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domenica 14 ottobre 2018

Monte Giaideit (1082 m.) da Illegio.



Monte Giaideit (1082 m.) da Illegio.

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Carniche

Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino- Interneppo-Cavazzo-Tolmezzo- Illegio- Indicazione per cimitero-Trovare posto nei pressi del luogo.

Località di partenza: Cimitero Illegio.



Dislivello: 500 m.





 Dislivello complessivo: 637 m.





Distanza percorsa in Km: 7 chilometri.





Quota minima partenza: 582 m.



Quota massima raggiunta: 1082 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Escursionistica ambientale.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistica

Segnavia: CAI 460 n.

Impegno fisico: medio basso.

Preparazione tecnica: Bassa.

Attrezzature: Si.

Croce di vetta: Si.

Ometto di vetta: No.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia -Tabacco 013.

2)           Bibliografici:

3)           Internet:

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:

Fonti d’acqua: Fontana dopo la partenza.

Consigliati:

Data: mercoledì 10 ottobre 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa



Racconto:

Mi manca l’esperienza di dipingere per monti, con questo avvenente proposito mi avvio per la valle dei sogni, si, per Illegio, borgo ideale per chi ama fantasticare. Il lago di Cavazzo con i suoi pitturi azzurri mi inizia alla Carnia, ancora poche curve tra i verdi passi e sono al cospetto della regina Amariana.

La veterana ed ardita strada scava dentro l’anima del monte, giungo all’ora che i bimbi si presentano a scuola, chiedo a un uomo dall’aspetto libero se vago giusto per la mia meta, avvallando i miei propositi, mi consiglia, guidandomi tra le viuzze.

Mentre cammino per l’anima di Illegio mi par di vedere la dea Diana con due cani al seguito. Pervengo al confine del muro dove gli umani giacciono per l’ultimo sonno, mi guardo intorno, e mentre mi sto predisponendo per l’escursione mi si avvicina la Dea Diana, la meravigliosa creatura mi elargisce consigli, avvisandomi di star desto al tratto franato e alle insidie del bosco. Ascolto i suoi saggi consigli, malgrado sia incantato dalla bellezza del suo volto, un soffice vento le sposta le ciocche bionde celando per pochi istanti i meravigliosi occhi azzurri.

Entusiasmato dal felice incontro mi avvio per la mia strada, percorro la vecchia mulattiera o “troi” come la chiamano i locali; la sua origine si perde nel tempo, dalle ferite sui ciottoli intuisco che da sempre le genti ne hanno seguito la rotta per giungere al sacro pulpito, dove il sogno subentra alla realtà. Adesso sono puro spirito che cammina dentro un paio di scarponi. Il sentiero conduce alla pieve di San Floriano, l’edificio sorge su un colle che domina la valle del But, non è difficile intuire che da questo luogo, sin dai tempi remoti, l’umana specie si dedicasse a riti sacri.

Mi affaccio dal suo terrazzo, scruto all’orizzonte le meraviglie dell’arco alpino, lasciandomi prendere da sogni sensuali che non continuo per la contrariante presenza del luogo sacro.

Mi indirizzo verso il crinale, pochi metri dopo scorgo un bel sentiero, affianco un manufatto di cui mi colpisce la forma della costruzione, la magia del luogo la si respira nell’aria.

Le foglie si tingono di mille colori pronte per il canto del cigno, sarà dolce la caduta verso il suolo e la morte le coglierà nel sonno.

Il bosco è oscuro e umido, lo percorro con un tenue timore, avverto la presenza sinistra di Apate, la vedo, se ne sta adagiata sull’inconsueta incurvatura di un tormentato e sopravvissuto abete bianco, devo passarle sotto. Lei mi guarda con un ipocrita sorriso, i suoi capelli sono aspidi, ammaliano per poi cingerti in un mortale abbraccio.

 Superata la frana che non occulta la recente ferita, giungo sulla ripida cresta, che cavalco con gioia, il dio “Sole” ritornato dalle ombre mi sarà compagno e amico. Tra i bellissimi pini mi destreggio, conseguo metro dopo metro fino a raggiungere il tratto attrezzato, utile più per non distrarsi dalla magnificenza del luogo che per le difficoltà oggettive.

Sono vicino la meta, nel mio specchio visivo l’azzurro domina il giallo dei prati, una croce e una panca mi invitano a mollare lo zaino e liberare le braccia alzandole al cielo in segno di ringraziamento. Adesso chiudo gli occhi lasciandomi baciare dai caldi raggi del fratello e amico giorno. Mi preparo il materiale, estraggo dallo zaino l’album da pittura, colori e pennelli. Tra le cime che mi circondano mi ispira il regale Sernio, ancora velato dalle ombre grigio-verdi, il cielo terso ne fa cogliere la forma, una coraggiosa nuvoletta ne vorrebbe rinfrescare la cresta mentre in basso i caldi e accesi colori autunnali dei colli ne completano il quadretto.

Assaporo con la bocca la fresca acqua della ciotola, succhiandone le setole del pennello e allo stesso tempo dandogli forma affusolata, è tanto sensuale questa azione, per fortuna sono solo, avrei sicuramente alimentato desideri libidinosi e sopiti delle amanti della sacra arte della sensualità.  

Mi dedico alla delicata pittura dell’acquerello, fa caldo, sono in canotta, sento il sole che mi scalda e il vento che mi delizia con le delicate carezze. Dopo il primo dipinto e alcuni abbozzi, mi giro e alle spalle noto un prato dorato pronto per ospitare i miei sogni. Lascio il materiale presso la croce, spostandomi sul morbido tappeto e in esso mi distendo lasciandomi andare al piacere dell’assoluto, dimenticando le insidie degli amici insetti.

Il tempo dedicato al sole è volato, mi ridesto, dedicando i miei passi all’esplorazione del sentiero, scoprendo che non ero in cima ma nell’ante.

 Mi dirigo con tutto l’armamentario verso la massima elevazione e dopo alcuni brevi passaggi con l’ausilio di cavi mi appare la vetta, niente croce, solo un grande cerchio in metallo con la rosa dei monti che mi circondano. La visita di cortesia è breve, lo stretto spazio non è idoneo all’ozio, colmo di sogni ed emozioni, decido di porre fine al viaggio e di rientrare a valle.

La discesa è dolce, la calda giornata autunnale mi porta lontano sino alla mia terra di origine, a volte ne sento la mancanza.

Ripasso sotto il sofferente abete, lei, Apate, è sospesa in aria, stavolta ho l‘impressione che mi abbia sfiorato, allungo il passo, voglio allontanare la sua triste presenza.

Nell’ultimo tratto poco prima del ponticello, vengo svagato da un suono sinistro, che poco a che fare con la poesia del bosco, forse proviene dal mio cellulare o dalla valle, ma questo mi fa incespicare su un’ingannatrice radice che ha le sembianze di uno dei serpenti di Apate. Stavo per schiantarmi su un masso, per fortuna ho messo le mani avanti, ma ora ho terrore, allungo il passo, lei mi chiama, mi parla, si scusa per l’accaduto, ma io non mi volto indietro, auspicherei che la dolce dea bionda incontrata al mattino mi apparisse per salvarmi, supero di corsa i prati e finalmente raggiungo l’auto.

Sono profondamente scosso, ancora mi par di udire la sua voce e di vedere le serpi che le adornano il volto. Sono lesto nel cambiarmi, voglio al più presto raggiungere la valle. Non è facile liberarsi del triste momento, penso che Apate non ha avuto rispetto per il viandante dagli occhi azzurri, non ha letto nel suo cuore la limpidezza di un animo che non serba insidie. Perché lo ha ingannato, cercando di fagli male con quell’insidioso ramo? Sono domande a cui solo lei può rispondere. Per fortuna il sole mi è amico e la sua calda luce mi ha portato fuori dall’insidioso bosco, svegliandomi e salvandomi dal triste destino.

Con l’animo malinconico ma con lo spirito libero e indomito, viaggio per la via del ritorno, con una montagna conquistata e una nuova storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.




























































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