Monte Giaf e Monte Venchiar da San Francesco (Val d
‘Arzino).
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Val d’Arzino-Anduins-San
Francesco.
Località di Partenza: San Francesco.
Dislivello:
Dislivello
complessivo: 800 m.
Distanza percorsa in Km: 10.
Quota minima partenza: 388 m.
Quota massima raggiunta: 1085 m.
Tempi di percorrenza. 4 ore escluse le soste.
In: Solitaria
Tipologia Escursione:
Escursionistica.
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia: CAI 810A
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tabacco 028.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato fino alla casera Giaf,
poi per la cima si procede per traccia.
Fonti d’acqua: No.
Consigliati:
Data 13 aprile 2019
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto.
Le giornate uggiose dell’ultima settimana invitano a non
uscire da casa, trovando la consolazione in un libro, magari con il caminetto
acceso, e i gatti appisolati nel diurno vivere dopo la notte passata a caccia
di prede.
Bisogna resistere a non lasciarsi andare alla fiacca che
accompagna sempre l’inizio della primavera.
Adoro andare in montagna in solitaria, la Grande Signora si
svela solo se ti sente suo.
La montagna, crollasse il mondo, è l’appuntamento a cui assolutamente
non voglio rinunciare, trattandosi di un autentico toccasana per lo spirito.
Per questa escursione ho pensato al monte Venchiar, poco più
basso del vicino Monte Giaf che ben conosco.
La giornata non mette proprio bene, tentare non nuoce e
prego che non venga giù l’acquazzone, sperando in una improbabile comparsa del
sole.
Parto da casa appena l’aurora si rivela, procedo lento con
l’auto, gustandomi la bellezza della valle dell’Arzino. Il versante orientale
della valle è selvaggio e difficilmente praticabile, mentre quello a occidente
si presta a più escursioni, per labirintiche e selvagge valli, tra cui il
Canale di Cuna.
Giungo nel caratteristico borgo di San Francesco, cercando
il campo sportivo dove lasciare l’auto, il chicchirichì del gallo arriva puntualmente
alle otto, in contemporanea al rintocco del Campanile.
La temperatura è mite, ma l’umidità nell’aria mi consiglia
di non alleggerirmi eccessivamente. Calzati gli scarponi e controllato
l’equipaggiamento parto per l’avventura.
Dal campo sportivo mi spingo pochi metri a nord, dove supero
un ponticello che sovrasta il torrente dell’Arzino, e successivamente devio a
sinistra per seguire le indicazioni CAI (forcella di Giaf iscritta su un
cartello segnaletico), il sentiero è numerato 810A, non si può sbagliare.
Il lunghissimo tratto iniziale è una carrareccia che si
snoda lungo il versante orientale del monte Giaf, percorso assai monotono che
stimola il pensiero, così inizio a fantasticare. In questi giorni sto leggendo
un libro “La montagna storta”, ovvero l’avventura di tre ragazzi sul Chiampon,
proprio alla virgilia del tragico terremoto che scorse la regione il 6 maggio del
1976 alle ore 21:00:12.
All’epoca ero un ragazzino che frequentava le medie
inferiori, vivevo a Palermo, e ben ricordo che fui sconvolto dalle immagini
riportate dalla TV.
Le amicizie coltivate in regione e le recenti letture mi
aiutano a comprendere meglio i fatti avvenuti. Il terremoto ha così tanto scosso
i friulani, che come data temporale spesso citano “prima o dopo il terremoto”.
Giunsi in regione nove anni dopo il sisma, ricordo bene che
i miei colleghi del genio (militari), iniziavano a rimuovere le baracche adibite
ad abitazione presso Buia.
Nell’escursione odierna la montagna mi guida, mi racconta di
tali avvenimenti, mentre io immagino i volti della popolazione: anziani e bimbi,
entrambi scossi dal sisma, e il coraggio e la laboriosità dimostrata per
risollevarsi. Visto che con la
mente sono rapito dai pensieri, la salita al monte Giaf diventa meno tediosa.
Arrivato alla forcella ammiro la casera di Giaf, restaurata anni fa, entro
dentro il locale sperando di trovare l’amico topino che un anno fa ha
rosicchiato le vettovaglie, a malincuore constato che ha cambiato domicilio,
peccato, mi ero portato al seguito della frutta secca da dividere con il
piccolo roditore.
Sopra un mobiletto sono adagiati dei fumetti, lasciati lì
per accendere come carta il fuoco, constato che la legna stivata nel locale non
è secca. Abbandonata provvisoriamente la casera, da dietro di essa a occidente inizia
una labile traccia che porta alla crestina. Dopo alcuni passaggi divertenti giungo
alla prima meta odierna, monte Giaf, una cima adornata dalla fitta vegetazione,
che lascia spazio solo alla fantasia per volare oltre e a oriente, verso la
lontana cresta del Piciat.
Mi sollazzo per una breve pausa, avrei voglia di lasciarmi
andare, ma fa freddo, quindi senza dover firmare nulla e vista la spartana
vetta, priva di tutto, ritorno indietro. Presso la casera di Giaf visito gli
attigui ruderi e l’enorme tronco di faggio, secco e infradiciato.
Il sentiero che sfiora i ruderi è sempre numerato 810A, ma
di praticarlo a nord lo evito, le nubi sono onnipresenti e minacciose, rischio
di beccarmi lo scroscio, quindi di percorrere il greto del torrente Comugna per
oggi non è cosa. Ritorno alla casera di Giaf, provo ad accendere un fuoco da
una remota cucina rustica, ma l’effetto causato è il contrario, oltre a non
divampare nessuna fiamma mi sto raffreddando. Lascio il ricovero e proseguo,
trovando a sud, nella boscaglia, una pista che mi porta verso la seconda meta odierna,
ovvero il monte Venchiar.
La traccia è ben battuta anche se è priva di segni, essa si
sviluppa sul versante orientale, si tratta chiaramente un vecchio sentiero
(troi), sicuramente utilizzato dai montanari per fare grano. Aggiro sul
versante sinistro un’alta elevazione che appare impraticabile, per poi
conquistare la cresta che precede il monte Venchiar.
Cavalco il dolce crinale, avviandomi verso l’elevazione
ricoperta dai selvaggi faggi. La traccia sembra perdersi, d’istinto cavalco i
dorsi più alti fino a intravedere un singolare ometto, controllo la mappa sul
GPS, essa mi conferma che ho raggiunto l’apice del monte. Non effettuo in questa
cima (come non ho fatto nella precedente), il mio solito autoscatto con il
braccio teso e l’indice e il medio della mano a indicare il segno della
vittoria, oggi non sono in vena. Non è un’escursione felice, mi manca qualcosa,
questa fatica mi sa di incompiuta, mi manca l’amore, mi sento abbandonato come
un trovatello. Vorrei sparire, dissolvermi dentro una nube. Ho perso la forza e
il brio dei tempi migliori, la solitudine del luogo e quel senso di inquietudine
mi attanagliano, rendendomi infelice. Sono ignudo, un’anima in pena che non
riesco più a mascherare
Mi fermo per una sosta sul ciglio del sentiero che si
aggetta a valle, per poi riprendere il passo verso il ritorno. Dall’alto ho
notato una montagna che sembra la più alta di tutte, penso che sia difficile da
fare, scoprirò a casa che si tratta del Flagjel, cima fatta e rifatta più volte.
Ripreso il cammino mi avvio al borgo di San Francesco, fino a raggiungere
l’auto. Una volta tolti gli scarponi decido di visitare l’attiguo torrente
dell’Arzino, portandomi al seguito l’indomita passione che non ho ancora sfogato.
La vista delle acque del torrente non mitiga l’amore e il desiderio, quello autentico,
quello che anima follemente il viandante. Rientro a casa con questa mestizia addosso,
che il bigio cielo non ha fatto che rafforzare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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