Monte Serva 2133 m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 9,5.
Quota minima partenza: 1035 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti bellunesi-Gruppo dello
Schiara-Pelf-Serva
Avvicinamento: Lestans-Maniago-Barcis-Erto-Longarone- Ponte
nelle Alpi- Belluno- Col di Roanza- Trovare uno spiazzo per l’auto lungo la
carreggiabile che sale sino alla località Cargador
Dislivello: 1100 m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 9,5.
Quota minima partenza: 1035 m.
Quota massima raggiunta: 2133 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: paesaggistica
Difficoltà: escursionistiche
Segnavia: CAI 517
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 024.
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: giugno ottobre
3)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: ben battuto ma segnato male, segni dei bolli CAI usurati
Fonti d’acqua: si
Consigliati:
Data: 13 giugno 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Il mese di giugno,
particolarmente uggioso, mi stimola ad ampliare la ricerca di giornate da
dedicare alle escursioni, pensando a delle mete anche oltre i confini della
regione. La provincia di Belluno è vicina, e la si raggiunge tramite la strada
regionale 251. Durante il tragitto si possono ammirare un’infinità di montagne,
tra esse cito: la Cima dei Preti, Duranno, Col Nudo, Crep Nudo, Borgà, Raut,
Cornetto, Certen, Lodina, Provagna, Porgeit, La Palazza, Cita, Toc, Vacalizza.
Un meraviglioso viaggio dentro il cuore delle dolomiti friulane, che a ogni sguardo
concede intense emozioni. La nota diga del Vajont e il semaforo che precede il
tunnel sono lo spartiacque artificiale e naturale tra le due regioni, Friuli e
Veneto.Malfa
Nei giorni scorsi,
sfiorando con un dito la mappa tabacco 024 (Prealpi e Alpi bellunesi), mi sono
soffermato su un determinato sentiero, il 517. Esso, segnato all’interno della
selva settentrionale che sovrasta la città di Belluno, termina il suo percorso
in cima al Serva. In previsione di una giornata all’insegna del bello, scelgo
codesto itinerario che appare non proibitivo. Da alcune foto trovate sul web ho
intravisto la cima: bella, erbosa, dolce e solare. Giovanna e io, abbiamo
bisogno della luce e del calore che tanto ci ricorda la nostra terra natia. La
sveglia è prevista per le prime ore del mattino, alle ore 08:00 percorriamo in
auto i tornanti che salgono all’interno del bosco che domina Belluno. La nostra
meta appare parzialmente coperta da nubi dispettose, ma ne ho intravisto la
cresta, essa è baciata dal sole.
Dopo il rifugio Bar
Roanza, proseguiamo con l’auto nella stretta stradina per altri cento metri di
dislivello, molteplici auto poste ai fianchi della strada ci annunciano che il
sentiero già brulica di amanti della montagna. Pochi metri prima della tabella
esplicativa del monte Serva (località Cargador 1035 m.) lasciamo l’auto in un
comodo spiazzo. Un cartello posto presso un tornante ci segnala che le auto
sono soggette a furti, trattasi purtroppo di un malcostume diffuso in tutto il
territorio nazionale. Una volta pronti si parte. Oggi, come ogni
fine settimana, della pattuglia farà parte anche il prode Magritte; ultimamente
appare ringalluzzito e ringiovanito, deve aver sottoscritto un patto con il
diavolo.
Il sentiero parte da
subito ripido, e per il resto del cammino sarà lo stesso. Percorriamo la
traccia dentro un bosco, sorvolo il sentiero a destra (tratto scalinato, sentiero
ufficiale CAI) per seguirne uno non segnato ma ben marcato. Usciti dalla
macchia boschiva, intravediamo solo la traccia che si perde nei prati inerbiti
e senza ometti guida. Ci fermiamo ad ammirare i verdi colli che precedono la
cima, passo dopo passo appare meno proibitiva. Seguiamo una traccia ben marcata
a destra che ci riporta dentro il fitto bosco di conifere, fino a incrociare il
sentiero ufficiale 517. Un canalino ben scavato è l’itinerario da seguire,
serpeggia dentro la selva, fino a spuntare sui prati sommitali del Col Cavalin
(1394 m.). L’effetto dato dal trapasso dalle ombre alla luce è intensamente
magico, una forte energia e un’esplosione di luce ci avvolge, oltre ci attende
una panchina rudimentale, posta a beneficio degli ammiratori di passaggio.
Dalla cima ci separano
ancora 750 metri di dislivello da effettuare su ripidissimi prati inerbiti.
Dalla solitudine del bosco siamo passati a percorrere un sentiero assiduamente frequentato.
Ammiro divertito i viandanti che procedono nelle due direzioni e osservo il
loro equipaggiamento: chi come me ha uno zaino esagerato e chi è minimalista,
chi si accompagna con cani o solo con sé stesso.
Particolarmente la mia
attenzione è attratta da un ragazzo che prosegue in salita, egli ha l’aspetto di
un viandante solitario: capelli lunghi, barba, viso dolce; porta al seguito uno
zaino di medie proporzioni, e procede con un passo lento e costante, l’ho
rincontrerò di seguito in vetta. Dopo cento metri di dislivello, giungiamo
presso un abbeveratoio, dall’alto un’ombra volteggia su di noi ma non è Icaro, bensì
un suo erede, un simpatico spirito libero che si diletta con il parapendio e ci
onora con volteggi. Simpaticamente attiro la sua attenzione con un grido, mi risponde,
dedicandoci, con la sua fantastica macchina volante, dei passaggi adrenalinici
e a bassa quota. Felici e onorati dello spettacolo, ringraziamo e proseguiamo per
la salita; stavolta il sentiero vira a sinistra sul ripido pendio tramite una
lunga diagonale. A volte le nuvole ci celano il paesaggio, ma quando si aprono,
tutto è spettacolare, con un panorama che spazia dalla città di Belluno sino al
mare, passando per i monti e i laghi che anticipano la pianura veneta.
Giungiamo alla malga
“Casera Pian dei Foc” che troviamo in un eccellente stato, alcuni somarelli
sono in attesa nelle stalle, abituati alla visita di numerosi escursionisti non
si distraggono con il nostro passaggio. Per proseguire per la vetta bisogna
passare all’interno del recinto che cinge la casera, ed è quello che facciamo.
Tra gli escursionisti
che incrociamo nessuno ha l’espressione corrucciata, paiono tutti felici. Il nemico
comune, il “Covid 19”, in questa regione sembra aver riavvicinato la gente,
piuttosto che averla resa sospettosa e negativa verso il prossimo. L’ospitalità
è anche una forma culturale, e ben si associa al sole, al cielo azzurro e ai
prati dai brillanti colori smeraldini.
Chi scende si ferma
per dare precedenza a chi sale, e noi faremo lo stesso al ritorno, ci piace rispettare
questo antico codice cavalleresco; l’educazione in montagna non dovrebbe essere
una facoltà volontaria.
Gli escursionisti che
incontriamo variano di età, dai piccini di meno di un anno ai signori di mezza
età con i capelli color pepe-sale, ma quello che mi colpisce è una certa
aristocrazia dell’animo, e non mi spiace.
Una serie di tornanti
proprio sotto la cima ci avvicina alla meta. Oggi, incautamente, ho portato al
seguito uno zaino che da anni non adoperavo, e ho capito perché lo avevo dismesso
precocemente. Esso è già pesante di suo, e mi ha dato, durante il tragitto, tanta
noia e sofferenza, oggi sicuramente è stato il suo ultimo giorno di escursione,
da domani ritorna in sgabuzzino a fare compagnia alla corda e alle varie attrezzature
per la montagna. Ancora pochi passi e tornanti ed ecco la croce in metallo ben
in vista, ma non si arriva mai. Malgrado
l’escursione non presenti nessuna difficoltà tecnica, il sentiero si è rivelato
ripido, un po’ mi ricorda la mulattiera che porta in vetta al Monte Nero. Finalmente
ci siamo, mancano pochi metri, mi fermo, bevo un sorso d’acqua e do la
precedenza alla mia signora. Fatta! Un'altra cima è aggiunta al medagliere (2133
m.), e Magritte oggi raggiunge le 212 prime cime, davvero un maestro, e a esso sentitamente
e affettuosamente mi chino, coccolandolo con delle carezze.
Spira il vento, improvvisiamo
una veloce posa di vetta, e dopo ci spostiamo al margine sinistro della stessa
dove troviamo il giovane viandante dai capelli lunghi, incrociato in precedenza.
Facciamo subito amicizia, il ragazzo è di due mesi più giovane di nostro figlio
(Giovanni), anche lui studente universitario, e sfoggia lo stesso sorriso da
idealista, sognatore, vivo e positivo. Mentre dialoghiamo, mi rivolgo spesso
alla mia compagna a rammentagli e in modo ripetitivo che ha l’età di nostro
figlio, interagisco come se fossi un vecchio rincoglionito. Questo mio modo
stravagante di agire sicuramente ha svelato il desiderio inconscio di avere Giovanni
con me in montagna; ma lui predilige la bici e altre passioni. Il giovanotto ci
consegna la cresta, rientra, vive a Padova, anch’egli oggi ha fatto una
levataccia. Ci congediamo come da spiriti liberi, il braccio proteso in alto,
le dita a V, e il sorriso che illumina il volto.
Dall’angolo della vetta
ammiriamo ciò che le discole nuvole ci elargiscono, scorci dello Schiara e del
Pelf e basta, il resto è un continuo apparire e svanire con i loro capricciosi
giochi di magia. Non sono minacciose, quelle cattive (i cumulonembi) se ne stanno
come spettatrici a debita distanza.
Ci abbassiamo di
qualche metro nell’inerbito prato, dietro dei massi affioranti, poco sotto la
dove la massa degli escursionisti si para dalle correnti ascensionali. Ci accomodiamo
su dei massi e ci dedichiamo alla consumazione del rancio. Dopo la fatica, come
sempre, tutto il cibo è più buono e si gusta con piacere. Dall’alto (durante la
consumazione del pasto) spaziamo lontano sino a dove lo sguardo lo concede. Il
sole canicolare ci sfiora, e il cielo lapislazzuli ci inebria l’animo di
intense emozioni.
La sosta è breve, la
distanza dall’abitazione ci consiglia di riprendere il cammino, stavolta quello
del ritorno. Procediamo con calma, spesso fermandoci a dialogare, a fotografare,
o semplicemente a contemplare. Giungiamo all’auto, inebriati dalla magnificenza,
il verde del prato è indelebile nella mente. Rientriamo in Friuli, nominando e riammirando,
come se fosse un gioco, le cime già viste al mattino. Le arterie stradali sono
percorse anche da centinaia di centauri, ognuno a suo modo viaggia ed evade dal
quotidiano, con le proprie passioni.
Essere spiriti liberi
è anche questo, non essere uguali e omologati, ma diversi, uniti solo dall’immensa
passione che noi chiamiamo Montagna.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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