Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti - Alpi Dolomitiche - Gruppo Dolomiti di Zoldo-
Regione: Belluno-Veneto
Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Forno di Zoldo -Seguire indicazioni per rotabile per Pralongo, e successivamente per la strada forestale per valle di Pramper (a tratti sterrata) sino all’ampio parcheggio presso la località. Pian della Fopa (quota 1210 m.)
Dislivello: 1200 m.
Dislivello complessivo: 1450 m.
Distanza percorsa in Km: 17, 5.
Quota minima partenza: 1209 m.
Quota massima raggiunta: 2409 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 8 ore
In: Solitaria
Tipologia Escursione: Bucolica-Selvaggia
Difficoltà: Escursionisti Esperti dalla Forcella Piccola
Segnavia: CAI 523; 521.
Impegno fisico: Alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: Carta Topografica Tabacco 025 – dolomiti di Zoldo, cadorine e agordine
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: luglio-ottobre
Da evitare da farsi in: Con condizioni di terreno umido, o in presenza di ghiaccio.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato, dalla Forcella Piccola, ometti a gogò e qualche rado bollo rosso.
Fonti d’acqua: si
Consigliati:
Data: 10 luglio 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Malfa
Il giorno dell’escursione
sono tanto emozionato, parto per l’itinerario: Barcis, Cimolais, Erto e
Longarone, strada che oramai percorro a occhi chiusi. Raggiunto il Veneto, mi
inoltro nella laboriosa cittadina di Longarore, seguendo le indicazioni per la
Val di Zoldo. La strada è scorrevole, giunto a Forno di Zoldo, seguo le
indicazioni per la Val Pramper.
Dopo un primo tratto di strada forestale asfaltata, segue un
lungo tratto sconnesso e sterrato, ma con attenzione si arriva e senza alcun
patema sino a parcheggiare in un’ampia zona al termine del tratto carrabile,
pochi metri prima della sbarra con divieto di accesso (Pian de la Fopa quota
1200 m. circa).
Indossato lo zaino, mi avvio. Percorro la strada forestale con
divieto di transito, costeggiando il torrente Pramper, alla mia sinistra, ammiro
gli imponenti bastioni degli Spiz, finché al primo tornante lascio la strada
forestale per il sentiero 523 (cartello CAI), che riduce di un bel tratto il cammino,
sbucando in una bucolica distesa prativa.
La magica visione che mi si svela è appassionante, sono incantato,
la bellezza del luogo è davvero stupefacente. Mi giro al centro dell’anfiteatro
di roccia, da destra a sinistra, ammirando le vette delle Forzelete, il
Castello di Moschesin, le cime delle Balanzole, e la maestosità e l’incanto
della cima Pramper.
Il sentiero accarezza il verde prato sino a incrociare di nuovo
la strada forestale lasciata in precedenza, davanti a me, con il medesimo ritmo
e passo, incede un viandante. Le nostre strade però si dividono subito dopo: io
prendo la diramazione a sinistra che mi porta alla Malga Pramper (sentiero
523), egli continua per il 540 che sale sino alla forcella del Moschesin.
Dopo un centinaio di metri di percorso, la visuale si apre sui
prati che ospitano la Malga Pramper (quota 1540 m), dietro di essa, spicca la
bellissima mole già citata dell’omonima montagna, altra visione incantevole.
Superato un ponticello in legno, seguo la carrabile, sino alla palizzata
della malga, presso una fontana abbeveratoio incrocio un altro viandante
dall’aspetto simpaticissimo. Mi par di averlo visto, forse alla partenza, e
dopo venti minuti me lo ritrovo a petto nudo, bermuda, scarpette da
avvicinamento, bastoncini da trekking e guanti da rocciatore. Il volto solare
mi ricorda quello del rimpianto leader dei Nomadi, Agusto Daolio. Egli ha il medesimo:
taglio di capelli, barbetta, occhiali tondi, presumo la stessa età e forse anche
la stessa voce, chissà! Ci salutiamo e presentiamo, è un viandante veneziano, e
come me, ama andare in solitaria. Dopo una breve conversazione ci congediamo
con il saluto degli spiriti liberi e un abbraccio fraterno anche se solamente spirituale.
Le nostre strade si dividono, lui si avvia alla forcella del Moschesin, e io
continuo per la mia meta.
Dalla malga seguo il sentiero 523, nei primi passi penso ancora
al viandante appena lasciato. Spesso in montagna incontro gente di mare, e
costoro hanno la medesima predisposizione per l’avventura, un’infinita ricerca
di libertà e solitudine. Gente socievole, positiva, con il sole dentro, questa
mia sensazione sta diventando una costante, quasi una regola.
Continuo l’escursione, avendo come prossima meta il rifugio
Sommariva al Pramperet, in un ora dovrei raggiungerlo. Percorro il bel sentiero
tra le ombre degli aghiformi, il cammino è dolce e comodo, e rispettando la
tempistica mi ritrovo in un’ampia vastità prativa che precede il rifugio
(q.1850 m). Nel vagare per i prati sono rapito dal bianco della dolomia del Pramper,
e alle mie spalle domina la cresta del Castello di Moschesin. Godimento a
mille, basterebbe solo questa visione per ritenermi appagato, ma il bello deve
ancore venire. Continuo il cammino, passando velocemente come un treno dal
rifugio, mi fermerò al rientro.
Inizio la seconda parte dell’escursione, ovvero l’arrembaggio e la
conquista del Pramper, quindi: isso sull’albero più alto del mio immaginario
galeone la bandiera con il teschio, simbolo degli spiriti liberi, e con la bandana
al vento e le ali ai piedi, parto. Gloria o morte!
Il sentiero, sempre ben marcato, si inoltra dentro una mugheta,
perdendo rapidamente quota (più di cento metri di dislivello); e aggirando le pendici
meridionali dello Spiz di Tita e dopo aver superato un impluvio, risale, per
più di duecento metri di dislivello, sino alla Forcella Piccola.
Presso l’impluvio noto un rigagnolo d’acqua che scorre
ininterrottamente, mi fermo per rinfrescarmi e per consumare una barretta
energetica. Durante il breve lasso di tempo sono attratto dal continuo
movimento delle formiche, dono a esse una briciola di quello che sto
consumando, che rispetto alle loro dimensioni deve apparire come un ciclopico
masso. Le formichine si allarmano, passato il pericolo, ne giungono altre, analizzano
la mollichina con le loro curiose mandibole; sicuramente, una di esse, ha fatto
il prelievo e lo ha portato in laboratorio analisi. Dopo pochi minuti, la
stessa formica, avendo avuto il responso positivo sulla commestibilità, arriva
assieme a un cospicuo plotone di formiche operaie, e un pezzettino a testa,
portano via nei magazzini del formicaio la vettovaglia.
In una frazione di tempo e in pochi centimetri di terriccio ho
ammirato l’infinito universo del microcosmo. La montagna è anche questo, non
solo grandi cime da decantare, ma anche piccoli mondi da raccontare.
Proseguo il cammino, e per luminosi passaggi panoramici di sentiero
arrivo alla Piccola Forcella (1943 m. – 30 minuti dal rifugio). Sono ancora emozionato,
non so cosa mi aspetta oltre, una volta raggiunto il piccolo intaglio, pochi
metri dopo scorgo, una recinzione fatta apposta per non far valicare gli armenti
oltre la valle. Dall’alto della forcella ammiro la selvaggia valle di Cornia, e
sono sedotto dalle verticali pareti del versante orientale della Cima Pramper.
Senza sostare continuo il cammino, puntando subito l’occhio e la direzione del
passo al lontano canale del Palon.
Senza indugio mi abbasso di alcuni metri, seguendo una piccola
traccia nei mughi, i tagli recenti sono un conforto. La traccia si abbassa di
quota, raggiungendo in breve il pietrisco del catino. Una serie infinita di
ometti mi guidano nei pressi di alcuni grossi massi erratici e un larice
solitario. Stavolta effettuo la sosta. Decido di liberarmi del peso dello
zaino, effettuando la classica operazione “Malfa”, cioè, l’attivazione del
modulo LEM (piccola sacca a seguito). Porto con me lo stretto necessario, tra
cui l’acqua e una giacca tecnica. Così leggero fatico di meno e procedo
velocemente. Sempre seguendo i diligenti e silenziosi ometti, raggiungo il
canalone Palon, visto dalla base non appare faticoso, infatti in pochi minuti
mi ritrovo in forcella (2150 m; 1.15 ore dal rifugio). Dall’insellatura posso
ammirare le valli Pramper e Balanzola, e naturalmente le creste delle cime più
vicine. A sinistra della forcella, segnalata da una miriade di ometti, inizia
la cresta che porta in cima al monte Pramper, avvio con il primo passo l’ora
più emozionante dell’intera escursione.
Nel primo tratto mi destreggio tra i piccoli blocchi di dolomia,
una traccia con ghiaino è a destra della cresta, essa mi conduce alla base
della bastionata, e tramite alcuni passaggi di primo grado sono sopra di essa,
e sempre guidato dai provvidenziali ometti procedo tra macigni e sfasciumi,
spostandomi ora sul versante destro della cresta. Dopo aver attraversato un
intaglio nella roccia, percorro l’ultimo tratto, poco sotto la vetta. Sempre per
roccette e zolle pervengo alla base di una placca, impossibile aggirarla (ci ho
provato), se non con passaggi di terzo grado e più, quindi seguendo le
indicazioni di due sbiaditi bolli rossi, salto sopra l’inclinata placca con un
passaggio di primo più, e con cautela mi sposto allo spigolo destro della stessa,
dove mi calo con un passaggio di primo grado più su un masso esposto su
entrambi i lati. Superato questo ostacolo, una traccia mi porta all’ultima
paretina sotto la cima, che si supera facilmente con un passaggio di primo
grado. Che emozione! Eccomi sull’esile vetta (2409 m. e 40 minuti dalla forcella Palone), una croce
rudimentale sormonta un ometto, fatta! Wow! Anzi triplo Wow! Enorme
soddisfazione, altissima, che meraviglia! In montagna come nella vita si può
andare in svariati modi. Di solito, dico ai miei ragazzi(soldati), riferendomi
all’esistenza, che molte esperienze fatte in gruppo sono divertenti, in due
splendide, ma da soli sublimi; lo stesso lo penso dell’andare in montagna.
Quando si va da soli tutto si amplifica, la gioia e il pericolo,
e se commettessi un errore la colpa sarebbe mia, e se vincessi la corona di
alloro sarebbe esclusivamente e solo mia. Questa mia affermazione non teme le
confutazioni dei falsi conquistatori, di coloro che da soli non sanno nemmeno orientarsi
nello stesso appartamento dove alloggiano, e che bramano immeritatamente solo ipocrite
lodi. Quando sei da solo, non c’è nessuno che ti porge la corda, che ti tiene per
un braccio, o ti issa per i glutei per farti superare un ostacolo, sei solo tu,
con il tuo coraggio, la tua onestà e la montagna. Qualcuno mi replicherà che
non è vero, e io a costui rispondo, che anche nel fare sesso siamo soli, e che
quella che comunemente è chiamata l’anima gemella, non è altro che un’illusoria
ricerca di qualcuno che sia simile a noi per darci quel tale e sublime piacere.
Per questo, per quanto possa volere bene ai miei pochi amici, in montagna, le
più grandi emozioni, le provo esclusivamente da solo. Certe impressioni per
essere descritte abbisognano di una mano talentuosa, di una mente fertile, come
quella del sublime vate Gabriele D’Annunzio.
E da solo, in questa cima avvolta dalle nebbie, mi godo l’attimo,
l’infinito. Non ha importanza che tutto sia coperto dal mantello velato, durante
l’ascesa ho colmato di belle immagini gli occhi e lo spirito, ora so che non
temo nulla, e vedo il magnifico in tutto. E la nebbiosità? È una fresca coperta
che mi ha fatto faticare di meno, svelandomi il lato poetico della montagna.
Tra gli ometti c’è un tubo in metallo, lascio il logo del gruppo all’interno, e
mi preparo al rientro. Scendo con calma,
sono davvero concentrato ed euforico, come lo sono i vincitori alla fine della
battaglia. Affronto con calma la discesa, e in breve sono alla forcella Palon.
Il cielo si apre all’azzurro, svelandomi la bellezza dell’amore che ho appena
sedotto e perso. Presso i massi erratici riprendo lo zaino, avevo legato una
fettuccia a un ramo del larice come segno di riconoscimento. Sorseggio un
goccio d’acqua e scarico la tensione, procedo con calma, ed eccomi in un esiguo
tempo alla forcella Piccola, questa volta mi soffermo, concedendomi alla
contemplazione prima di procedere nella valle adiacente.
Noto su un masso due piccole lapidi con foto, contorniate da
numerose stelle alpine, forse messe in onore di due spiriti liberi, uno dei
due, nella foto, è ritratto con un cane, il mio pensiero vola a Magritte.
Mi commuovo a una tale visione, l’espressione del volto dello
spirito libero ritratto mi ha avvinto. Ha un’espressione dolce e sorridente,
viva e buona, tipica di chi ama anche se non amato, di chi dona senza avere un
interesse, è l’identica espressione dell’eccelso viandante solitario. Saluto
questi mie fratelli, che simbolicamente in eterno vivranno nella valle, e
riprendo il cammino del ritorno.
Presso l’impluvio riempio le due borracce d’acqua, e cosi con i
vari saliscendi arrivo al rifugio. Entro all’interno della struttura e ordino
una Radler, provo a gustarla presso i tavoli posti all’esterno. Una tizia
riposa in posizione distesa e beatamente su una panca, adopera la mascherina
anti-Covid come copri occhi. Pochi metri in basso scorgo dei tavoli, in un
cartello è scritto picnic, mi sposto verso quest’ultimi, e mi accomodo sulla
panca. Estraggo dallo zaino la borsa con le provviste: panino, banana e la birra.
Il momento ricreativo è un altro tipo di godimento che adoro e a cui non
rinuncio. Mentre ammiro il paesaggio, mordicchio il panino, sorseggio la bevanda,
ci vorrebbe anche una bella dormita, ma sarà per un'altra volta. Una volta
finito il momento ludico, mi preparo per la partenza allacciando bene le
stringhe degli scarponi. Il sentiero del rientro è assai lungo, durante il
tragitto canticchio.
Una volta raggiunta la malga Pramper, decido di prendere del
formaggio fresco e lo serbo nella borsa frigo. Una dolce e bella fanciulla mi fornisce
il tutto, è avvenente quanto la montagna, forse è una dea? Non importa! Oggi
tutto è magico e meraviglioso. Con calma riprendo il cammino, scoprendo e
visitando una piccola capanna che somiglia a un nido d’amore, donato dagli dei agli
amanti che decidono di sognare sotto le stelle di questa splendida valle.
Raggiunta l’auto, riprendo il cammino per il Friuli, guido piano, sono tanto
stanco ma soddisfatto. Durante il tragitto del ritorno ho modo di ammirare le
numerosissime cime, molte conosciute, altre no, ma tutte signore montagne, che
amo.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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