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giovedì 23 luglio 2020

Castello di Moschesin 2499 m. dal Passo Duran (Agordo BL)

 Castello di Moschesin 2499 m. dal Passo Duran (Agordo BL)

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Dolomitiche -gruppo Dolomiti di Zoldo

Regione: Veneto

Avvicinamento: Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Forno di Zoldo -Dont- Indicazioni per passo Duran-Superare il passo Duran e trovare posteggio presso la località Ponte di Caleda (nei pressi della Malga Caleda Vecchia; quota 1500 m circa),
Dislivello: 1200 m.

Dislivello complessivo: 1200 m.

Distanza percorsa in Km: 14 chilometri.

Quota minima partenza: 1500 m.

Quota massima raggiunta: 2499 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore

In: coppia

Tipologia Escursione: selvaggio escursionistica

Difficoltà: Escursionisti Esperti A 1+ 2- F+

Segnavia: CAI 543; 542- segni blu Alta Via n° 1- bolli sbiaditi e ometti.

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: medio-alta

Attrezzature: no

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: – Tabacco 025 Dolomiti di Zoldo- agordine e cadorine.
2) Bibliografici:
3) Internet:

2)               Periodo consigliato: luglio-ottobre
3)                
4)               Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Il sentiero CAI ben segnato e marcato. Il restante percorso lo si percorre per detriti e sfasciumi con la provvidenziale presenza di radi bolli rossi e ometti.

Fonti d’acqua: no

Consigliati:

Data: Domenica19 luglio 2020

Il “Forestiero Nomade”
Malfa
IL titolo “il Castello di Moschesin”, tutto potrebbe stimolare alla fantasia tranne che sia il nome di una montagna selvaggia delle Dolomiti Bellunesi. Fino a una settimana fa ne ignoravo la sussistenza, finché, nell’ascesa alla cima Pramper, proprio durante l’attraversamento del prato che precede il rifugio Sommariva al Prampereit, notai la mirabile e luminosa mole del monte.

In quel frangente, transitando velocemente dal rifugio, chiesi ad un escursionista il nome della montagna, mi rispose che si trattava del Castello di Moschesis, e da quell’ istante il mio desiderio di conquistarlo è diventato un chiodo fisso.
Passano pochi giorni, e sento il richiamo del monte, l’anima del viandante è rimasta tra le cime di Zoldo. Appronto tutto il necessario per l’escursione, mappe, zaino, ecc, ecc. Chiedo via mail a Dario e Francesco se vogliono essere partecipi della sfida. Dario per il giorno dell’escursione ha impegni irrevocabili, mentre Francesco acconsente con entusiasmo, scoprendo in seguito che da anni era nella sua lista verde dei monti.
Il giorno dell’escursione il luogo dell’appuntamento è fissato al solito posto, si parte con Francesco alla volta di Zoldo, e come itinerario di avvicinamento percorriamo quello che a parere nostro è più affascinante, ovvero la strada provinciale che attraversa le valli del Cellino e del Vajont, sino a raggiungere Longarone.
Di seguito avevo in mente di proseguire per la località di Duran da Agordo, ma Francesco che è u[GM1] n vecchio lupo delle Dolomiti, mi consiglia di raggiungere da Forno di Zoldo il passo del Duran.
Il cielo nel primo mattino è coperto da nubi, ma le previsioni danno un pomeriggio all’insegna del bello.
Poco dopo il passo di Duran, presso un parcheggio ai margini di un curvone lasciamo l’auto, trattasi della località Ponte di Caleda (nei pressi della Malga Caleda Vecchia; quota 1500 m. circa).
Una volta pronti (caschetto al seguito) si parte.    Noto che Francesco tiene agganciati al collo degli scarponi, inizialmente penso che stia pagando una penitenza, lo stesso mi informa che durante il tragitto effettuerà un cambio gomme, iniziando il primo tratto del sentiero con le comode scarpette di avvicinamento (le slick).
Dal parcheggio percorriamo il sentiero 543, che si snoda all’interno di un fitto bosco di aghiformi, passando successivamente per la forcella Dagarei, e con una moderatissima pendenza e alcuni sali scendi raggiunge l’ampio catino ghiaioso sotto le pareti sud-occidentali dei Tamer.
In corrispondenza di un canalone di ghiaia che scende dalla forcella Larga, scorgiamo un gruppo di ometti di pietra che ci invitano a tralasciare il sentiero ufficiale (quota 1700 m. circa e a un’ora e mezza dal parcheggio). Dal punto volgiamo lo sguardo in alto, dobbiamo risalire il canalone sino alla Forcella Larga tramite delle tracce su ghiaia che con maggiore pendenza ci guideranno al ripido canalino che precede la Forcella Larga.
Guidati dai numerosi ometti, iniziamo la Via Crucis, alcuni brevi passaggi tra i mughi ci danno un sollievo, prima di procedere per il faticoso tratto finale, ovvero la colata di sfasciumi; Francesco che l’ha già percorsa in passato, ne ricorda ancora l’immane fatica.
Mentre arranchiamo sulle ghiaie mobili veniamo superati da due escursionisti che procedono con un passo spedito. Durante questa breve ascesa, non sono rari gli attimi in cui ci fermiamo per ammirare le pareti strapiombanti dei Tamer (è anche una buona scusa per riposare), e le lontane cime dolomitiche, il meteo sembra migliorare e le nubi si diradano.
Raggiunta la Forcella Larga(quota 2185, a un’ora e trenta dal bivio), rimango affascinato dalla bellezza dell’ampio teatro dolomitico dominato dalle pareti meridionali delle Forzelete. Sempre dalla forcella volto lo sguardo a meridione dove si erge la prima elevazione della Cima della Forcella Stretta. Durante la breve sosta, sopraggiungono dal sentiero per il Castello di Moschesin due ragazzi, sono giovanissimi. Chiediamo informazioni sulle difficoltà tecniche trovate durante l’ascesa al monte. Terminata la pausa ci avviamo per la nostra meta. Dopo il primo tratto di sentiero scopriamo che non sarà una scampagnata. Una traccia insidiosa sul versante dirupato ci porta a superare dei tratti aerei con alcuni saliscendi, finché da un pulpito panoramico possiamo ammirare nel suo splendore il corpo principale del Castello di Moschesin. Confesso che a primo acchito una tale visione mi ha tanto impressionato, e con lo sguardo indagatore cerco di intuire come e dove bisogna risalirlo. Proseguendo lo scopriremo.      
Superati i ghiaiosi e tormentanti pendii del versante orientale della Cima di Forcella Stretta, giungiamo alla omonima forcella, impiegando una buona mezz’ora. Giunti alla base della mole rocciosa, effettuiamo un’altra sosta. Io mi libero dallo zaino (occultandolo tra i massi), portando al seguito solo una sacca. Ora ci attende una parete articolata con un camino obbliquo e anche piuttosto esposto, che superiamo con un’arrampicata di I e II grado. Usciti fuori dal camino incrociamo una coppia di escursionisti in discesa, gli stessi ci informano che manca poco alla vetta.
Risaliti sulla cresta (sempre per traccia nell’infido ghiaino), continuiamo a seguire i numerosi ometti intervallati da bolli rossi, così affrontiamo l’ultimo baluardo che superiamo tramite alcuni salti rocciosi e un breve camino (passaggi di primo grado e più). 
Siamo tanto vicini alla meta, con gli ultimi divertenti passaggi su roccia raggiungiamo la vetta (quota 2499 m. a un’ora e trenta dalla forcella Larga materializzata da due ometti: uno alto un metro ed eretto con intenzione per fare raggiungere alla montagna l’altezza di 2500 metri, mentre l’altro ometto serba un tubo in metallo con all’interno il libro di vetta. Fatta!
Stanchi, felici e soddisfatti, ci godiamo il breve intenso attimo di gloria, in seguito, confesseremo reciprocamente, che nel nostro animo albergava un timoroso pensiero, quello di ripercorrere a ritroso i passaggi esposti, che banali non sono.
Le nubi ora si compattano, e all’orizzonte coprono le vette delle più prestigiose cime dolomitiche, tra cui cito gli inconfondibili Antelao e Pelmo.
Una volta ripreso fiato, e timorosi del cielo che sta per chiudersi, iniziamo la discesa, naturalmente con tanta prudenza. I passaggi articolati di arrampicata vengono vinti senza particolari ansie, così raggiungiamo la Van de la Gardesana a ridosso della Forcella Larga. Scarichiamo l’adrenalina accumulata, il più è fatto, quindi decidiamo di fare una pausa per consumare il rancio. Il meteo oggi è davvero pazzerello, ora mette di nuovo al bello, i raggi del sole filtrano tra le nubi, rivelando ampi squarci d’azzurro. Commentiamo con evidente soddisfazione l’impresa compiuta. Rimettiamo gli zaini in spalla e affrontiamo il ripido canalone di ghiaia che scende dalla forcella, esso è più ostico nella discesa. Con movimenti originali ci barcameniamo tra gli sfasciumi: io alterno l’incedere incerto a spaccate plastiche alla Rudolf Nureyev, mentre Francesco si esibisce in uno slalom sulla ghiaia da fare invidia ad Alberto Tomba.
Usciti incolumi dall’imbuto di pietrisco, percorriamo le tracce che precedono la breve mugheta, e di seguito il comodo sentiero detritico che ora ci pare un’autostrada.
Raggiunto il bivio che si collega al sentiero ufficiale, ci voltiamo indietro ad ammirare la montagna appena conquistata, con le luci pomeridiane appare più elegante, magnifica, e dai nostri occhi sprizza la gioia per la conquista.  Vorremmo procedere velocemente per il sentiero di rientro, ma ci fermiamo spesso ad ammirare la forma elegante del Castello di Moschesin, ricreando idealmente e per brevi istanti la nostra ascesa. Il ritorno è molto acquietante, dopo la conquista le fatiche appaiono più lievi, un ultimo e commovente saluto alla mole del Castello di Moschesin, prima che il bosco rapisca la scena.
Camminando nel silenzio del bosco penso e ripercorro gli episodi più eccitanti dell’avventura. Raggiunta l’auto, ci approntiamo per il rientro, decidendo di bere in seguito una bibita alla prima località utile (la scelta cade sul borgo di Dont).  Tra i bicchieri colmi e una manciata di patatine fritte fluiscono gli ultimi commenti all’avventura odierna. Il rientro alla pianura friulana è per il medesimo itinerario dell’andata, e come al mattino è accompagnato dai nostri dialoghi sui monti e sull’esistenzialismo; naturalmente soddisfattissimi di aver conquistato una Signora Montagna.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.


 


































































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