Anello della Cima Nord del San Sebastiano dal passo del Duran.
Localizzazione: Dolomiti di Zoldo -gruppo del Tamer-San
Sebastiano.
Regione: Veneto
Avvicinamento: Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale
per la valle di Zoldo- Forno di Zoldo -Dont- Indicazioni per passo
Duran-Raggiunto il passo Duran lasciare l’auto in uno dei numerosi parcheggi.
Dislivello: 950 m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 20
Quota minima partenza: 1603 m.
Quota massima raggiunta: 2488 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: solitaria
Tipologia Escursione: paesaggistica-alpinistica
Difficoltà: Escursionisti esperti con passaggi di I e II grado.
Segnavia: CAI 536-524- bolli rossi e ometti
Impegno fisico: medio-alto
Preparazione tecnica: medio-alta
Attrezzature: si
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: istallato
barattolino con il simbolo del gruppo.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: 1) Carta Topografica Tabacco 025 – DOLOMITI DI
ZOLDO, CADORINE E AGORDINE
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: luglio-ottobre
Da evitare da farsi in: In presenza di vetrato, o terreno umido
Condizioni del sentiero: ben segnato e marcato
Fonti d’acqua: si
Consigliati: caschetto, inutile la corda per via della roccia
marcia.
Data: sabato 8 agosto 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Tutte le mie recenti escursioni hanno visto come protagonista la
Valle di Zoldo, e quindi era giusto chiudere in bellezza questo ciclo operativo
con l’ultima cima, apparentemente più abbordabile, ma non per questo da sottovalutare.
La montagna in questione è la cima di San Sebastiano Nord. Ci sono passato
vicino, l’ho ammirata durante i vari accostamenti, e ora è giunta l’ora che i
miei scarponi vaghino sulla sua sommità.
Stavolta, come è stato per il Pramper, vado da solo, ne ho assolutamente
bisogno, quindi, organizzo tutto, compresa la mappa, che obiettivamente conosco
a memoria, e mi preparo per l’evento. L’escursione sarà baciata dal sole, la
giornata, come prevede il meteo, sarà splendida. Per l’emozione dormo poco, mi
sveglio presto, alle 03:00 sono giù dal letto, e alle 04:00 già in strada con
l’auto. La luna è alta e luminosa nella volta stellata, essa, solitaria e
argentea, illumina i miei pensieri, che spesso sono rapiti dai sogni ardenti.
Percorro la rotabile che dalla valle del Cellina mi conduce a
quella del Vajont. Durante il tragitto scorgo numerosi animali selvaggi, in tanti
anni che vado in montagna, non ne ho mai visti quanti questa notte. Sembrava
che mi aspettassero per salutarmi. Caprioli, volpi, tassi, numerosa è la
varietà della fauna che ho visto e intravisto, e spesso mi sono fermato ad
ammirare. Tutto è magico, mi chiedo se non sia un chiaro messaggio della Grande
Signora.
Giungo prestissimo al passo di Duran, trovo poche auto al
posteggio, sosto davanti a un rifugio. Ho sonno, durante gli ultimi chilometri di
viaggio mi si chiudevano gli occhi, quindi, vista l’ora e non sono ancora le
06:00, decido di farmi una mezzoretta di dormita, riparando il volto dalla luce
con un telo mimetico che porto sempre al seguito.
La dormitina dura poco, forse tre quarti d’ora, ogni tanto aprivo
gli occhi e dal finestrino scrutavo i bei colori dell’alba nel Cadore, con l’inconfondibile
mole del Pelmo.
Ma è giunto il momento che mi desti, quindi esco fuori
dall’abitacolo, indosso gli scarponi, prendo lo zaino, una volta pronto, parto.
L’itinerario, benché ben studiato, lo scelgo all’ultimo secondo; indeciso se
fare la direttissima alla cima San Sebastiano per il sentiero CAI 524, o
percorrere la via alpinistica chiamata “Il Viaz dei Cengioni”, prevale la
seconda ipotesi.
Percorro la strada asfaltata a nord, sino a incontrare a destra
il cartello CAI con le indicazioni per il Viaz dei Cengioni. Il tratto inziale
del sentiero è nell’umido bosco di conifere, alcune provvidenziali passerelle
in legno badano a fare in modo di non affondare gli scarponi nella poltiglia
fangosa. Nel frattempo, un escursionista segue i miei passi, ci presentiamo, è
un nativo. In pochi minuti fraternizziamo, in comune, oltre alla passione per
la montagna, abbiamo militato come artiglieri nella brigata “Ariete”; lui di
leva negli anni Ottanta, io tuttora come professionista. Come se avessimo stipulato
un tacito accordo e con uno spiccato cameratismo proseguiamo assieme per
l’escursione. Durante i primi minuti di conversazione scopro che l’amico è
anche un valente istruttore di scialpinismo, e che conosce bene la montagna che
stiamo scalando. Lo scruto, il suo volto ha qualcosa di strano, direi
familiare. Il volto dell’amico ha le stesse mimiche e il sorriso di mio padre, espressioni
che non vedevo più da 49 anni. Egli ora mi appare come un angelo custode, e
così lo sentirò sino alla fine della cengia.
Il primo tratto di
sentiero è tanto ripido, tira molto, e guadagna velocemente quota, in breve
tempo sono tra i mughi. Rallento un po’ il passo per recuperare il ritmo e il
fiato, ritrovandomi a ridosso della roccia delle pareti occidentali del San
Sebastiano. Finalmente si iniziano a adoperare le mani, per via di alcuni brevi
salti e una paretina molto articolata di primo grado. Il primo tratto del
cengione inizia tra i detriti, sino all’attacco della parete con il noto sasso
incastrato (un secondo grado più, aggirabile se ci si espone a sinistra con
passaggi di primo più). Decido di passare sotto il masso, prima sganciando lo
zaino, e poi con una mossa di opposizione con le gambe sulle pareti mi porto
dentro il foro, per uscirne dall’altro capo. L’amico lo ha superato al centro,
noto che ognuno adopera una propria tecnica, per fortuna. Superato l’ostacolo inizia
la lunga e affascinante cengia, che percorre i fianchi del monte da occidente a
oriente (Cime dei Gravina, cime de le Lastie), molto esposta. Osservo l’andamento
della cengia prima di affrontarla, ma non mi impressionano le pareti verticali,
so, che una volta giunti sopra, la percorreremo con tranquillità. Da alcune
relazioni ho letto di passaggi delicati, molto esposti e di secondo grado, poi
a passarci sopra, si rivelano meno arditi. In questi frangenti aiuta molto la
serenità con cui si procede, e poi mai fare mosse azzardate. Sono ben cosciente
che la pacatezza è una delle sicurezze più affidabili che ci siano. Percorro
con brio insieme all’amico questo meraviglioso angolo di paradiso, aiutati
anche dalla fresca temperatura del versante in ombra. Solo poco prima di un canalone superiamo una
parete inclinata con dei chiodi, ma nulla di impressionante, penso a un primo
grado più. Nell’ultimo tratto del sentiero alpinistico, incontriamo una parete
verticale da fare in discesa, attrezzata con pioli e chiodi. La trovo
fastidiosa per via dello zaino pesante che porto al seguito, e di alcuni
passaggi che meritano attenzione. Mi fido più della roccia che del metallo
conficcato in essa. Dopo la paretina verticale, si prosegue sempre per cengia,
sino ad un'altra parete, ma ben articolata e in salita, che ci accompagna sino
ai prati sommitali a occidente della Caleda, che dominano l’anfiteatro
dolomitico delle cime del San Sebastiano e dei Tamer.
Il viaggio assieme all’angelo custode è giunto a termine, le
nostre strade si dividono, ora che siamo fuori dalla zona più a rischio, ci
salutiamo fraternamente. Lui ha un passo molto più veloce del mio, ci
incontreremo ancora per brevi istanti durante la mia ascesa alla vetta. Dai verdi prati della Caleda, una marcata
traccia, non segnata, porta fin sotto le pareti meridionali del San Sebastiano,
e da queste si congiunge al sentiero che risale le ghiaie del versante
occidentale della cresta sud dello stesso San Sebastiano. Percorro questa
traccia sino a degli antri, dove lascio lo zaino, ben occultato, ed effettuo
una breve pausa.
Dopo la sosta, riprendo il cammino, portando al seguito lo stretto
necessario all’interno della sacca, e naturalmente il caschetto protettivo. Il
sentiero mi porta a tagliare le ghiaie che scendono verticalmente dalla
forcella di San Sebastiano, sino a incontrare l’altro sentiero proveniente
dalla Val de Caleda. Una processione di escursionisti, sia in salita che in
discesa formicola in zona, con abbigliamento dalle mille fogge, è chiaro che la
cima non sia molto impegnativa e sia alla portata di molti.
Dalla forcella, seguendo gli evidenti ometti, risalgo la cresta
finale, per facili passaggi su roccette e brevi cenge. Nel tratto che precede
la vetta, per rampe inclinate, consiglio di salire di poco a destra sulle prime
placche, e tramite un breve traverso di superare l’ostacolo finale. Non rimane
che percorrere gli ultimi metri nella ghiaiosa cima, preceduta dal brusio di
una numerosa comitiva.
Raggiunta la vetta pare di essere in spiaggia a Rimini, una
moltitudine di escursionisti la occupa, e impiego del tempo a intuire dove sia
nascosto l’ometto di vetta, eccolo! Anche questa cima è fatta. Effettivamente la
visione panoramica dal San Sebastiano è limitata dal vicino Tamer, che la
sovrasta sia per bellezza che per altezza. Nel frattempo, in cima sopraggiunge
un altro gruppo e altri ne scendono, sembra proprio di stare in una stazione
metropolitana. Mi godo il panorama e il sole, effettuo un autoscatto costruendo
un ometto cavalletto:<< Ma come, con tutta questa gente in vetta non chiedi
a nessuno di farti una foto? >> Preferisco il punto di vista basso, vengo
più figo nella posa, la mia vanità non cede mai il passo alla sostanza.
Dopo la breve pausa, inizio la discesa, davvero bella, mi
diverto, e raggiunta la forcella di San Sebastiano, mi dirigo al piccolo antro
dove ho nascosto lo zaino. Recuperato l’amico fedele di mille battaglie, continuo
il viaggio di ritorno, con un taglio nel ripido pendio, nel sentiero che mi
porta alla base della cresta sud del San Sebastiano, e di seguito incrocio il
sentiero che scende dalla forcella la Porta (CAI 824).
Ho quasi compiuto la missione, lo zaino è più leggero, il passo
libero e veloce, dal vallone de Caleda inizio la discesa, finché tra i mughi,
come per magia, sbuca fuori un frate pellegrino, un francescano, che mi saluta
e mi dona un santino con su raffigurata la Madonna degli Angeli.
Rimango basito e commosso del pio e breve incontro con il
fraticello. Continuo la discesa e incontro altri due frati pellegrini, che
donano sorrisi stupendi. Il primo mi chiede se credo nella Madonna, gli
rispondo che credo profondamente nell’Amore. Pochi metri dopo un altro frate
pellegrino, pare che si sia perso, gli indico la direzione, altro sorriso beato.
Questi tre frati indossano un saio leggero e povero, un cordone come cintura, e
sono in salita verso la forcella La Porta. Mi hanno commosso, confesso che ho
pianto, qualcosa di magico è avvenuto e io ne sono stato un umile e indegno spettatore.
Rientro a valle, sempre per il sentiero 524, presso un impluvio copioso d’acqua
riempio la borraccia, e poco dopo, scorgo adagiata su un masso un lembo del
saio di uno dei frati. Raccolgo il pezzetto di tessuto come se fosse una
reliquia, e lo serbo nel taschino assieme alla moneta cubana con l’effige di
Che Guevara, dono di un grande amico. Le ultime centinaia di metri del sentiero
che mi separano dall’arrivo scorrono velocemente, fa tanto caldo, assai.
Ripenso all’escursione e le do un senso e un nome, l’escursione dell’amore, si
“Amore”. L’amore degli animali che ho
incontrato al mattino, dell’angelo custode escursionista con cui ho condiviso i
pericoli del cengione, degli amici trovati in vetta, dell’incoraggiamento al
ragazzo che si era fermato solo pochi metri sotto la cima, ai frati
francescani, che non vestono Montura e calzano Sportiva, ma solo un misero saio
e delle scarpe scomode.
Che felicità intensa che ho provato, ho incontrato l’amore, il
vero, l’amore del dare e del gioire. I fraticelli sono il chiaro messaggio che
la montagna unisce e non separa i popoli.
In questo periodo della mia vita ho avuto la fortuna di smarrire
i falsi amici e di conoscere uomini e donne vere. L’amore vince, vince sempre. Viva la Libertà,
viva la Montagna e viva l’Amore in qualsiasi forma si manifesti.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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