Monte Antander 2184. da Casera Pian Formosa.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km10.
Quota minima partenza: 1200 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche Gruppo Col Nudo-Cavallo
Regione: Friuli-Veneto
Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale Valcellina-Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Indicazioni
per Belluno-Alpago-Puos Alpago-Cornei-Chies D’Alpago- Indicazioni per la Casera
Pian Formosa- Raggiunta la casera tramite la stretta rotabile si trova un ampio
parcheggio.
Dislivello: 1000m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km10.
Quota minima partenza: 1200 m.
Quota massima raggiunta: 2184 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: escursionistica paesaggistica selvaggia
Difficoltà: Escursionistiche sino al bivacco, per esperti sino
alla cima, con alcuni passaggi di prima e secondo grado su roccette, alcune molto
esposte.
Segnavia: CAI 979
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: medio-alta
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si, istallato.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo consigliato: luglio-ottobre
3)
4)
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato
Fonti d’acqua: no
Consigliati:
Data: domenica 12 luglio 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
L’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto, e anche noi non
sfuggiamo a questa regola e per tenere fede al tetro detto, siamo ricomparsi in
Val Antander, per completare l’opera iniziata una settimana prima. Gli orari di
partenza da casa sono sempre i medesimi, ovvero sveglia prima che il gallo
canti tre volte. Proprio sotto il portone di casa, a Lestans, durante l’operazione
di carico zaini nell’auto, vedo transitare un numero cospicuo di escursionisti.
Abito in una via obbligata per chi dai comuni della provincia di Udine transita
verso le mete montane del pordenonese o del vicino Veneto. Tra questi escursionisti
rivedo con piacere e sorpresa, Roberto e Ivan, anche loro si avviano verso la
località della mia stessa meta, ovvero l’Alpago.Malfa
La strada da percorrere dalla mia abitazione al luogo di
destinazione è sempre la stessa, quella che attraversando la valle del torrente
Cellino e del Vajont, conduce sino a Longarone, e dalla valle del Piave all’Alpago.
Proprio nell’Alpago (antica località abitata dai celti norici) procedo a
velocità moderata con l’automezzo. Viaggio con il braccio sinistro penzolante
dal finestrino, mi inebrio dell’aria fresca mattutina, e dal parabrezza ammiro
la corona di monti che abbraccia e protegge la località e i caratteristi
paeselli.
Adoro questi borghi
remoti, assaporo una vita montana dal sapore arcaico, come se il tempo sì forse
fermato. Molteplici immagini romantiche si fissano nella mia mente, come se sfogliarsi
pagine e foto invecchiate all’interno di un album chiamato tempo. Amo questi luoghi
sconosciuti in cui in un’epoca remota vissi.
Arrivo facilmente nella località di Pian di Formosa, e raggiunto
l’ampio parcheggio, ci approntiamo per la nostra nuova avventura. Oggi con noi,
come ospite abbiamo l’onore di avere Magritte, che ha voglia di aumentare il
numero delle cime conquistate; a volte non lo capisco, pensavo che amasse i
monti e non sapevo che fosse un competitivo, devo indagare per sapere chi
frequenta ultimamente.
Pronti! Zaino in spalle e sogni al seguito, si parte (da una mia
vecchia citazione). Percorriamo il medesimo sentiero di una settimana fa,
quindi dalla Malga dei Pian di Formosa, seguiamo il sentiero 976, che dopo aver
risalito un pendio boschivo si inoltra nel cuore della Val Antander. Questo cammino
è un continuo via vai di escursionisti, è facile, alla portata di tutti,
infatti, dopo pochi minuti un viandante dal passo veloce ci supera e distanzia.
Nemmeno abbiamo il tempo di fare due respiri che eccolo, sempre
spedito e di ritorno. Sono curioso di sapere dove è andato, quindi lo fermo e investigo,
domandandogli perché abbia rinunciato all’impresa. Il simpatico escursionista
si arresta e risponde con cortesia. Dall’aspetto è fresco, come spesso dice mia
sorella” Come un quarto di pollo”, che vuole fare intendere, appena estratto
dal freezer. Egli indossa un sorriso simpatico, inforca un paio di occhiali da
sole, e sfoggia un pizzo curato. Sempre egli (il viandante) indossa abiti
semplici: canotta blu scuro, pantalone lungo pluri-tinta, scarpette da
avvicinamento, e bastoncini da trekking. Mentre inizia a rispondere si
interrompe e riconosce Magritte: << Questo cagnetto lo conosco, per caso
scrive in un gruppo, o in un blog? Leggo spesso le sue relazioni!>> Sapevo
che Magritte fosse un eccellente cane alpino, ma che fosse anche uno scrittore
mi giunge nuovo, ne sa e fa una più del diavolo il furbetto. Naturalmente scherzo,
ma il simpatico escursionista ha davvero riconosciuto Magritte, e segue il mio
blog. Ci congediamo dal viandante e proseguiamo per la nostra meta, che conduce
al bivacco Toffolon. La giornata è splendida, ma queste creste sono rinomate
per dare fissa dimora alle nuvole di Fantozzi.
Infatti, appena perveniamo al bivacco, scorgiamo la nostra metà semi
coperta da una nube, ma la situazione non ci allarma, ormai siamo avvezzi alla bruma,
infatti nel mio zaino da tempo ho fissato i fari antinebbia.
Effettuiamo una breve sosta all’esterno del bivacco color fuoco.
Finita la pausa, ripartiamo, seguendo una traccia segnata CAI; essa dal bivacco
conduce ai prati a sinistra dello stesso, è la prosecuzione della nota “Alta
Via numero 7”.
Visto che di tempo a disposizione ne abbiamo a iosa, decidiamo di
fare un’escursione all’insegna dell’avventura, esplorando dei canali secondari
e parte della cresta dell’Antander che ho valutato durante l’ascesa.
Il sentiero che percorriamo, dopo un centinaio di metri si
biforca, tralasciamo la traccia segnata e seguiamo quella a destra. Risaliamo
il primo canalone, inerbito e ripido.
Giovanna e io adesso assumiamo la configurazione “camoscio”, quella
di procedere in libera e senza regole, Magritte in questa specialità è un
autentico maestro. Risalito il ripido pendio, siamo a ridosso delle verticali pareti
orientali dell’Antander, esse precipitano a piombo sul dirupato e selvaggio versante
friulano. Siamo giunti sul filo di cresta, ma scalare la parete a sinistra è
troppo ardimentoso, quindi scendiamo di pochi metri, lungo il canalone. Seguo
un'altra traccia, che collega il primo canalone al secondo, un ometto indica che
procediamo bene. Questo nuovo canalone è angusto, incassato e molto ripido,
procediamo con fatica tra gli sfasciumi e le rade zolle. Giunti al vertice
dello stesso, come nel precedente canale, la piccola forcella si sporge sulle
vertiginose e impraticabili pareti orientali, unica via d’uscita è seguire una
labile traccia a sinistra, essa porta alla base di un salto tanto esposto di
almeno dieci metri.
Difficile da scalare ma non impossibile, nella parte alta, tra
le roccette noto un passaggio di secondo grado e forse più. Piuttosto che ritornare indietro tra gli
sfasciumi preferiamo affrontare l’ostacolo. Vado avanti io, tiro su per
l’imbrago Magritte e aspetto Giovanna, confesso che in questo frangente ho
avuto paura. Superato anche questo ostacolo (farò i complimenti a Giovanna in
seguito) camminiamo su un ripido prato, sempre avvolti dalla nebbia, finché ci
ritroviamo alla base di un’altra parete, non tanto esposta e con passaggi di
arrampicata di primo più.
Sormontato anche questo intralcio, siamo di nuovo in cresta, ed
è ancora esposta e avvolta dalla nebbiosità che fa apparire il susseguo molto fosco.
Avverto la sensazione di essermi
cacciato nei guai, come se non potessi più andare, né avanti e né indietro, poi
mi basta fare due passi avanti nell’inerbito e ripido prato, che mi si aprono
un universo di soluzioni. Infatti, una lieve traccia porta a un piccolo, cupo, solitario,
triste e umile ometto, posto come se fosse in castigo proprio alla fine di un
canalone, quello che ufficialmente ascendono gli escursionisti per raggiungere
l’apice del monte Antander. Giunti
all’ometto (lo gratifico e cresco con altri sassi), con gioia constatiamo che
siamo vicini alla vetta, e che non ci resta che ascendere gli ultimi cinquanta
metri di dislivello. Adoperiamo una cavità nella roccia come giaciglio per Magritte,
e in essa deponiamo anche i nostri zaini. Liberi dagli zaini adottiamo il
metodo Malfa, ovvero il modulo LEM (mini-sacca al seguito con lo stretto
indispensabile). Lasciamo al cagnetto alpino una ciotola colma d’acqua, e dopo
averlo rassicurato con le coccole, iniziamo l’arrembaggio e la conquista
dell’Antander, quindi, come è da prassi: issiamo sull’albero più alto del
nostro immaginario galeone la bandiera con il teschio, simbolo degli spiriti
liberi, e con le bandane al vento e le ali ai piedi, partiamo. Gloria o
morte!
Siamo serrati nella roccia, ma ci sono passaggi bene articolati,
tutti di primo grado, quindi tra roccette e zolle, transitiamo sopra un quarto
canalone e tramite un breve traverso raggiungiamo un piccolo salto di primo
grado, forse anche meno, volendo si può aggirarlo, ma ci si espone al vuoto.
Nel punto del passaggio ho eretto un ometto a cui ho legato una
fettuccia color lacca scuro, in onore della dea Afrodite. Superato l’ultimo
ostacolo ci aspetta un ripido crinale, breve ma non difficile che ci conduce alla
vetta. Fatta! Anche questa montagna è conquistata, e l’emozione è altissima,
purissima, grandissima, insomma …issima! Un grande ometto con delle bandierine
tibetane è posto dirimpetto a un’originale croce in ferro battuto con un Cristo
stilizzato. Due religioni a confronto, due culture diverse, quella buddista
tibetana e quella occidentale cristiana. Ma entrambi hanno un fattore in comune
che li unifica, “l’Amore”, che da sempre è l’unica mia fede.
L’amore per la montagna oggi mi ha sospinto su, e anche la Montagna
ama, soprattutto gli "Spiriti Liberi", solitari, diversi, quelli che
non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l’anima
in fiamme. Dunque, solo noi, ovunque noi fantastichiamo con zaini traboccanti
di sogni. Noi che non siamo solo scarponi, ma altro…
A coloro che sono
antagonisti tra loro e mai con sé stessi, che sono razzisti, cattivi,
vigliacchi, con lo sguardo da furbetti e con il cuore spento, a loro dico:<<
Vi amo! >>
Vi dedico il mio cuore, quello che ho cucito come toppa sul lato
destro e posteriore dei pantaloni di montagna. E quindi, dall’alto della cima urlo:
<<Ti amo mondo! Ti amo natura, ti amo montagna, e non vedo nebbia, ma
solo un’infinità di colori che insieme creano questo caleidoscopio di emozioni.>>
Non troviamo tra i sassi dell’ometto di vetta nessun contenitore,
il nostro lo abbiamo scordato nello zaino. Improvviso con una busta di plastica
un contenitore, e lascio il segno del nostro passaggio con il logo del gruppo tra
i sassi dell’ometto di vetta.
Dopo una breve pausa, ci caliamo dalla cima con cautela, e recuperato
Magritte, scendiamo stavolta dal canalone ufficiale, che è un gioco da ragazzi
se confrontato con quelli percorsi in salita.
Ma non tutte le fatiche sono finite, ci rimane ancora qualche
ostacolo da superare, tutte operazioni da fare con attenzione.
Una volta fuori dal canalone siamo sul sentiero ufficiale (bolli
CAI e segni dell’Alta Via) che ora ci pare un’autostrada a quattro corsie,
rispetto alle tracce percorse in precedenza. Rientriamo al bivacco Toffolon per
il comodo sentiero tra il pietrisco (a sinistra del canalone). La fame si fa
sentire e anche l’umidità, quindi decidiamo di banchettare dentro la struttura
del riparo. Imbandita alla meglio la tavola, procediamo al momento ludico, ne
approfitto mentre consumo il panino per disegnare sul registro delle firme,
questa operazione è un déjà-vu, come quando da piccino disegnavo e mangiavo contemporaneamente,
ho provato tanta emozione durante questa circostanza. Passato il momento
ludico, ci apprestiamo al rientro. Chiuso il bivacco iniziamo la discesa, ma
nei primi metri il diavolo ci mette la coda. Mentre effettuo un banale passo
sul sentiero poco dopo il bivacco, prendo uno scivolone, sbattendo
violentemente la schiena sul terreno e procurandomi, malgrado la giacca, un vistoso
taglio sull’avambraccio destro. Giovanna mi ha subito soccorso con una buona
medicazione. Il cielo tende a schiarirsi, e così possiamo ammirare la bella
montagna appena conquistata, ma verso la valle, dei tenebrosi e neri nuvoloni
minacciano la pianura bellunese. Si rientra con calma e beatamente sino al parcheggio,
e da esso con la stessa placida serenità ci avviamo verso il Friuli, con un
sogno realizzato e una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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