Crete Brusade
dalla Val Pesarina.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche -Gruppo Terze-Clap.
Avvicinamento:
Tolmezzo- Villa Santina -Ovaro - A sinistra la rotabile per la val Pesarina- Prato Carnico - Pian di Casa.
Località di Partenza:
Pian
Dislivello: 1100
m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza
percorsa in Km: 10 chilometri.
Quota minima
partenza: 1423 m.
Quota
massima raggiunta: 2322 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggio-Escursionistica.
Difficoltà: Escursioni Esperti- alpinistiche nel Canalone.
Segnavia:
CAI 202-202°.
Impegno
fisico: Medio alto nel Canalone- medio per le crete.
Preparazione
tecnica: media alta nel canalone-media bassa nelle crete-
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 01
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero:
Fonti d’acqua:
Consigliati:
Data: giovedì
27 settembre 2018
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Delle Crete
di Brusade ne ignoravo l’esistenza, fino a quando sono rientrato da esse, mi
ero illuso di aver scoperto un nuovo mondo, la cima degli spiriti liberi, ma
leggendo il loro nome sulla mappa ho provato una cocente delusione.
Tutto inizia
con l’ennesimo tentativo per la cima Enghe (si sta rivelando la mia bestia
nera), stavolta sono in forma, alle prime luci dell’alba mi ritrovo in fondo
alla Val Pesarina, il solito posto per la partenza, cioè due curve dopo il pian
di Casa.
Una volta
pronto, dallo spiazzo mi dirigo all’inizio della lunga carrareccia che porta a sfiorare
casera di Mimoias. Imboccato il sentiero202, procedo per prati, sosto presso un
grande masso dove mi alleggerisco degli abiti e procedo fino al cartello con le
diramazioni per il passo di Elbel e passo Enghe. Devio per il passo di Elbel (sentiero
202 a), la lunga diagonale dopo alcune centinaia di metri mi porta a sfiorare la
base del campanile Mimoias che precede di un paio di tornanti il passo di Elbel.
La mulattiera dopo un bellissimo traverso scavato nella roccia mi accompagna
alla forcella, da dove pianifico il proseguo.
Non ho voglia
di perdere quota, quindi miro al canalone, ancora nascosto dai ripidi pendii.
Dopo alcune centinaia di metri mi ritrovo alla base di un declivio erboso,
cercando i passaggi migliori lo risalgo tramite un rugo, finché incrocio il
canalone dove erigo due ometti: uno all’entrata e uno in uscita, così al
ritorno ritrovo la via.
Davanti a me
il canalone grande si biforca, seguo quello di destra, salendo il ripido prato
sulla sinistra orografica. Il pendio è abbastanza ripido, mi mantengo sul
margine adiacente al canalone, cercando le zolle più comode, in precedenza per
sicurezza mi sono attrezzato con i mini ramponi da erba. Incedo a intuito,
arrivando al margine superiore del tratto inerbito e seguendo un esile cengia
mi porto dentro un canalino, dove procedo con passaggi di primo e secondo
grado, non spunta, anzi, è molto esposto. Cerco sempre una via per salire di
quota, ritentando altri canali che mi illudono, per poi rivelarsi serrati o
esposti su dirupi. Ridiscendo, stavolta penso di aver compreso da dove risalire.
Guadagnata la base del canalone, risalgo alla sua sinistra, anche stavolta passaggi
di primo e secondo grado, buche e salti, finché i miei sogni si infrangono alla
base di un’enorme costone, dove le uniche vie di uscita sono un canalino
esposto a destra e una cengia altrettanto esposta a sinistra.
Provo
entrambe le soluzioni che si rivelano tanto ardite per il mio potenziale, non
mi convincono, così abbandono l’impresa. È triste e snervante lasciare il
lavoro incompiuto, mancano solo centoventi metri di dislivello alla cima, dal
basso ho intravisto la cresta finale, pazienza, ma non mi va di spezzarmi
l’osso del collo.
Ridiscendo per
i ripidi prati, dall’alto ammiro una cresta posta proprio sopra il passo di
Elbel, la cima estrema è sicuramente il Clap Piccolo, sono attratto dalla prima
elevazione, quella a occidente, inerbita a macchie bianche e verdi come una
mucca pezzata.
Raggiunto il
passo di Elbel e vista l’ora dovrei dedicarmi alla ludica missione del pranzo,
ma la mia attenzione è richiamata da un ometto, e successivamente dalla serie completa
degli omini di pietra. Ne sento le voci, mi chiamano, mi consigliano di
lasciare lo zaino e salire leggero a caccia di sogni, seguendo la loro direzione.
Passo vicino ai simpatici accumuli di sassi, li sfioro, li chiamo per nome:
Filippo, Piero, Attanasio, Eustachio, Cip, ognuno di loro è disuguale e
costruito da un numero imprecisato di sassi.
Hanno sì un’anima
di pietra ma che pulsa, ti danno la giusta via come il “Tao”, e non chiedono
nulla in cambio, solo un obolo volontario che consiste nell’aumentare il numero
dei sassi. Gli ometti sono profetici, quando non li vedi ne senti la mancanza,
come l’amore, che ti dà sicurezza solo al contatto. I ciottolosi amici
conducono lontano e mai sono infidi, i fenomeni atmosferici li rispettano, solo
qualche umano crudele e presuntuoso li tira giù, per non svelare ad altri la
giusta “Via”; ne conosco qualcuno di codesti… ”, e sono di egual bruttezza alla
loro cattiveria. Sorridendo ai miei fratellini di pietra risalgo la china, fino
a sbucare nei ripidi prati finali che precedono la cresta. Ora il sentiero si
fa faticoso, ma gli ometti, sempre loro, anche se sono più rari mi guidano. Dal
basso ammiro il cielo azzurro e il confine verde della cresta, pochi metri
ancora ed eccomi sopra la cima occidentale delle Crete di Brusade. Mi spingo
ancora avanti per l’affilata crestina, ma poi mi arresto. Un sentiero esposto
scende a settentrione, è ripidissimo, per oggi va bene così, sarà per un’altra
volta. Mi avvicino all’ometto della vetta, da cui posso ammirare un paesaggio
straordinario, mirando lo sguardo alla cresta di Enghe che mi svela l’arcano. In
precedenza, ho risalito il canalone errato, quello retto era poco più a destra,
adiacente, che pirla! Sarà per la prossima volta, mi consolo ammirando
dall’alto le elevazioni carniche, autentica meraviglia della regione. Ho fame e
le energie sono al minimo, rientro al passo dove ho lasciato lo zaino,
recuperato quest’ultimo mi abbandono sul prato d’erba, come un sacco di juta ce
viene svuotato del contenuto.
Tiro fuori
dallo zaino le cibarie e le consumo, ammirando nel frattempo il paesaggio.
Passo una buona mezz’ora, la tentazione di addormentarmi sul prato è forte. Estraggo
dallo zaino un contenitore di vetro, dentro scrivo un messaggio e ripongo degli
oggetti, chiuso il barattolo, cerco un luogo segreto tra le cavità carsiche
dove depositare il pensiero del viandante. Compiuta l’operazione, con lentezza
da sorprendere un bradipo veterano, innalzo il mio corpo dal manto erboso e lo
metto in movimento. Fa caldo, ho il passo lento, vorrei… ma un’aquila solitaria
volteggia sopra di me, disegnando lettere nel cielo, le leggo e le sorrido
facendole l’occhiolino. La regina dei monti plana, poi risale, si fa ammirare
dal forestiero, e io, incantato come un bimbo, me ne sto immobile con il naso
all’insù. Il mitico rapace sparisce dietro le rupi, è ora di scendere a valle
per il sentiero dell’andata.
In basso,
tra la vegetazione scorgo delle tristi figure, uomini in verde armati di fucile,
giocano a mirare, si accorgono della mia presenza e mettono giù l’arma, mentre
io avanzo nella loro direzione con le braccia alzate in segno di resa, e
dichiarandomi che vengo in pace. Sorridono, il mio sorriso di risposta è amaro.
Altri cacciatori ne incontro in basso, fischietto la canzone che oggi mi frulla
in testa ”Besame Mucho”, nella speranza di avvisare la selvaggina che ci sono
in giro i biechi verdi. Avviso i cacciatori che non sono uno stambecco, mi
rispondono che lo hanno notato dalla mancanza di corna, gli rispondo che
provvederò immediatamente. Scendo a valle, con calma, pensando ai cacciatori, come
bambini mai stanchi di giocare con i fucili; come posso disapprovarli, io, che
ho imparato a usare i cannoni contro un nemico mai nato? L’uomo è approdato
sulla luna, ma è rimasto cacciatore nell’animo, loro a caccia di selvaggina e
io a caccia di sogni, chissà chi di noi oggi ha riempito la sacca.
Con questi
pensieri, sicuramente frutto della stanchezza, rientro in pianura, con una
nuova cima conquistata e una storia da raccontare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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