Monte Tamer Grande.
Localizzazione: Dolomiti di Zoldo -gruppo del Tamer-San
Sebastiano.
Regione: Veneto
Avvicinamento: Avvicinamento:
Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Forno di
Zoldo -Dont- Indicazioni per passo Duran-Raggiunto il passo Duran lasciare
l’auto in uno dei numerosi parcheggi.
Dislivello: 950 m.
Dislivello complessivo: 960 m.
Distanza percorsa in Km: 16
Quota minima partenza: 1600 m.
Quota massima raggiunta: 2547 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: Gruppo(trio)
Tipologia Escursione: paesaggistica-alpinistica
Difficoltà: Escursionisti esperti con passaggi di I e II grado.
Segnavia: CAI 524- bolli rossi e ometti
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: medio-alta
Attrezzature: si
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si, anche troppi
Libro di vetta: istallato
barattolino con il simbolo del gruppo.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: 1) Carta Topografica Tabacco 025 –
DOLOMITI DI ZOLDO, CADORINE E AGORDINE
2) Bibliografici:
3) Internet:
1)
Periodo consigliato: luglio-ottobre
2)
3)
Da evitare da farsi in: In presenza di
vetrato, o terreno umido
Condizioni del sentiero: ben segnato e marcato
Fonti d’acqua: si
Consigliati: caschetto, inutile la corda per via della
roccia marcia.
Data: venerdì 31 luglio 2020
Malfa
L’ascesa alla cima Pramper è diventata per il
sottoscritto la madre di tutte le battaglie, da allora, mi sono spesso
proiettato nel magico mondo delle dolomiti di Zoldo, tralasciando le
tradizionali e ben conosciute mete friulane. Per quest’ultima uscita ho pensato
alla cima nord del Tamer, e come compagni d’avventura gli estroversi Dario e
Francesco.
La prima riunione per decidere la meta definitiva l’abbiamo
compiuta nel quartiere generale di Dario (la sua abitazione). Dopo aver escluso
vette prestigiose come il K2, il Duranno, e l'Aconcagua, ne rimangono due
papabili: il Cervino e il Tamer Grande. Seguono lunghe ore di discursioni e di
indecisioni (caffè a gogò), e il Cervino sembra prevalere, ma si va al voto
segreto. Finalmente la fumata è bianca, e dall’ urna esce il nome del Tamer e
una scheda bianca! Le difficoltà sono appena all’inizio, bisogna comunicare la
scelta a Francesco, cosa non facile, nessuno di noi ne ha il coraggio. Mi
prendo l’incarico, e dopo alcune ore di riflessione, mi trinco una bottiglia di
Whisky
e telefono all’amico. Attimi palpitanti e di tensione. Appresa la notizia.
Francesco inizia un altro giro di consultazioni (lo immaginavo), entro la
mezzanotte viene confermato il Tamer, con la clausola che si dovrà partire dal
Passo Duran per il sentiero 524 (noto come “il cammino dello sterco delle
vacche”). Purtroppo, Dario deve ingoiare il rospo, in cuore suo spera che le
vacche che pascolano nel passo Duran siano passate a una vita migliore, cioè in
macelleria come bistecche di manzo. L’appuntamento è fissato all’indomani e al
solito posto, cioè, presso la caserma dei carabinieri di Montereale: << Prima
o poi Francesco si costituisce.>> Commentiamo con l’amico.
Il giorno dell’escursione approdo nel cortile
dell’abitazione di Dario (presso Maniago), con 3 minuti e 27 secondi di
anticipo, trovando lo stesso alle prese Boto (il suo bel cagnetto) che deve
fare i bisognini, mi chiede se devo farli anch’io, lo ringrazio del gentile invito,
e gli rispondo che ho già dato. Mentre Dario finisce di espletare le ultime
operazioni, io giochicchio con una simpatica micetta (Avana), tenerona e
vogliosa di tante coccole. Nel frattempo, ricevo un sms da Francesco,
aggiornandomi che da tempo remoto gironzola sul luogo prefissato. Infatti, noi,
raggiunto Montereale Valcellina, lo troviamo alle prese con la chiusura della
tenda dove ha pernottato in attesa del nostro arrivo. Gai e determinati, si
parte più veloci della luce alla volta della Val di Zoldo. Durante il tragitto ripassiamo
sulla carta tutti gli autovelox, ne abbiamo scovati ben cinque lungo
l’itinerario. Dario ha davvero un fiuto speciale nello stanarli, una dote
innata.
Raggiunto il passo Duran, impieghiamo una buona mezzora
per trovare la giusta posizione dove sostare l’auto, mezzo serbatoio di gasolio
sprecato solo per questo mistero della fede.
Finalmente a terra! Sbarchiamo, approntandoci lestamente. Dario, alla
lettura su un cartello della scritta Duran ripetuta ben due volte di seguito,
esclama “Wilde Boys!” Iniziamo bene! L’effetto provocato dall’alta quota si
avverte. Si parte immediatamente per l’escursione, dirimpetto al rifugio, oltre
una palizzata, un cartello CAI ci invita a seguire il numero 524. Dopo alcuni
metri di tragitto (malgrado sia rapito dal fascino della Moiazza) si ascoltano
le prime imprecazioni di Dario. Purtroppo, il sentiero è assai melmoso e le
vacche sono vive e vegete, e sfottendoci ci danno anche il benvenuto. Le mucche
(sempre loro), allegrotte e dispettose, hanno da poco finito di concimare il
sentiero, con l’ausilio della pioggia notturna completano la poltiglia. Il
primo tratto del sentiero è un continuo stare attenti a non scivolare, un
lamento pietoso simile a una litania accompagna i nostri primi passi, è quello
di Dario rivolto verso Francesco con un continuo: <<Lo sapevo, lo sapevo,
lo sapevo!>> Dopo aver attraversato un impluvio, inizia il bello,
finalmente la bianca roccia. Superiamo un tratto attrezzato, percorrendo un bel
sentiero tra i mughi sino a incrociare un secondo impluvio, stavolta copioso
d’acqua. Oltrepassato il bivio con il sentiero proveniente dalla località Malga
di Caleda Vecchia, entriamo nel vallone dominato dalle cime del San Sebastiano
e del Tamer. Con l’innalzarci di quota le zolle d’erba lasciano il posto alla
ghiaia, così raggiungiamo il centro del teatro dolomitico. Meraviglia! È la
prima volta che viaggio in questo magico ambiente, e ne sono estasiato. Francesco,
esperto conoscitore di questi luoghi, mi fa da Cicerone. La nostra meta è a
destra del catino di ghiaie, seguiamo il sentiero 524.
Dopo una comoda sella inizia la parte più faticosa
dell’escursione, cioè, la risalita delle ghiaie sino alla forcella la
Porta. Francesco, durante la scalata tra
gli sfasciumi, si commuove, per la pendenza e il ravanamento gli ricorda molto da
vicino la forcella Larga. Poco sotto la forcella la Porta (a un’ora e trenta
dal passo Duran) percepisco delle voci femminili, di giovincelle, immagino che
siano delle fatine, la mia fantasia vola quando sono a corto di ossigeno.
Invece trattasi di due giovani amazzoni accompagnate dal veterano, che stanno
rientrando dal Tamer Nord. Chiediamo il grado delle difficoltà oggettive di
quello che ci aspetta, rispondono che è facile ed elementare. A queste parole
sento il commento di Francesco: <<Facile per loro, queste fanciulle devono
essere le nipotine di Reinhold Messner.>> Effettivamente lo erano, perché
la difficolta della paretina che incontreremo non è da sottovalutare. Presso la
forcella, decidiamo di liberarci del peso superfluo, io dello zaino e di un
bastoncino da trekking, l’altro lo porto con me (è la mia coperta di Linus). I
miei prodi compari si liberano solo dei bastoncini, che assieme al mio zaino,
occultiamo dietro un masso poco sopra la forcella. Una volta pronti, partiamo
per il tratto più impegnativo dell’intera escursione, ovvero, percorrere il
cengione. Appena iniziato il nostro cammino sul traverso, veniamo raggiunti da
un trio più un cagnetto, anche loro aspirano al Tamer Grande. Li facciamo
passare, noi procediamo con calma. La cengia è meno stretta e di quanto
immaginavo, un po’ detritica, ma nulla di preoccupante, la percorriamo in tutta
la sua lunghezza. Nel frattempo, ci supera l’ultimo attardato del trio, un
istruttore CAI (anch’esso veterano) con telecamerina posta sul casco (strani
rumori provengono dall’aggeggio come dei bip continui), lo ricontreremo dopo,
ma molto dopo. Raggiungiamo un pulpito panoramico percorrendo il versante
occidentale del Tamer Piccolo. Ci fermiamo un attimo per godere dell’ampia
visione panoramica che offre il sito. Il cengione aggira lo sperone e prosegue
sino al canalone detritico che si crea dalla confluenza del Tamer Piccolo con il
Tamer Grande. Risalito di pochi metri il canalone di sfasciumi, seguendo sempre
i bolli rossi e ometti, siamo alla base di un colatoio, dove dobbiamo scalare
una paretina di I+ o II grado, le fonti di informazioni sul web divergono. Nel
frattempo, ci raggiunge una giovane coppia, facciamo passare anche loro. Dalla
loro ascesa comprendiamo il grado di difficoltà. Ci aiutiamo con due corde fisse, una bianca e
una viola, al rientro troviamo solo quella bianca. Il tratto è delicato,
soprattutto per la caduta di sassi all’uscita della parete. Superato questo
ostacolo, siamo a ridosso degli sfasciumi, altri passaggi articolati, uno
dentro uno stretto corridoio (passaggio di I grado), e ultimi metri tra le
roccette, finché arriviamo all’apice (a un’ora e trenta dalla forcella la
Porta).
La cima reale è a destra, al termine di una placca
inclinata, noi proseguiamo per questa, mentre gli escursionisti che in
precedenza ci hanno superato sono appollaiati a sinistra, presso alcune
roccette sovrastate da vistosi ometti di pietra.
Finalmente in vetta, fatta! Non avvertiamo tensione,
siamo molto tranquilli, anzi, effervescenti e spiritosi. Una menzione speciale
la dedichiamo a un amico, uno spirito libero, Ilario Morettin. Ci è giunta voce
che da giovane egli fosse stato il secondo ballerino del corpo di ballo del
Teatro Bol'šoj, naturalmente secondo solo a Rudolf Nureyev. Ilario non ce ne
volere, sei troppo forte e ti vogliamo bene, e siamo coscienti che le nostre
pose plastiche non sono adeguate alle tue. Francesco voleva fare anche delle
pose con il tutù, ma quest’ultimi li abbiamo lasciati in basso, alla forcella. Dalla
vetta ci godiamo delle meravigliose visioni, soprattutto quando lo sguardo si
posa sulle cime del Pramper e del Castello del Moschesin.
La giornata è incantevole, beneficiamo di una visione eccezionale,
dato che il cielo è terso. Tutte le dolomiti, da Zoldo alle cadorine sono in
bella mostra. Nessuna fretta, abbiamo tanto tempo da dedicare alla beatitudine
che ci dona l’ambiente montano. Il rientro avviene per lo stesso sentiero
dell’andata , dove presso la paretina di II grado mi sono esibito in un fuori
programma con scene davvero esilaranti (foto
e video da me censurati). Spesso ci
fermiamo, a commentare la bellezza del sito, folleggiando come dei ragazzini,
ma ci sta. Siamo sereni, felici, amici ed è questo ciò che conta. Al rientro in
auto (a due ore dalla vetta), i miei compari troveranno nel portabagagli del tè
e dell’acqua piacevolmente freddi, per le birre provvederemo a Dont. Tra i
bicchieri colmi e senza patatine fritte, fluiscono gli ultimi commenti
all’avventura odierna. Il rientro alla pianura friulana è per il medesimo itinerario
dell’andata, e come al mattino è accompagnato dai nostri dialoghi sui monti e
sull’esistenzialismo; naturalmente soddisfattissimi di aver conquistato una
Signora Montagna.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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