Powered By Blogger

mercoledì 26 settembre 2018

Cima Mogenza Piccola dalla Val del Rio del Lago

 
Cima Mogenza Piccola dalla Val del Rio del Lago

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Giulie, gruppo del Jof Fuart.

Avvicinamento: Gemona-Chiusaforte- Sella Nevea- Direzione Cave di Predil-Ponte sul Rio Bianco. (m 989, cartello CAI, piccolo spiazzo a destra o parcheggio presso il Rio della Trincea).



Località di Partenza: Piccolo spiazzo a destra o parcheggio presso il Rio della Trincea).



Dislivello: 1017 m.





 Dislivello complessivo: 1017 m.





Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.





Quota minima partenza: 1000 m.



Quota massima raggiunta: 1946 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Storica Escursionistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti, un canalino di cinque metri con difficoltà di primo  più, fittoni e corda presenti.

Segnavia: CAI 646



Impegno fisico: Medio basso.

Preparazione tecnica: Media-bassa

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019

2)           Bibliografici:

3)           Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben segnato, anche se in molti tratti del bosco andrebbero manutenzionati.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Consigliati:

Data: venerdì 21 settembre 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Racconto:

La Mongenza non mi volle, mi disse:<<Forestiero oggi non sono pronta a riceverti, potrei farti male>>. Nella notte mi venne in sogno, mi mostro il camino bagnato del mio sangue. Al mattino mi svegliai trepidante, ma non volli cambiare idea, finché giungendo a Sella Nevea, sentii ancora la sua voce, sussurrarmi:<<Non ti voglio, oggi no, ti prego, non insistere.>> Essa fu convincente, non proseguii nella direzione, ma ovviai per il monte Robon.  

Dopo l’ascesa sul Montasio dimenticai l’amarezza del precedente rifiuto, la regina delle Giulie mi ha dato tanto, soprattutto fiducia nelle mie mani.  Ho deciso di offrire le mie attenzioni alla Mogenza Piccola. Confortato dall’assenza di sogni malauguranti, ci riprovo.

Arrivo in piena notte nella valle del Rio del Lago, luna e stelle sono spente, esco dall’abitacolo, avverto per un attimo la paura, percependo tra la selva la presenza di belve. Successivamente mi rincuoro, sorrido, penso che i più grandi misfatti avvengono quasi sempre alla luce del sole. Aspettando che l’aurora abbondoni il talamo di morfeo, indosso gli scarponi e preparo le armi, sono pronto. << Cielo mostrami le ombre dei monti, ho voglia di raggiungere la signora.>>

Aspetto che schiarisca, impiegando il tempo a controllare il materiale, finché mi decido a guadare il letto del rio, metro dopo metro aumenta la visuale, ora riesco a distinguere lo skyline dei monti.

L’aurora stavolta mi è complice, mi guida dentro il bosco e passo dopo passo mi illumina il cammino; mi accarezza le spalle come solo lei sa fare, donandomi infinita dolcezza. C’è un unico sentiero, non posso errare, vado dritto fino al bivio.

 Le ombre dei faggi giocano assieme agli scheletri degli estinti alberi a confondermi, il rosso e bianco dei segni non è sempre ben distinguibile, vado avanti e non mi fermo.

La notte ora sosta dall’altra parte del pianeta, un’intensa luce abbraccia il vallone, la temperatura è elevata, non tolgo il gilet per non prendere un colpo di freddo, ma questo non mi giova.

Una lunga serie di tornanti nel il bosco mi permette di guadagnare quota, abbandonata la selva finalmente inizio a vedere le rocce. Prominenti sono la Movenza alta e la sorellina. Il sentiero mi spinge sotto l’enorme bancata rocciosa del versante orientale della Mogenza Piccola. Percorro la traccia che mira a un insellamento che una volta vicino scopro di trattarsi di un labirinto carsico. I segni eccedono e danno sicurezza, cammino sopra la bianca roccia erosa dall’acque, sfiorando le orrende voragini carsiche; su alcune talora bisogna passare in equilibrio come funamboli.

Raggiungo la crestina circondata da manufatti bellici, la meta è a sinistra, ben distinguibile dal crinale ornato da mughi. Dopo aver visitato un manufatto bellico seguo gli esigui bolli, calandomi su un piano inclinato e sforacchiato, sto molto attento,  perché cammino sul ciglio delle impressionanti voragini carsiche, non vorrei fare la fine del sorcio. Sono attratto dalla signora, tanto impaziente e non percepisco nemmeno il pericolo, mi spingo verso di lei, avrò modo al ritorno di ammirare il tappeto carsico.

 Giunto alla base di un camino, vedo per la prima volta lo scorcio di roccia che mi venne in sogno come un incubo, il punto chiave dell’escursione. Davanti al suo cospetto ne studio l’ostacolo, e guardando la signora con un sorriso carico di amarezza le dico:<<Perché mi ha detto no? Sei proprio come quelle donnine viziate e arroganti, ti fai desiderare!>>

Non manca molto alla vicina vetta, quindi lascio lo zaino e un bastoncino nell’incavo in basso al camino, infilo i guanti (non si dica che non uso metodi galanti) e parto. Si tratta di cinque metri da superare con l’aiuto di fittoni in metallo e una corda, e in più non mancano appigli e appoggi, direi un primo grado più.

Superato con facilità l’ostacolo, mi avvio alla meta tra i resti di manufatti militari e conformazioni carsiche tra cui uno spacco dalla antropomorfa forma tanto da me divinizzata. L’istinto mi porta a entrare nella bianca fenditura, e carezzare le pareti umide che sento calde, paragono il tutto alla penetrazione dell’anima, oltre mi aspetta il sole nascente. Ricalco a ritroso i miei passi continuando il cammino.

Raggiunta una forcella tra i manufatti bellici, i segni del sentiero CAI proseguono a sinistra, seguo gli ometti voltando a destra, intuisco che conducono alla sommità. Supero alcuni tratti esposti ma non difficili. Tra mughi e resti di fortificazione arrivo nei pressi della vetta, pochi metri ancora e sono al dinanzi al piccolo e grazioso ometto della cima. Fatta!

Il cielo è terso, riesco a vedere chiaramente tutte le meravigliose elevazioni delle Giulie. Mi viene un ardito desiderio che assecondo, mi denudo totalmente! Dispongo con cura gli abiti, in modo che nel rivestirmi non perderò tempo. Che bello adocchiare gli scarponi senza me dentro, la biancheria è accanto all’ometto e sullo sfondo spiccano: il Montasio, il Canin, Il Mangart e il Fuart. Sto bene al naturale, chi se ne frega del pudore, oggi di sicuro, su non verrà nessuno, e poi sulla Mogenza Piccola? I più le preferiscono altezze più blasonate.

Cammino a piedi nudi sulla nuda roccia mista a erba, avverto sensazioni divine, è così spiritualmente terapeutico! Ai mal pensanti scrivo: codesto comportamento non è mero esibizionismo, è solo un desiderio, che ben pochi hanno il coraggio di attuare. La morale l’ho lasciata in auto, tornerò a indossare la maschera della nullità una volta raggiunta la pianura. Passata una buona mezz’ora di contemplazione dedicata alle bianche Giulie, mi rivesto, preparandomi per il rientro. Controllo prima di ripartire che non abbia dimenticato nulla e mi avvio all’auto più veloce della luce. Il camino (il punto chiave) in discesa è ancora più divertente che in salita, con tre mosse ben calcolate sono giù.

Ripreso lo zaino mi avvio al rientro, a ritroso ripercorro il sentiero dell’andata senza annotare nulla di particolare, tranne un pensiero fisso che mi tormenta durante la discesa. La conquista della Mogenza Piccola non mi ha caricato ed entusiasmato, anzi, mi ha lasciato un vuoto dentro, è come se fossi andato a fare sesso con una meretrice di basso borgo. La signora si è fatta anelare, per poi rivelarsi poca cosa in confronto alle sue colleghe. La mia non vuol essere una critica, è semplicemente una constatazione. Sicuramente mi sono posto delle aspettative che si sono poi palesate cocenti delusioni.

Dopo la Grande Cengia e il Canalone Findenegg, il mio approccio con la montagna è cambiato, non ho mai amato le corde per farmi sicurezza, è come fare l’amore con il condom. Adoro il contatto con la nuda roccia, la voglio cogliere, voglio sentire il muto respiro e il suo desiderio, e per questa causa dobbiamo osare entrambi. Sul piatto del rischio io depongo la mia vita e lei la sua reputazione, la vita è così, prendere o lasciare! Le cose facili lasciamole a chi si contenta di essere a sua insaputa spensierato. L’amore è dolore, tanto tormento, come lo è il partorire, e lo stesso lo è la creazione di un’opera.

Un’esistenza senza pathos è paragonabile al vegetare di una pianta acquatica, sospesa tra l’acqua e il cielo. Una fiamma che si consuma lentamente non fa una grande luce…

 Con queste riflessioni, raggiungo l’auto, il rombo delle moto mi avvisa che non è più tempo di sognare. Con un'altra cima conquistata e una storia da raccontare rientro a valle, alla ricerca di una fresca fonte dove poter lenire i pensieri.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.

















































































Nessun commento:

Posta un commento