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venerdì 14 agosto 2020

Anello della Cima Nord del San Sebastiano dal passo del Duran.

Anello della Cima Nord del San Sebastiano dal passo del Duran.

 

Localizzazione: Dolomiti di Zoldo -gruppo del Tamer-San Sebastiano.

 

Regione: Veneto

 

Avvicinamento: Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Forno di Zoldo -Dont- Indicazioni per passo Duran-Raggiunto il passo Duran lasciare l’auto in uno dei numerosi parcheggi.

 

Dislivello: 950 m.


Dislivello complessivo: 1100 m.


Distanza percorsa in Km: 20


Quota minima partenza: 1603 m.

 

Quota massima raggiunta: 2488 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: paesaggistica-alpinistica

 

Difficoltà: Escursionisti esperti con passaggi di I e II grado.

Segnavia: CAI 536-524- bolli rossi e ometti

 

Impegno fisico: medio-alto

Preparazione tecnica: medio-alta

Attrezzature: si

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: istallato barattolino con il simbolo del gruppo.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

Cartografici: 1) Carta Topografica Tabacco 025 – DOLOMITI DI ZOLDO, CADORINE E AGORDINE


2) Bibliografici:
3) Internet: 

Periodo consigliato: luglio-ottobre

 

Da evitare da farsi in: In presenza di vetrato, o terreno umido

Condizioni del sentiero: ben segnato e marcato

 

Fonti d’acqua: si

Consigliati: caschetto, inutile la corda per via della roccia marcia.

Data: sabato 8 agosto 2020

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Tutte le mie recenti escursioni hanno visto come protagonista la Valle di Zoldo, e quindi era giusto chiudere in bellezza questo ciclo operativo con l’ultima cima, apparentemente più abbordabile, ma non per questo da sottovalutare. La montagna in questione è la cima di San Sebastiano Nord. Ci sono passato vicino, l’ho ammirata durante i vari accostamenti, e ora è giunta l’ora che i miei scarponi vaghino sulla sua sommità.

Stavolta, come è stato per il Pramper, vado da solo, ne ho assolutamente bisogno, quindi, organizzo tutto, compresa la mappa, che obiettivamente conosco a memoria, e mi preparo per l’evento. L’escursione sarà baciata dal sole, la giornata, come prevede il meteo, sarà splendida. Per l’emozione dormo poco, mi sveglio presto, alle 03:00 sono giù dal letto, e alle 04:00 già in strada con l’auto. La luna è alta e luminosa nella volta stellata, essa, solitaria e argentea, illumina i miei pensieri, che spesso sono rapiti dai sogni ardenti.

Percorro la rotabile che dalla valle del Cellina mi conduce a quella del Vajont. Durante il tragitto scorgo numerosi animali selvaggi, in tanti anni che vado in montagna, non ne ho mai visti quanti questa notte. Sembrava che mi aspettassero per salutarmi. Caprioli, volpi, tassi, numerosa è la varietà della fauna che ho visto e intravisto, e spesso mi sono fermato ad ammirare. Tutto è magico, mi chiedo se non sia un chiaro messaggio della Grande Signora.

Giungo prestissimo al passo di Duran, trovo poche auto al posteggio, sosto davanti a un rifugio. Ho sonno, durante gli ultimi chilometri di viaggio mi si chiudevano gli occhi, quindi, vista l’ora e non sono ancora le 06:00, decido di farmi una mezzoretta di dormita, riparando il volto dalla luce con un telo mimetico che porto sempre al seguito.

La dormitina dura poco, forse tre quarti d’ora, ogni tanto aprivo gli occhi e dal finestrino scrutavo i bei colori dell’alba nel Cadore, con l’inconfondibile mole del Pelmo.   

Ma è giunto il momento che mi desti, quindi esco fuori dall’abitacolo, indosso gli scarponi, prendo lo zaino, una volta pronto, parto. L’itinerario, benché ben studiato, lo scelgo all’ultimo secondo; indeciso se fare la direttissima alla cima San Sebastiano per il sentiero CAI 524, o percorrere la via alpinistica chiamata “Il Viaz dei Cengioni”, prevale la seconda ipotesi.  

Percorro la strada asfaltata a nord, sino a incontrare a destra il cartello CAI con le indicazioni per il Viaz dei Cengioni. Il tratto inziale del sentiero è nell’umido bosco di conifere, alcune provvidenziali passerelle in legno badano a fare in modo di non affondare gli scarponi nella poltiglia fangosa. Nel frattempo, un escursionista segue i miei passi, ci presentiamo, è un nativo. In pochi minuti fraternizziamo, in comune, oltre alla passione per la montagna, abbiamo militato come artiglieri nella brigata “Ariete”; lui di leva negli anni Ottanta, io tuttora come professionista. Come se avessimo stipulato un tacito accordo e con uno spiccato cameratismo proseguiamo assieme per l’escursione. Durante i primi minuti di conversazione scopro che l’amico è anche un valente istruttore di scialpinismo, e che conosce bene la montagna che stiamo scalando. Lo scruto, il suo volto ha qualcosa di strano, direi familiare. Il volto dell’amico ha le stesse mimiche e il sorriso di mio padre, espressioni che non vedevo più da 49 anni. Egli ora mi appare come un angelo custode, e così lo sentirò sino alla fine della cengia.

 Il primo tratto di sentiero è tanto ripido, tira molto, e guadagna velocemente quota, in breve tempo sono tra i mughi. Rallento un po’ il passo per recuperare il ritmo e il fiato, ritrovandomi a ridosso della roccia delle pareti occidentali del San Sebastiano. Finalmente si iniziano a adoperare le mani, per via di alcuni brevi salti e una paretina molto articolata di primo grado. Il primo tratto del cengione inizia tra i detriti, sino all’attacco della parete con il noto sasso incastrato (un secondo grado più, aggirabile se ci si espone a sinistra con passaggi di primo più). Decido di passare sotto il masso, prima sganciando lo zaino, e poi con una mossa di opposizione con le gambe sulle pareti mi porto dentro il foro, per uscirne dall’altro capo. L’amico lo ha superato al centro, noto che ognuno adopera una propria tecnica, per fortuna. Superato l’ostacolo inizia la lunga e affascinante cengia, che percorre i fianchi del monte da occidente a oriente (Cime dei Gravina, cime de le Lastie), molto esposta. Osservo l’andamento della cengia prima di affrontarla, ma non mi impressionano le pareti verticali, so, che una volta giunti sopra, la percorreremo con tranquillità. Da alcune relazioni ho letto di passaggi delicati, molto esposti e di secondo grado, poi a passarci sopra, si rivelano meno arditi. In questi frangenti aiuta molto la serenità con cui si procede, e poi mai fare mosse azzardate. Sono ben cosciente che la pacatezza è una delle sicurezze più affidabili che ci siano. Percorro con brio insieme all’amico questo meraviglioso angolo di paradiso, aiutati anche dalla fresca temperatura del versante in ombra.  Solo poco prima di un canalone superiamo una parete inclinata con dei chiodi, ma nulla di impressionante, penso a un primo grado più. Nell’ultimo tratto del sentiero alpinistico, incontriamo una parete verticale da fare in discesa, attrezzata con pioli e chiodi. La trovo fastidiosa per via dello zaino pesante che porto al seguito, e di alcuni passaggi che meritano attenzione. Mi fido più della roccia che del metallo conficcato in essa. Dopo la paretina verticale, si prosegue sempre per cengia, sino ad un'altra parete, ma ben articolata e in salita, che ci accompagna sino ai prati sommitali a occidente della Caleda, che dominano l’anfiteatro dolomitico delle cime del San Sebastiano e dei Tamer.

Il viaggio assieme all’angelo custode è giunto a termine, le nostre strade si dividono, ora che siamo fuori dalla zona più a rischio, ci salutiamo fraternamente. Lui ha un passo molto più veloce del mio, ci incontreremo ancora per brevi istanti durante la mia ascesa alla vetta.  Dai verdi prati della Caleda, una marcata traccia, non segnata, porta fin sotto le pareti meridionali del San Sebastiano, e da queste si congiunge al sentiero che risale le ghiaie del versante occidentale della cresta sud dello stesso San Sebastiano. Percorro questa traccia sino a degli antri, dove lascio lo zaino, ben occultato, ed effettuo una breve pausa.

Dopo la sosta, riprendo il cammino, portando al seguito lo stretto necessario all’interno della sacca, e naturalmente il caschetto protettivo. Il sentiero mi porta a tagliare le ghiaie che scendono verticalmente dalla forcella di San Sebastiano, sino a incontrare l’altro sentiero proveniente dalla Val de Caleda. Una processione di escursionisti, sia in salita che in discesa formicola in zona, con abbigliamento dalle mille fogge, è chiaro che la cima non sia molto impegnativa e sia alla portata di molti.

Dalla forcella, seguendo gli evidenti ometti, risalgo la cresta finale, per facili passaggi su roccette e brevi cenge. Nel tratto che precede la vetta, per rampe inclinate, consiglio di salire di poco a destra sulle prime placche, e tramite un breve traverso di superare l’ostacolo finale. Non rimane che percorrere gli ultimi metri nella ghiaiosa cima, preceduta dal brusio di una numerosa comitiva.

Raggiunta la vetta pare di essere in spiaggia a Rimini, una moltitudine di escursionisti la occupa, e impiego del tempo a intuire dove sia nascosto l’ometto di vetta, eccolo! Anche questa cima è fatta. Effettivamente la visione panoramica dal San Sebastiano è limitata dal vicino Tamer, che la sovrasta sia per bellezza che per altezza. Nel frattempo, in cima sopraggiunge un altro gruppo e altri ne scendono, sembra proprio di stare in una stazione metropolitana. Mi godo il panorama e il sole, effettuo un autoscatto costruendo un ometto cavalletto:<< Ma come, con tutta questa gente in vetta non chiedi a nessuno di farti una foto? >> Preferisco il punto di vista basso, vengo più figo nella posa, la mia vanità non cede mai il passo alla sostanza.

Dopo la breve pausa, inizio la discesa, davvero bella, mi diverto, e raggiunta la forcella di San Sebastiano, mi dirigo al piccolo antro dove ho nascosto lo zaino. Recuperato l’amico fedele di mille battaglie, continuo il viaggio di ritorno, con un taglio nel ripido pendio, nel sentiero che mi porta alla base della cresta sud del San Sebastiano, e di seguito incrocio il sentiero che scende dalla forcella la Porta (CAI 824).

Ho quasi compiuto la missione, lo zaino è più leggero, il passo libero e veloce, dal vallone de Caleda inizio la discesa, finché tra i mughi, come per magia, sbuca fuori un frate pellegrino, un francescano, che mi saluta e mi dona un santino con su raffigurata la Madonna degli Angeli.

Rimango basito e commosso del pio e breve incontro con il fraticello. Continuo la discesa e incontro altri due frati pellegrini, che donano sorrisi stupendi. Il primo mi chiede se credo nella Madonna, gli rispondo che credo profondamente nell’Amore. Pochi metri dopo un altro frate pellegrino, pare che si sia perso, gli indico la direzione, altro sorriso beato. Questi tre frati indossano un saio leggero e povero, un cordone come cintura, e sono in salita verso la forcella La Porta. Mi hanno commosso, confesso che ho pianto, qualcosa di magico è avvenuto e io ne sono stato un umile e indegno spettatore. Rientro a valle, sempre per il sentiero 524, presso un impluvio copioso d’acqua riempio la borraccia, e poco dopo, scorgo adagiata su un masso un lembo del saio di uno dei frati. Raccolgo il pezzetto di tessuto come se fosse una reliquia, e lo serbo nel taschino assieme alla moneta cubana con l’effige di Che Guevara, dono di un grande amico. Le ultime centinaia di metri del sentiero che mi separano dall’arrivo scorrono velocemente, fa tanto caldo, assai. Ripenso all’escursione e le do un senso e un nome, l’escursione dell’amore, si “Amore”.  L’amore degli animali che ho incontrato al mattino, dell’angelo custode escursionista con cui ho condiviso i pericoli del cengione, degli amici trovati in vetta, dell’incoraggiamento al ragazzo che si era fermato solo pochi metri sotto la cima, ai frati francescani, che non vestono Montura e calzano Sportiva, ma solo un misero saio e delle scarpe scomode.

Che felicità intensa che ho provato, ho incontrato l’amore, il vero, l’amore del dare e del gioire. I fraticelli sono il chiaro messaggio che la montagna unisce e non separa i popoli.

In questo periodo della mia vita ho avuto la fortuna di smarrire i falsi amici e di conoscere uomini e donne vere.  L’amore vince, vince sempre. Viva la Libertà, viva la Montagna e viva l’Amore in qualsiasi forma si manifesti.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.






































































 

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