Sassolungo (2413 m.) da Cibiana.
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti di Zoldo- Gruppo del bosco nero-
Regione: Veneto (BL)
Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo-Diramazione per Formesighe- Forcella Cibiana- Presso la forcella Cibiana trovare parcheggio, quasi tutti con il disco orario.
Dislivello: 900 m.
Quota massima raggiunta: 2413 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: Escursionistica-paesaggistica-
Difficoltà: Escursionisti esperti alpinistico- Passaggi di primo e secondo grado su roccia.
Segnavia: CAI 483
Impegno fisico: medio alto
Preparazione tecnica: medio alta
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: si, messo un barattolino con fogli all’interno per documentare il passaggio.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
2)
3)
4)
Fonti d’acqua: no
Consigliati: Casco e guanti da rocciatore, la corda risulta inutile per via della roccia fradicia-
Data: domenica 26 luglio 2020
Il “Forestiero Nomade”
L ‘escursione sulla cima del Sassolungo di Cibiana, non è venuta fuori per caso, essa giaceva da tempo nell’oblio. Le recenti escursioni nel magico mondo delle Dolomiti Bellunesi di Zoldo, ha risvegliato in me dei desideri sopiti, e uno dietro l’altro li sto realizzando. Quindi, il Sassolungo, dopo il Pramper e il Castello di Moschesin cattura i miei pensieri alpinistici.
Il caldo del mese luglio ha sciolto molti nevai, quindi è giunto il momento che io possa per la prima volta vagare per la valle sopra la forcella di Cibiana. Mi sono ben documentato nel web sulle difficoltà tecniche della montagna: è un percorso alpinistico poco difficile, con passaggi che al massimo arrivano al secondo grado, non servono corde per via della roccia marcia. Compagna in questa avventura sarà Giovanna, è giunto il tempo che possiamo fare assieme anche escursioni impegnative; per ella sarà un banco di prova, e sono convintissimo che lo supererà alla grande. Quindi, dopo questo preambolo, passo a raccontare i fatti.
Il giorno dell’impresa ci si sveglia prestissimo, alle ore 03:30 di notte. Il meteo della zona dell’escursione prevede: cielo velato il mattino e nuvoloni di pomeriggio, la pioggia è prevista per la tarda sera. Il dislivello è complessivo di 1100 metri, quindi ce la prenderemo con comoda. Arriviamo alla forcella di Cibiana alle ore 06:30, e troviamo l’unica autentica difficoltà dell’escursione, ovvero rivelare un posteggio. Siamo circondati da una miriade di cartelli segnaletici blu con la scritta P in bianco e con chiari riferimenti ai dischi orari. Tutto questo mi appare una presa in giro, come fa un escursionista a prevedere un orario, visto che le escursioni mediamente durano dalle sei ore in su tranne complicazioni? Quindi brancolo nel buio e mi barcameno con l’auto, finché trovo una soluzione presso il Rifugio Alberghetto Deona(quota 1530 m.).
Questo intoppo mi ha carpito una buona mezzora. Una volta pronti, zaini in spalle e sogni al seguito, si parte per la destinazione.
Dallo stesso albergo ristorante, un cartello CAI, dalla forma rettangolare e di colore giallo, ci indica il giusto percorso da seguire. Percorriamo uno sterrato, e dopo aver superato un parcheggio continuiamo per la medesima strada, sino al primo bivio (altra segnaletica CAI) dove svoltiamo per il sentiero 483 (a sinistra) con le chiare indicazioni per la forcella Bella e la casera Campestrin.
Il percorso si addentra nel bosco di conifere, e ha un andamento davvero rilassante con poca pendenza, abbiamo modo così di fare fiato. Ammiriamo dai brevi squarci nella vegetazione la nostra meta, avvolta da dispettose nuvole mattutine. Presso un bivio, alle pendici dello Spiz di Copada, (quota 1850 circa, a un’ora dalla partenza) prendiamo la diramazione a sinistra seguendo le indicazioni per la Forcella Bella di Sfornoi. Pochi metri nella mugheta e usciamo all’aperto, percorrendo un lungo ma comodo sentiero che attraversa diagonalmente il ghiaione nord della cima degli Sfornoi.
La nostra meta appare più vicina, essa è sicuramente la regina tra le attigue e affascinanti fortezze dolomitiche, tra cui spicca la torre Campestrin.
Il gioco delle nubi è gradevole, una briosa danza ammaliante, e il continuo movimento del velare e svelare ci incanta, distraendoci dal cammino che compiamo.
Transitiamo sotto i bastioni imponenti degli Sfornoi, e raggiunta una prima forcella, proseguiamo a sinistra (segni sulla roccia) sino a raggiungere la forcella Bella (q. 2112 m. a un ora dal bivio precedente). Mentre la nebbia ci avvolge, raffreddandoci le membra, ci prepariamo per la fase successiva. Giovanna, cambia le scarpe di avvicinamento con i più robusti scarponi, di seguito indossiamo caschetto e guanti. Siamo pronti per la seconda fase dell’escursione, ovvero l’assalto alla meta. Dalla forcella Bella ci abbassiamo, sempre per il comodo sentiero 483, all’interno della valle del Campestrin, fino a rivelare un ometto quasi inesistente e una traccia a sinistra (piccolo larice). Svoltiamo senza tentennamenti e i successivi bolli rossi, segnati alla base delle perpendicolari pareti che sfioriamo, sono la prova che procediamo nella giusta direzione. Riguadagnando quota raggiungiamo una piccola forcella mista a ghiaia ed erba, dove termina il semplice percorso da escursionisti (quota 2080 m. a 20 minuti dalla forcella Bella). L’immensa mole della parete nordoccidentale del Sassolungo ci impressiona, scorgo tra le rocce degli ometti, tra poco inizieremo ad adoperare anche le mani. Decidiamo di liberarci dal peso e l’ingombro degli zaini (anche Giovanna nel suo zaino tiene il modulo LEM, mini-sacca di emergenza) occultandoli dietro un masso, a pochi metri dall’attacco, insieme alla metà dei bastoncini da trekking. Muniti di mini-sacca con lo stretto necessario al seguito, una volta pronti iniziamo l’arrembaggio e la conquista del Sassolungo. Issiamo sull’albero più alto del nostro immaginario galeone la bandiera con il teschio, simbolo degli spiriti liberi, e con le bandane al vento e le ali ai piedi, partiamo. Gloria o Morte!
Una paretina di I+ è il benvenuto, breve momento di indecisione, ma Giovanna scalpita ed è già su, comprendo che non dovrò temere per lei, e questo è assai positivo. La paretina la si supera al centro, poi si è a ridosso di alcune placche, e seguendo gli ometti, percorriamo in direzione ovest una piccola cengia esposta e panoramica, ma sicura. Dopo un centinaio di metri (passando sotto un piccolo tetto) siamo a ridosso dello spigolo occidentale del monte, che risaliamo tra brevi passaggi di roccette (seguire sempre i bolli rossi e gli ometti) sino al primo camino (4 metri di I°+). Superato lo stretto camino, sempre seguendo i bolli rossi, si prosegue a sinistra, un saltino e un altro camino (5 metri con passaggi di I°+), uscendo da quest’ultimo a sinistra per una breve cengetta, poi a destra sino a entrare in un piccolo canale che precede un antro.
Con facili passaggi di arrampicata entriamo nella spelonca dove vi sono due fori, quello di uscita ha uno spezzone di corda, che noi non utilizziamo. Per uscire all'esterno del pertugio (II°) effettuiamo una spaccata con le gambe e in un attimo siamo fuori, passaggio davvero divertente.
Subito dopo il foro, affrontiamo un canalone, alcuni brevi movimenti di I° sino a risalire su un cornicione esposto che sovrasta il canalone a sinistra (passaggio di I°+). Fuori dal canalone, sempre per brevi rampe e canalini (salto verticale di 2 metri), arriviamo all’ultimo ostacolo, una paretina ben articolata di I°+, superata quest’ultima procediamo sempre con difficoltà decrescenti sino all’ultimo saltino di I° che precede un forcellino. Da quest’ultimo i bolli rossi e gli ometti ci guidano a destra, nell’ampia cresta sommitale. Con la croce già in vista percorriamo la dorsale di ghiaia, mentre le nubi si diradano, donandoci per brevi istanti uno splendido cielo azzurro e dei caldi raggi solari. Fatta! La meta è stata raggiunta, simboleggiata da una manifesta croce in metallo, visibile per le sue dimensioni anche dalla forcella di Cibiana, (quota 2413 m. a un’ora e trenta dall’attacco).
L’atmosfera che ci circonda è irreale, sembra di vivere dentro a un sogno, il continuo movimento delle nubi ci rende sia turbati che euforici, è un incessante divenire, e la spaziosità della vetta ci rilassa, quasi vezzeggia, donandoci quella quiete tipica di chi si riposa dopo una lunga fatica.
Stranamente non avvertiamo il solito timore del pensare al rientro quando si compie un percorso impegnativo e che merita attenzione. Durante l’ascesa, commentavo con Giovanna, che mi fa più paura l’ignoto che il provato, ora so quello che ci aspetta durante la discesa. Siamo consapevoli che sulla roccia si procede con la dovuta flemma, piccoli passi, e mai dimenticare di porre tre arti sulla roccia e uno libero, così riduciamo di molto i rischi, anche con l’ausilio della dotazione individuale, idonea all’ambiente che stiamo affrontando.
In cima non troviamo libro di vetta, per fortuna, noi abbiamo sempre un barattolino a seguito per provvedere alle eventuali carenze. Lasciamo il foglio “rosso” con il noto simbolo del gruppo spiriti liberi, apportando i segni del nostro passaggio. Trascorriamo più di venti minuti sul tetto del Sassolungo prima di procedere al rientro. Confesso, che è assai triste lasciare il luogo, ne avverto sin da subito la mancanza, ma bisogna rientrare, in lontananza si stanno formando dei cumulo-nembi. Sia durante l’ascesa che nella discesa incontriamo degli escursionisti, gente simpatica e socievole, adoriamo, per quanto siano brevi le conversazioni scambiate ad alta quota, la gente che nutre la nostra stessa passione.
La discesa, grazie alle regole che ho scritto prima, avviene senza intoppi e patemi, anzi, ci divertiamo tantissimo. Arrivati alla forcella, dove è posto l’attacco della via, recuperiamo gli zaini, e naturalmente, mettiamo qualcosa nello stomaco, ce lo siamo meritati.
Tolti i caschetti, passiamo dallo stato alpinistico a quello escursionistico, iniziando il cammino del ritorno, naturalmente con il morale alle stelle. Mi congratulo con Giovanna, ha davvero superato con destrezza e competenza un test difficile. Le comunico con un indiscusso orgoglio che da ora in poi sarà per il sottoscritto una validissima compagna d’avventura. Con l’euforia di chi ha vinto e conquistato qualcosa di prezioso, riprendiamo il cammino. In dirittura di arrivo, nel bosco, percepiamo i tuoni sempre più frequenti e vicini, la pioggia ci coglierà solo un attimo dopo aver chiuso le portiere dell’auto. Felicissimi e carichi, si rientra nel nostro Friuli, con una nuova cima conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.