Monte Auda da Passo di Monte Rest.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 12 chilometri.
Quota minima partenza: 1044 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche – Catena Valcalda
Verzegnis-Gruppo Valcalda Taiet- Sottogruppo Valcalda.
Avvicinamento: Lestans-Meduno- Tramonti di Sopra- Seguire
indicazioni per il passo Rest (1044 m.) - Raggiunto il passo troviamo un ampio
parcheggio di fronte l’inizio del segnavia CAI n.826-
Dislivello: 730 m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 12 chilometri.
Quota minima partenza: 1044 m.
Quota massima raggiunta: 1700 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste:6 ore (il tempo impiegato
è soggettivo)
In: Solitaria
Tipologia Escursione: selvaggio-panoramica
Difficoltà: Escursionisti esperti amanti del selvaggio.
Segnavia: Cai 826-
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si (custodia in plastica con annessa penna e
fogli per iscrivere il passaggio)
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028.
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Da evitare da farsi in: Con terreno umido o in presenza di
ghiaccio
Condizioni del sentiero: Meriterebbe una cura
Fonti d’acqua: nessuna
Consigliati: Ramponi da erba per il tratto in discesa dalla
vetta sul pendio erboso.
Data: mercoledì 03 giugno 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La montagna quando chiama bisogna ascoltarla, e così ho risposto
all’appello della cima Auda. Dopo tre settimane, ritorno sullo stesso sentiero,
per completare l’opera che avevo iniziato con la cresta del Valcalda.Malfa
Durante la precedente escursione in zona avevo osservato la
cresta dell’Auda, essa ha risvegliato in me vecchi ricordi. La prima volta mi
colpì quindici anni fa, transitando assieme al gruppo manutenzione sentieri,
proprio, sotto la cresta, nei pressi dei ruderi di Casera di Forchia.
Mi ricordo che allora chiesi a Vittorio se la cresta era
fattibile, mi rispose di sì, ma non era ancora pronta per me, visto che ero ancora
novello di esperienze montane.
Ricordo che il crinale mi parve frastagliato, come la cresta di
un gallo, e ancora ho impressa l’immagine sognante del mio maestro, anche se
sbiadita nei ricordi.
Il giorno dell’escursione giungo alle prime ore del mattino
presso passo di monte Rest, trovando un’auto nel parcheggio, qualcuno era già
in marcia. Ripercorro la carrareccia che dal passo porta sin sopra alla casera
Rest, e l’ora impiegata passa tediosa. Giungo alla casera (1501 m.) prima del
previsto, osservando un gregge pascolare poco sotto la vetta del monte, mentre
i pastori scendono lentamente dal sentiero.
Trascorro alcuni minuti fuori dalla casera, poi riprendo il
passo per la diagonale erbosa che collega l’edificio al crinale che scende
dalla vetta (1645 m.). Una piccola croce è posta come gendarme sul pulpito
panoramico, prima che il sentiero 826 penetri nel fitto bosco di faggi. Anche
il tratto nella selva scorre noioso, da un varco che si apre su un prato ammiro
l’enorme mole del Valcalda, la seconda cima che domina la Val Tramontina, pare
un gigante dormiente, le velature del cielo ne appannano le tinte aumentandone la
sensazione di irreale.
Perdendo quota raggiungo la radura dove si conservano i ruderi
della casera di Forchia. Mi fermo a pensare sul da farsi, e nel frattempo mi
raggiungono due escursionisti dalla forchia di Sopareit, sono gli stessi che
hanno lasciato l’auto in basso al passo. Loro, dopo aver conquistato il Rest,
hanno fatto una sortita lungo il sentiero 801 che scende sino a Socchieve.
Riconoscendo la mia
pronuncia non ladina rimangono sorpresi dal mio entusiasmo, e mi chiedono informazioni
sui sentieri della valle, soprattutto l’801 che scende sino alla Val
Tramontina. Li invito a seguirmi sulla cima Auda, rifiutano l’invito, in quanto
stanchi. Dopo esserci congedati, io mi dedico alla fase due dell’escursione,
ovvero la conquista della Cima Auda.
Roberto al telefono mi ha parlato di un ometto dietro la casera,
lo cerco e lo trovo presso un faggio, è striminzito, composto solo da due
sassi, lo alimento con altri sassi. Mi libero del peso dello zaino, lasciandolo
in compagnia dell’ometto. Porto al seguito solo il LEM, ovvero la sacca in
stile Malfa, con all’interno: una banana, mezzo litro d’acqua, una giacca
tecnica, e una stoffa rossa che riduco in strisce per poi adoperarle come
fettucce segnaletiche.
Avendo alle spalle la casera di Forchia, miro a nord, zizzagando
per trovare i punti migliori. Non ci
sono segni, miro al vertice e per circa centro metri di dislivello mi districo
finché trovo segni di passaggio, e volevo ben sperare! Nove giorni prima sono
passati in quattro e qualcosa sarà rimasto del loro movimento. Proprio sotto la
vetta trovo un ometto, forse due, e segni di traffico, inizio a distribuire le
prime fettucce rosse nei punti visivi essenziali. Per raggiungere la cresta
peno un pochetto, una falsa traccia mi porta su un dirupo, mi districo tra i
mughi e uno sperone roccioso finché dall’alto scovo una pesta, mi abbasso di
pochi metri ed eccomi sulla retta via.
Il sentierino appare battuto, anche se i tagli sui mughi sono
remoti, rari sono quelli recenti, provvedo a pulire il passaggio, unendo
l’utile al dilettevole, finché la traccia mi porta alla prima elevazione. Mi calo
di pochi metri per conquistare la seconda elevazione e percorrere un tratto
davvero affilato, aereo e strapiombante, da dove ammiro la bellezza dolomitica
della Cret da la Forčha (1629 m) e la ferita
ancora viva della frana che il 15 agosto 1692 seppellì il villaggio di Borta,
situato sul versante sinistro del Tagliamento, alcuni chilometri a sud di
Ampezzo, in Carnia.
Incedo sull’esile cresta e sopra i mughi, mi par di essere
Cristo che cammina sulle acque, sto attento a non incastrare gli scarponi, finché
raggiungo una seconda elevazione. La cima anche se lontana appare in tutta la
sua maestà, essa è ricoperta da un fitto manto di mughi che le donano un
aspetto regale dovuto al colore smeraldino e splendente del nobile pino mugo.
Mi districo ancora con brevi passaggi sotto cresta, poi risalgo sopra finché mi
riabbasso di alcuni metri per via di un salto tanto esposto quanto articolato.
Ripresa la cresta pervengo alla penultima elevazione, con una
paretina in salita (un paio di metri e anch’essa ben articolata). Percorro
ancora la cresta e un altro breve tratto laterale a settentrione, poi di nuovo
cammino o meglio, volo sui mughi di cresta e infine percorro l’ultimo tratto a
meridione, con un breve passaggio di traverso, ma ben articolato.
Tutti i passaggi fatti finora sono sempre all’interno della
fitta mugheta. Gli ultimi dieci metri che mi separano dalla vetta li conquisto
per balze erbose e roccette. Mi fermo a raccogliere due rametti secchi di mugo
per creare una croce originale e artistica. Fatta anche questa!
Sono in vetta, e metà
dell’opera è compiuta.
Il paesaggio che ammiro dalla cima è stupendo, domina le vette
carniche e le Prealpi pordenonesi. Dal corposo ometto di vetta sbuca fuori un
sacchetto in plastica. Roberto ha riposto all’interno un foglio di carta con il
simbolo degli “Spiriti Liberi” e ha scritto i nomi dei compagni di ventura.
Appongo sullo stesso foglio la data e la mia firma, per racchiudere il tutto
dentro una custodia in plastica che ho portato al seguito.
Sorseggio un po’ d’acqua, sono emozionato e carico di adrenalina.
Sento tuonare da lontano, guardo all’orizzonte, le nubi si stanno raccogliendo
per poi avanzare.
Costruisco la croce e la fisso bene all’ometto, ammucchiando
altri sassi, poi naturalmente effettuo foto e un video. Le nubi mi preoccupano,
iniziano ad assumere la classica conformazione di cumulonembo, quindi la pioggia
e la tempesta sono in arrivo.
Nel frattempo, sul Valcalda, sosta una stramba nube che pare che
il monte stia eruttando materia piroclastica.
Prima che il temporale mi colga abbandono la bella cima,
riprendendo il percorso a ritroso, ma stavolta lascio le fettucce in stoffa
rossa, il logico colore complementare per il verde della fitta mugheta, e dove
posso, libero il sentiero dai mughi invadenti. Così, con calma, raggiungo la
crestina che sovrasta la casera della Forchia. Le fettucce sono inutili nei
cento metri di dislivello all’interno della faggeta che precede la casera della
Forchia, sarebbe più utile una fila di ometti, oppure tracciare con la zappa un
sentiero, ma il rombo del tuono è sempre più vicino e mi devo apprestare al
rientro. Avvisto il mio solitario zaino, lo recupero, e raggiunta la casera mi appronto
velocemente. Altri tuoni rompono il silenzio, sono sempre più vicini, le raffiche
di vento preannunciano la pioggia imminente, le prime gocce mi raggiungono. Mi addentro
nel bosco e risalgo sino ai prati sotto la vetta del Rest. Dentro la selva sono
riparato dalle chiome degli alberi. Raggiunto il ripido prato che precede
casera Rest, un timido raggio di sole mi bacia, e uno spruzzo d’azzurro filtra
nel bigio cielo strizzandomi l’occhiolino, mentre sul vicino Tinisa rombano tuoni
saettando scariche elettriche. Mi par di vivere dentro a un sogno, scendo lesto
dalla prateria, osservando un gregge e il mio pensiero vola al sommo poeta
abruzzese che cantò la transumanza nella lirica “I pastori”
…settembre, andiamo. E' tempo di
migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare…
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare…
Raggiunta la casera Rest non posso concedermi nessuna sosta, il
raggio di sole ora non splende più, e le nubi creano sulle cime della Val
Tramontina un pastello delicato color cenerino.
Le gocce d’acqua aumentano di intensità con il mio abbassarmi di
quota, ma non temo ne fulmini e né lo scroscio violento della pioggia. Percepisco
la presenza del mio maestro, mi è accanto e mi protegge. La montagna è anche
questo, pioggia, nubi, vento, e io in essa mi perdo…
Cammino l’esto, l’anca da mesi non è più scianca e mi ha donato
una nuova linfa vitale. Sono carico, felice, e procedo veloce verso la gloria. Mentre
le gocce della pioggia mi baciano io recito …
La pioggia nel Pineto…
…ascolta.
Piove
Dalle
nuvole sparse.
Piove
su le tamerici
Salmastre
ed arse,
Piove
su i pini
Scagliosi
ed irti,
Piove
sui mirti
Divini,
Su
le ginestre fulgenti
Di
fiori accolti,
Su
i ginepri folti
Di
coccole aulenti,
Piove
su i nostri volti
Silvani,
Piove
su le nostre mani
Ignude,
Su
i nostri vestimenti
Leggieri,
Su
i freschi pensieri…
(Gabriele D’Annunzio.)
Raggiunta l’auto parto subito, non tolgo nemmeno l’umida bandana
e né gli scarponi, mi porto velocemente giù, a valle, a Tramonti di Sopra, per
fare visita al maestro nella sua ultima dimora.
Sceso dall’auto procedo con passo stanco ma sicuro, con indosso ancora
gli abiti corvini dell’impresa, ma sono carico, come se impugnassi uno scudo e la
lancia della vittoria. Porto gelosamente al seguito e poggerò sulla lapide del
maestro alcuni sassolini raccolti in vetta, come se fossero trofei, gli voglio
un gran bene, mi manca, come a un figlio può mancare un padre. Il mio modo di
onorare l’amicizia è quella di essere una persona per bene, una persona autentica,
e lo sono.
Poggio con doveroso
rispetto i sassolini sul piccolo margine del marmo bianco che mi pare una
cengia di luce, e saluto il maestro: <<Ciao Vittorio, ti voglio
bene!>> Do un pugnetto sulla gelida lapide, come se dessi una pacca alla
sua spalla, e commosso vado via.
Non nascondo che la mia autostima sia accresciuta, tanto, assai.
Da soli in montagna, è vero, si fatica di più, si pena ma si amplificano anche
le emozioni, e la “Vittoria” non la si divide con nessuno, al massimo la si
condivide, dopo, raccontandola.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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