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venerdì 5 giugno 2020

Monte Auda dal Passo del Monte Rest.

  Monte Auda da Passo di Monte Rest.

Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche – Catena Valcalda Verzegnis-Gruppo Valcalda Taiet- Sottogruppo Valcalda.

Avvicinamento: Lestans-Meduno- Tramonti di Sopra- Seguire indicazioni per il passo Rest (1044 m.) - Raggiunto il passo troviamo un ampio parcheggio di fronte l’inizio del segnavia CAI n.826-

Dislivello: 730 m.

Dislivello complessivo: 1100 m.

Distanza percorsa in Km: 12 chilometri.

Quota minima partenza: 1044 m.

Quota massima raggiunta: 1700 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste:6 ore (il tempo impiegato è soggettivo)

In: Solitaria

Tipologia Escursione: selvaggio-panoramica

Difficoltà: Escursionisti esperti amanti del selvaggio.

Segnavia: Cai 826-
Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si (custodia in plastica con annessa penna e fogli per iscrivere il passaggio)
Timbro di vetta: no

Riferimenti:

Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028.
2) Bibliografici:
3) Internet:

Periodo consigliato: maggio-ottobre

Da evitare da farsi in: Con terreno umido o in presenza di ghiaccio
Condizioni del sentiero: Meriterebbe una cura

Fonti d’acqua: nessuna

Consigliati: Ramponi da erba per il tratto in discesa dalla vetta sul pendio erboso.

Data: mercoledì 03 giugno 2020

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 La montagna quando chiama bisogna ascoltarla, e così ho risposto all’appello della cima Auda. Dopo tre settimane, ritorno sullo stesso sentiero, per completare l’opera che avevo iniziato con la cresta del Valcalda.
Durante la precedente escursione in zona avevo osservato la cresta dell’Auda, essa ha risvegliato in me vecchi ricordi. La prima volta mi colpì quindici anni fa, transitando assieme al gruppo manutenzione sentieri, proprio, sotto la cresta, nei pressi dei ruderi di Casera di Forchia.
Mi ricordo che allora chiesi a Vittorio se la cresta era fattibile, mi rispose di sì, ma non era ancora pronta per me, visto che ero ancora novello di esperienze montane.
Ricordo che il crinale mi parve frastagliato, come la cresta di un gallo, e ancora ho impressa l’immagine sognante del mio maestro, anche se sbiadita nei ricordi.
Il giorno dell’escursione giungo alle prime ore del mattino presso passo di monte Rest, trovando un’auto nel parcheggio, qualcuno era già in marcia. Ripercorro la carrareccia che dal passo porta sin sopra alla casera Rest, e l’ora impiegata passa tediosa. Giungo alla casera (1501 m.) prima del previsto, osservando un gregge pascolare poco sotto la vetta del monte, mentre i pastori scendono lentamente dal sentiero.
Trascorro alcuni minuti fuori dalla casera, poi riprendo il passo per la diagonale erbosa che collega l’edificio al crinale che scende dalla vetta (1645 m.). Una piccola croce è posta come gendarme sul pulpito panoramico, prima che il sentiero 826 penetri nel fitto bosco di faggi. Anche il tratto nella selva scorre noioso, da un varco che si apre su un prato ammiro l’enorme mole del Valcalda, la seconda cima che domina la Val Tramontina, pare un gigante dormiente, le velature del cielo ne appannano le tinte aumentandone la sensazione di irreale. 
Perdendo quota raggiungo la radura dove si conservano i ruderi della casera di Forchia. Mi fermo a pensare sul da farsi, e nel frattempo mi raggiungono due escursionisti dalla forchia di Sopareit, sono gli stessi che hanno lasciato l’auto in basso al passo. Loro, dopo aver conquistato il Rest, hanno fatto una sortita lungo il sentiero 801 che scende sino a Socchieve.
 Riconoscendo la mia pronuncia non ladina rimangono sorpresi dal mio entusiasmo, e mi chiedono informazioni sui sentieri della valle, soprattutto l’801 che scende sino alla Val Tramontina. Li invito a seguirmi sulla cima Auda, rifiutano l’invito, in quanto stanchi. Dopo esserci congedati, io mi dedico alla fase due dell’escursione, ovvero la conquista della Cima Auda.
Roberto al telefono mi ha parlato di un ometto dietro la casera, lo cerco e lo trovo presso un faggio, è striminzito, composto solo da due sassi, lo alimento con altri sassi. Mi libero del peso dello zaino, lasciandolo in compagnia dell’ometto. Porto al seguito solo il LEM, ovvero la sacca in stile Malfa, con all’interno: una banana, mezzo litro d’acqua, una giacca tecnica, e una stoffa rossa che riduco in strisce per poi adoperarle come fettucce segnaletiche.
Avendo alle spalle la casera di Forchia, miro a nord, zizzagando per trovare i punti migliori.  Non ci sono segni, miro al vertice e per circa centro metri di dislivello mi districo finché trovo segni di passaggio, e volevo ben sperare! Nove giorni prima sono passati in quattro e qualcosa sarà rimasto del loro movimento. Proprio sotto la vetta trovo un ometto, forse due, e segni di traffico, inizio a distribuire le prime fettucce rosse nei punti visivi essenziali. Per raggiungere la cresta peno un pochetto, una falsa traccia mi porta su un dirupo, mi districo tra i mughi e uno sperone roccioso finché dall’alto scovo una pesta, mi abbasso di pochi metri ed eccomi sulla retta via. 
Il sentierino appare battuto, anche se i tagli sui mughi sono remoti, rari sono quelli recenti, provvedo a pulire il passaggio, unendo l’utile al dilettevole, finché la traccia mi porta alla prima elevazione. Mi calo di pochi metri per conquistare la seconda elevazione e percorrere un tratto davvero affilato, aereo e strapiombante, da dove ammiro la bellezza dolomitica della Cret da la Forčha (1629 m) e la ferita ancora viva della frana che il 15 agosto 1692 seppellì il villaggio di Borta, situato sul versante sinistro del Tagliamento, alcuni chilometri a sud di Ampezzo, in Carnia.
Incedo sull’esile cresta e sopra i mughi, mi par di essere Cristo che cammina sulle acque, sto attento a non incastrare gli scarponi, finché raggiungo una seconda elevazione. La cima anche se lontana appare in tutta la sua maestà, essa è ricoperta da un fitto manto di mughi che le donano un aspetto regale dovuto al colore smeraldino e splendente del nobile pino mugo. Mi districo ancora con brevi passaggi sotto cresta, poi risalgo sopra finché mi riabbasso di alcuni metri per via di un salto tanto esposto quanto articolato.
Ripresa la cresta pervengo alla penultima elevazione, con una paretina in salita (un paio di metri e anch’essa ben articolata). Percorro ancora la cresta e un altro breve tratto laterale a settentrione, poi di nuovo cammino o meglio, volo sui mughi di cresta e infine percorro l’ultimo tratto a meridione, con un breve passaggio di traverso, ma ben articolato.
Tutti i passaggi fatti finora sono sempre all’interno della fitta mugheta. Gli ultimi dieci metri che mi separano dalla vetta li conquisto per balze erbose e roccette. Mi fermo a raccogliere due rametti secchi di mugo per creare una croce originale e artistica. Fatta anche questa!
 Sono in vetta, e metà dell’opera è compiuta. 
Il paesaggio che ammiro dalla cima è stupendo, domina le vette carniche e le Prealpi pordenonesi. Dal corposo ometto di vetta sbuca fuori un sacchetto in plastica. Roberto ha riposto all’interno un foglio di carta con il simbolo degli “Spiriti Liberi” e ha scritto i nomi dei compagni di ventura. Appongo sullo stesso foglio la data e la mia firma, per racchiudere il tutto dentro una custodia in plastica che ho portato al seguito.
Sorseggio un po’ d’acqua, sono emozionato e carico di adrenalina. Sento tuonare da lontano, guardo all’orizzonte, le nubi si stanno raccogliendo per poi avanzare.
Costruisco la croce e la fisso bene all’ometto, ammucchiando altri sassi, poi naturalmente effettuo foto e un video. Le nubi mi preoccupano, iniziano ad assumere la classica conformazione di cumulonembo, quindi la pioggia e la tempesta sono in arrivo.
Nel frattempo, sul Valcalda, sosta una stramba nube che pare che il monte stia eruttando materia piroclastica.
Prima che il temporale mi colga abbandono la bella cima, riprendendo il percorso a ritroso, ma stavolta lascio le fettucce in stoffa rossa, il logico colore complementare per il verde della fitta mugheta, e dove posso, libero il sentiero dai mughi invadenti. Così, con calma, raggiungo la crestina che sovrasta la casera della Forchia. Le fettucce sono inutili nei cento metri di dislivello all’interno della faggeta che precede la casera della Forchia, sarebbe più utile una fila di ometti, oppure tracciare con la zappa un sentiero, ma il rombo del tuono è sempre più vicino e mi devo apprestare al rientro. Avvisto il mio solitario zaino, lo recupero, e raggiunta la casera mi appronto velocemente. Altri tuoni rompono il silenzio, sono sempre più vicini, le raffiche di vento preannunciano la pioggia imminente, le prime gocce mi raggiungono. Mi addentro nel bosco e risalgo sino ai prati sotto la vetta del Rest. Dentro la selva sono riparato dalle chiome degli alberi. Raggiunto il ripido prato che precede casera Rest, un timido raggio di sole mi bacia, e uno spruzzo d’azzurro filtra nel bigio cielo strizzandomi l’occhiolino, mentre sul vicino Tinisa rombano tuoni saettando scariche elettriche. Mi par di vivere dentro a un sogno, scendo lesto dalla prateria, osservando un gregge e il mio pensiero vola al sommo poeta abruzzese che cantò la transumanza nella lirica “I pastori”

…settembre, andiamo. E' tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare…


Raggiunta la casera Rest non posso concedermi nessuna sosta, il raggio di sole ora non splende più, e le nubi creano sulle cime della Val Tramontina un pastello delicato color cenerino.
Le gocce d’acqua aumentano di intensità con il mio abbassarmi di quota, ma non temo ne fulmini e né lo scroscio violento della pioggia. Percepisco la presenza del mio maestro, mi è accanto e mi protegge. La montagna è anche questo, pioggia, nubi, vento, e io in essa mi perdo…
Cammino l’esto, l’anca da mesi non è più scianca e mi ha donato una nuova linfa vitale. Sono carico, felice, e procedo veloce verso la gloria. Mentre le gocce della pioggia mi baciano io recito …

La pioggia nel Pineto…
…ascolta. Piove
Dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
Salmastre ed arse,
Piove su i pini
Scagliosi ed irti,
Piove sui mirti
Divini,
Su le ginestre fulgenti
Di fiori accolti,
Su i ginepri folti
Di coccole aulenti,
Piove su i nostri volti
Silvani,
Piove su le nostre mani
Ignude,
Su i nostri vestimenti
Leggieri,
Su i freschi pensieri…

(Gabriele D’Annunzio.)

Raggiunta l’auto parto subito, non tolgo nemmeno l’umida bandana e né gli scarponi, mi porto velocemente giù, a valle, a Tramonti di Sopra, per fare visita al maestro nella sua ultima dimora.
Sceso dall’auto procedo con passo stanco ma sicuro, con indosso ancora gli abiti corvini dell’impresa, ma sono carico, come se impugnassi uno scudo e la lancia della vittoria. Porto gelosamente al seguito e poggerò sulla lapide del maestro alcuni sassolini raccolti in vetta, come se fossero trofei, gli voglio un gran bene, mi manca, come a un figlio può mancare un padre. Il mio modo di onorare l’amicizia è quella di essere una persona per bene, una persona autentica, e lo sono.
 Poggio con doveroso rispetto i sassolini sul piccolo margine del marmo bianco che mi pare una cengia di luce, e saluto il maestro: <<Ciao Vittorio, ti voglio bene!>> Do un pugnetto sulla gelida lapide, come se dessi una pacca alla sua spalla, e commosso vado via.
Non nascondo che la mia autostima sia accresciuta, tanto, assai. Da soli in montagna, è vero, si fatica di più, si pena ma si amplificano anche le emozioni, e la “Vittoria” non la si divide con nessuno, al massimo la si condivide, dopo, raccontandola.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.


























































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