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martedì 2 ottobre 2018

Crete Brusade dalla Val Pesarina.

 
Crete Brusade dalla Val Pesarina.





                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Carniche -Gruppo Terze-Clap.

Avvicinamento: Tolmezzo- Villa Santina -Ovaro - A sinistra la rotabile per la val Pesarina- Prato Carnico - Pian di Casa.

Località di Partenza: Pian



Dislivello: 1100 m.





 Dislivello complessivo: 1100 m.





Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.





Quota minima partenza: 1423 m.



Quota massima raggiunta: 2322 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Selvaggio-Escursionistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursioni Esperti- alpinistiche nel Canalone.

Segnavia: CAI 202-202°.

Impegno fisico: Medio alto nel Canalone- medio per le crete.

Preparazione tecnica: media alta nel canalone-media bassa nelle crete-

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 01

2)           Bibliografici:

3)           Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:

Fonti d’acqua:

Consigliati:

Data: giovedì 27 settembre 2018

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Delle Crete di Brusade ne ignoravo l’esistenza, fino a quando sono rientrato da esse, mi ero illuso di aver scoperto un nuovo mondo, la cima degli spiriti liberi, ma leggendo il loro nome sulla mappa ho provato una cocente delusione.

Tutto inizia con l’ennesimo tentativo per la cima Enghe (si sta rivelando la mia bestia nera), stavolta sono in forma, alle prime luci dell’alba mi ritrovo in fondo alla Val Pesarina, il solito posto per la partenza, cioè due curve dopo il pian di Casa.

Una volta pronto, dallo spiazzo mi dirigo all’inizio della lunga carrareccia che porta a sfiorare casera di Mimoias. Imboccato il sentiero202, procedo per prati, sosto presso un grande masso dove mi alleggerisco degli abiti e procedo fino al cartello con le diramazioni per il passo di Elbel e passo Enghe. Devio per il passo di Elbel (sentiero 202 a), la lunga diagonale dopo alcune centinaia di metri mi porta a sfiorare la base del campanile Mimoias che precede di un paio di tornanti il passo di Elbel. La mulattiera dopo un bellissimo traverso scavato nella roccia mi accompagna alla forcella, da dove pianifico il proseguo.

Non ho voglia di perdere quota, quindi miro al canalone, ancora nascosto dai ripidi pendii. Dopo alcune centinaia di metri mi ritrovo alla base di un declivio erboso, cercando i passaggi migliori lo risalgo tramite un rugo, finché incrocio il canalone dove erigo due ometti: uno all’entrata e uno in uscita, così al ritorno ritrovo la via.

Davanti a me il canalone grande si biforca, seguo quello di destra, salendo il ripido prato sulla sinistra orografica. Il pendio è abbastanza ripido, mi mantengo sul margine adiacente al canalone, cercando le zolle più comode, in precedenza per sicurezza mi sono attrezzato con i mini ramponi da erba. Incedo a intuito, arrivando al margine superiore del tratto inerbito e seguendo un esile cengia mi porto dentro un canalino, dove procedo con passaggi di primo e secondo grado, non spunta, anzi, è molto esposto. Cerco sempre una via per salire di quota, ritentando altri canali che mi illudono, per poi rivelarsi serrati o esposti su dirupi. Ridiscendo, stavolta penso di aver compreso da dove risalire. Guadagnata la base del canalone, risalgo alla sua sinistra, anche stavolta passaggi di primo e secondo grado, buche e salti, finché i miei sogni si infrangono alla base di un’enorme costone, dove le uniche vie di uscita sono un canalino esposto a destra e una cengia altrettanto esposta a sinistra.

Provo entrambe le soluzioni che si rivelano tanto ardite per il mio potenziale, non mi convincono, così abbandono l’impresa. È triste e snervante lasciare il lavoro incompiuto, mancano solo centoventi metri di dislivello alla cima, dal basso ho intravisto la cresta finale, pazienza, ma non mi va di spezzarmi l’osso del collo.

Ridiscendo per i ripidi prati, dall’alto ammiro una cresta posta proprio sopra il passo di Elbel, la cima estrema è sicuramente il Clap Piccolo, sono attratto dalla prima elevazione, quella a occidente, inerbita a macchie bianche e verdi come una mucca pezzata.

Raggiunto il passo di Elbel e vista l’ora dovrei dedicarmi alla ludica missione del pranzo, ma la mia attenzione è richiamata da un ometto, e successivamente dalla serie completa degli omini di pietra. Ne sento le voci, mi chiamano, mi consigliano di lasciare lo zaino e salire leggero a caccia di sogni, seguendo la loro direzione. Passo vicino ai simpatici accumuli di sassi, li sfioro, li chiamo per nome: Filippo, Piero, Attanasio, Eustachio, Cip, ognuno di loro è disuguale e costruito da un numero imprecisato di sassi.

Hanno sì un’anima di pietra ma che pulsa, ti danno la giusta via come il “Tao”, e non chiedono nulla in cambio, solo un obolo volontario che consiste nell’aumentare il numero dei sassi. Gli ometti sono profetici, quando non li vedi ne senti la mancanza, come l’amore, che ti dà sicurezza solo al contatto. I ciottolosi amici conducono lontano e mai sono infidi, i fenomeni atmosferici li rispettano, solo qualche umano crudele e presuntuoso li tira giù, per non svelare ad altri la giusta “Via”; ne conosco qualcuno di codesti… ”, e sono di egual bruttezza alla loro cattiveria. Sorridendo ai miei fratellini di pietra risalgo la china, fino a sbucare nei ripidi prati finali che precedono la cresta. Ora il sentiero si fa faticoso, ma gli ometti, sempre loro, anche se sono più rari mi guidano. Dal basso ammiro il cielo azzurro e il confine verde della cresta, pochi metri ancora ed eccomi sopra la cima occidentale delle Crete di Brusade. Mi spingo ancora avanti per l’affilata crestina, ma poi mi arresto. Un sentiero esposto scende a settentrione, è ripidissimo, per oggi va bene così, sarà per un’altra volta. Mi avvicino all’ometto della vetta, da cui posso ammirare un paesaggio straordinario, mirando lo sguardo alla cresta di Enghe che mi svela l’arcano. In precedenza, ho risalito il canalone errato, quello retto era poco più a destra, adiacente, che pirla! Sarà per la prossima volta, mi consolo ammirando dall’alto le elevazioni carniche, autentica meraviglia della regione. Ho fame e le energie sono al minimo, rientro al passo dove ho lasciato lo zaino, recuperato quest’ultimo mi abbandono sul prato d’erba, come un sacco di juta ce viene svuotato del contenuto.

Tiro fuori dallo zaino le cibarie e le consumo, ammirando nel frattempo il paesaggio. Passo una buona mezz’ora, la tentazione di addormentarmi sul prato è forte. Estraggo dallo zaino un contenitore di vetro, dentro scrivo un messaggio e ripongo degli oggetti, chiuso il barattolo, cerco un luogo segreto tra le cavità carsiche dove depositare il pensiero del viandante. Compiuta l’operazione, con lentezza da sorprendere un bradipo veterano, innalzo il mio corpo dal manto erboso e lo metto in movimento. Fa caldo, ho il passo lento, vorrei… ma un’aquila solitaria volteggia sopra di me, disegnando lettere nel cielo, le leggo e le sorrido facendole l’occhiolino. La regina dei monti plana, poi risale, si fa ammirare dal forestiero, e io, incantato come un bimbo, me ne sto immobile con il naso all’insù. Il mitico rapace sparisce dietro le rupi, è ora di scendere a valle per il sentiero dell’andata.

In basso, tra la vegetazione scorgo delle tristi figure, uomini in verde armati di fucile, giocano a mirare, si accorgono della mia presenza e mettono giù l’arma, mentre io avanzo nella loro direzione con le braccia alzate in segno di resa, e dichiarandomi che vengo in pace. Sorridono, il mio sorriso di risposta è amaro. Altri cacciatori ne incontro in basso, fischietto la canzone che oggi mi frulla in testa ”Besame Mucho”, nella speranza di avvisare la selvaggina che ci sono in giro i biechi verdi. Avviso i cacciatori che non sono uno stambecco, mi rispondono che lo hanno notato dalla mancanza di corna, gli rispondo che provvederò immediatamente. Scendo a valle, con calma, pensando ai cacciatori, come bambini mai stanchi di giocare con i fucili; come posso disapprovarli, io, che ho imparato a usare i cannoni contro un nemico mai nato? L’uomo è approdato sulla luna, ma è rimasto cacciatore nell’animo, loro a caccia di selvaggina e io a caccia di sogni, chissà chi di noi oggi ha riempito la sacca.

Con questi pensieri, sicuramente frutto della stanchezza, rientro in pianura, con una nuova cima conquistata e una storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.





































































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