproporsi.
Passato
il tratto franato, pochi metri dopo ci concediamo una pausa. Cambio i calzini inzuppi
d’acqua, accidentalmente della neve mi è penetrata negli scarponi tramite le
ghette. Ripreso il cammino, riprendiamo il nostro andamento classico, cioè blando,
godendoci gli ultimi istanti di luce prima che re sole tramonti dietro le
montagne. Raggiungiamo il borgo di Badiuz, riammirando i vecchi casolari che
sanno di vissuto, e con la mente voliamo in un lontano passato, quando queste
frazioni pullulavano di vita: dura, sacrificata, ma sempre vita era. Il rientro
a valle ha il candore della beatitudine, gli occhi e la nostra memoria ancora sfavillano
della poesia che il monte innevato ci ha donato. Abbiamo accumulato tanta
energia positiva, che serberemo a lungo e ci sarà di conforto, durante il
normale vivere del quotidiano.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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