Monte
Giaideit (1082 m.) da Illegio.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche
Avvicinamento:
Lestans-Pinzano-Cornino- Interneppo-Cavazzo-Tolmezzo- Illegio- Indicazione per
cimitero-Trovare posto nei pressi del luogo.
Località di partenza: Cimitero Illegio.
Dislivello: 500
m.
Dislivello complessivo: 637 m.
Distanza
percorsa in Km: 7 chilometri.
Quota minima
partenza: 582 m.
Quota
massima raggiunta: 1082 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 3 ore
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Escursionistica
ambientale.
Difficoltà: Escursionistica
Segnavia: CAI
460 n.
Impegno
fisico: medio basso.
Preparazione
tecnica: Bassa.
Attrezzature:
Si.
Croce di
vetta: Si.
Ometto di
vetta: No.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia -Tabacco 013.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero:
Fonti d’acqua: Fontana dopo la partenza.
Consigliati:
Data: mercoledì
10 ottobre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Mi manca l’esperienza
di dipingere per monti, con questo avvenente proposito mi avvio per la valle
dei sogni, si, per Illegio, borgo ideale per chi ama fantasticare. Il lago di Cavazzo
con i suoi pitturi azzurri mi inizia alla Carnia, ancora poche curve tra i verdi
passi e sono al cospetto della regina Amariana.
La veterana ed
ardita strada scava dentro l’anima del monte, giungo all’ora che i bimbi si presentano
a scuola, chiedo a un uomo dall’aspetto libero se vago giusto per la mia meta, avvallando
i miei propositi, mi consiglia, guidandomi tra le viuzze.
Mentre cammino
per l’anima di Illegio mi par di vedere la dea Diana con due cani al seguito. Pervengo
al confine del muro dove gli umani giacciono per l’ultimo sonno, mi guardo
intorno, e mentre mi sto predisponendo per l’escursione mi si avvicina la Dea
Diana, la meravigliosa creatura mi elargisce consigli, avvisandomi di star desto
al tratto franato e alle insidie del bosco. Ascolto i suoi saggi consigli, malgrado
sia incantato dalla bellezza del suo volto, un soffice vento le sposta le
ciocche bionde celando per pochi istanti i meravigliosi occhi azzurri.
Entusiasmato
dal felice incontro mi avvio per la mia strada, percorro la vecchia mulattiera o
“troi” come la chiamano i locali; la sua origine si perde nel tempo, dalle
ferite sui ciottoli intuisco che da sempre le genti ne hanno seguito la rotta
per giungere al sacro pulpito, dove il sogno subentra alla realtà. Adesso sono
puro spirito che cammina dentro un paio di scarponi. Il sentiero conduce alla
pieve di San Floriano, l’edificio sorge su un colle che domina la valle del
But, non è difficile intuire che da questo luogo, sin dai tempi remoti, l’umana
specie si dedicasse a riti sacri.
Mi affaccio
dal suo terrazzo, scruto all’orizzonte le meraviglie dell’arco alpino,
lasciandomi prendere da sogni sensuali che non continuo per la contrariante
presenza del luogo sacro.
Mi indirizzo
verso il crinale, pochi metri dopo scorgo un bel sentiero, affianco un manufatto
di cui mi colpisce la forma della costruzione, la magia del luogo la si respira
nell’aria.
Le foglie si
tingono di mille colori pronte per il canto del cigno, sarà dolce la caduta
verso il suolo e la morte le coglierà nel sonno.
Il bosco è oscuro
e umido, lo percorro con un tenue timore, avverto la presenza sinistra di
Apate, la vedo, se ne sta adagiata sull’inconsueta incurvatura di un tormentato
e sopravvissuto abete bianco, devo passarle sotto. Lei mi guarda con un ipocrita
sorriso, i suoi capelli sono aspidi, ammaliano per poi cingerti in un mortale
abbraccio.
Superata la frana che non occulta la recente ferita,
giungo sulla ripida cresta, che cavalco con gioia, il dio “Sole” ritornato dalle
ombre mi sarà compagno e amico. Tra i bellissimi pini mi destreggio, conseguo metro
dopo metro fino a raggiungere il tratto attrezzato, utile più per non distrarsi
dalla magnificenza del luogo che per le difficoltà oggettive.
Sono vicino
la meta, nel mio specchio visivo l’azzurro domina il giallo dei prati, una
croce e una panca mi invitano a mollare lo zaino e liberare le braccia alzandole
al cielo in segno di ringraziamento. Adesso chiudo gli occhi lasciandomi
baciare dai caldi raggi del fratello e amico giorno. Mi preparo il materiale,
estraggo dallo zaino l’album da pittura, colori e pennelli. Tra le cime che mi
circondano mi ispira il regale Sernio, ancora velato dalle ombre grigio-verdi,
il cielo terso ne fa cogliere la forma, una coraggiosa nuvoletta ne vorrebbe rinfrescare
la cresta mentre in basso i caldi e accesi colori autunnali dei colli ne completano
il quadretto.
Assaporo con
la bocca la fresca acqua della ciotola, succhiandone le setole del pennello e
allo stesso tempo dandogli forma affusolata, è tanto sensuale questa azione,
per fortuna sono solo, avrei sicuramente alimentato desideri libidinosi e sopiti
delle amanti della sacra arte della sensualità.
Mi dedico
alla delicata pittura dell’acquerello, fa caldo, sono in canotta, sento il sole
che mi scalda e il vento che mi delizia con le delicate carezze. Dopo il primo dipinto
e alcuni abbozzi, mi giro e alle spalle noto un prato dorato pronto per
ospitare i miei sogni. Lascio il materiale presso la croce, spostandomi sul
morbido tappeto e in esso mi distendo lasciandomi andare al piacere dell’assoluto,
dimenticando le insidie degli amici insetti.
Il tempo
dedicato al sole è volato, mi ridesto, dedicando i miei passi all’esplorazione
del sentiero, scoprendo che non ero in cima ma nell’ante.
Mi dirigo con tutto l’armamentario verso la
massima elevazione e dopo alcuni brevi passaggi con l’ausilio di cavi mi appare
la vetta, niente croce, solo un grande cerchio in metallo con la rosa dei monti
che mi circondano. La visita di cortesia è breve, lo stretto spazio non è idoneo
all’ozio, colmo di sogni ed emozioni, decido di porre fine al viaggio e di
rientrare a valle.
La discesa è
dolce, la calda giornata autunnale mi porta lontano sino alla mia terra di origine,
a volte ne sento la mancanza.
Ripasso sotto
il sofferente abete, lei, Apate, è sospesa in aria, stavolta ho l‘impressione
che mi abbia sfiorato, allungo il passo, voglio allontanare la sua triste
presenza.
Nell’ultimo
tratto poco prima del ponticello, vengo svagato da un suono sinistro, che poco
a che fare con la poesia del bosco, forse proviene dal mio cellulare o dalla
valle, ma questo mi fa incespicare su un’ingannatrice radice che ha le
sembianze di uno dei serpenti di Apate. Stavo per schiantarmi su un masso, per
fortuna ho messo le mani avanti, ma ora ho terrore, allungo il passo, lei mi
chiama, mi parla, si scusa per l’accaduto, ma io non mi volto indietro, auspicherei
che la dolce dea bionda incontrata al mattino mi apparisse per salvarmi, supero
di corsa i prati e finalmente raggiungo l’auto.
Sono profondamente
scosso, ancora mi par di udire la sua voce e di vedere le serpi che le adornano
il volto. Sono lesto nel cambiarmi, voglio al più presto raggiungere la valle. Non
è facile liberarsi del triste momento, penso che Apate non ha avuto rispetto
per il viandante dagli occhi azzurri, non ha letto nel suo cuore la limpidezza di
un animo che non serba insidie. Perché lo ha ingannato, cercando di fagli male
con quell’insidioso ramo? Sono domande a cui solo lei può rispondere. Per
fortuna il sole mi è amico e la sua calda luce mi ha portato fuori dall’insidioso
bosco, svegliandomi e salvandomi dal triste destino.
Con l’animo malinconico
ma con lo spirito libero e indomito, viaggio per la via del ritorno, con una
montagna conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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