Creton di
Tul da Cima Sappada
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche- Gruppo Terze-Clap
Avvicinamento:
Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo- Villa Santina- Ovaro-Rigolato-Cima Sappada presso parcheggio
funivia.
Località di partenza: parcheggio funivia presso Cima
Sappada.
Dislivello: 1220
m.
Dislivello complessivo: 1220 m.
Distanza
percorsa in Km: 15 chilometri.
Quota minima
partenza: 1276 m.
Quota
massima raggiunta: 2287 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Escursionistica
Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti esperti per via solo
dell’assenza di segni e tracce nel tratto finale, anche se facilmente
intuibile.
Segnavia: CAI
321 e sporadici bolli rossi e ometti.
Impegno
fisico: Medio.
Preparazione
tecnica: Bassa.
Attrezzature:
SI.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si, istallato durante l’escursione.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia e Tabacco 01.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: No.
Consigliati:
Data: giovedì
4 ottobre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Narrazione:
L’ineluttabile
mi chiama nella valle delle streghe, mi consiglia di portarmi la luce per raggiungere
la piccola cima muta; attratto dalle guglie che si scagliano verso il cielo
senza ferirlo, vado da solo e denudare l’ombra.
Ultimamente non
volo più con le ali di un tempo, cammino sì, ma seguendo le frasi dei poeti e cercando
nei sassi la risposta ai miei peccati. Sono diventato un uomo che sospeso su un
filo vaga alto nell’abisso.
L’oscurità mi
attende anche stavolta, le stelle ingorde insieme alla luna catturano la luce, inclusa
quella che scaturisce dal mio sguardo. Lungo la strada mi fermo più volte a danzare
con i folletti, finché ho raggiunto il paese del vento. Non sono più solo, ora la
luna mi segue, i suoi raggi freddi scaldano il cuore. La notte è ancora lunga,
dalla mente sfociano ricordi vicini e lontani che aumentano l’intensità del sogno.
La Carnia mi
è madre e mi guida nelle sue vene per raggiungere il cuore, ora l’oscurità si
spegne all’ascolto del suono proveniente dalle trombe che annunziano l’avvento del
dì; dalle ombre percepisco i picchi, il nero realizza il blu, intanto io
continuo a tenere gli occhi lassù.
Una volta
pronto parto, portando a braccio l’aurora, salgo il ripido pendio per poi
inoltrarmi nel fitto bosco, pur non avendo con me l’ombra mi sento seguito, ho
l’impressione che sia una figura sinistra, una strega, devo crederci? Stendo lo
sguardo oltre il bosco, cercando la luce che accarezza la bianca roccia tingendola
di rosa. Le mie mani sono strette in una morsa, la piccola incantatrice ha mani
gelide, non immaginavo che in questa stagione la montagna avesse una simile
natura, mi fermo alla vana ricerca di calore al rifugio Siera.
Dal sublime
pulpito panoramico ammiro il paesaggio, ispeziono il locale, cercando utilmente
un ospizio per il viandante, questo luogo mi è ostile come lo sono le streghe,
mi attende ancora il freddo grigio, devo continuare per la mia strada.
Seguo il
bianco del viottolo tra il grigio del paesaggio, esso mi conduce alla vasta parete,
supero un canalone per portarmi su una muraglia esposta e attrezzata. La
fantasia mi perseguita e la presenza mi segue sull’esposto pendio, guardo le
mie mani, basterebbe aprirle e lasciarmi scivolare nel vuoto per porre fine
alla storia, ma continuo.
La luce calda
mi è vicina, proprio dietro l’angolo, mi distraggo con l’azzurro ammirando la
cima Dieci, studio il suo ripido fianco, un giorno la salirò e giocherò lassù,
ma oggi ho un altro incontro e da signore agirò.
Ammiro a
oriente la Cima Geu con le sue vette che si biforcano, e più lontano il Tuglia,
viaggio dentro un mondo incantato, apprestandomi a sposare la luce. Questo
luogo è abitato prevalentemente dai biondi larici e vista la stagione si
divertono a spargere l’oro nel cielo. Risalgo il pendio fino a raggiungere la desolata
valle della creta Forata. Le pareti della grande cima a sud mi ingannano, vedo
ovunque cenge come i dannati la libertà. A destra del mio fianco la cresta del
Pettine è baciata dal dio della luce, il colore dorato dei prati mi invita a
spogliarmi e separarmi dal freddo, le appuntite guglie tingono il cielo. Che
strana sensazione che avverto, malgrado il continuo movimento non riesco a
privarmi dagli abiti superflui; mentre le fredde e velate ombre lunari mi raffreddano
il corpo i lontani verdi prati illuminati dalla luce mi scaldano lo spirito, sono
un morto vivente che avanza verso quel punto luminoso, lassù.
Sul finire
del catino di ghiaie, seguo gli ometti, portandomi presso l’attacco del
cengione della Creta forata, la mia meta è a destra, ne seguo le tracce e gli sporadici
bolli rossi.
La prima neve della stagione si scioglie al
passaggio degli scarponi, ingannato da una fila bolli rossi risalgo un canalino
che porta ad un intaglio, poco prima del foro della Creta. Dopo aver individuato
una corda e una staffa in metallo, retrocedo, oggi non è cosa da farsi. Una
voce femminile e seducente bisbiglia qualcosa, mi chiama, mi giro, è lei, la
Grande Signora, mi indica con il suo sorriso la dovuta via. Ridiscendo dal canalino, e risalgo sul
versante opposto, un piano inclinato e innevato mi attende, sono il primo che lo
visita dopo la nevicata. Zizzagando per far meno fatica mi porto alla base del
declivio alla mia sinistra, una volta raggiunta l’inerbita cresta mi fermo. È impossibile
sottrarsi alla contemplazione, fossi sia miscredente che devoto, qui non mi guida
la mente ma il cuore.
Il paesaggio
è il culmine della sublimazione, mi giro e rigiro, in un solo sguardo racchiude
le magiche forme della Creta Forata, del Piccolo Siera e le meravigliose catene
montuose di questa magica terra adottiva.
Mancano pochi
metri alla vetta, il crinale prima si estende creando un’alcova d’erba con
rocce affioranti per poi richiudersi e delinearsi come cresta affilata, fino a
raggiungere le ultime zolle ai piedi dell’ometto che pone fine alle fatiche.
Non posso che
godere, piangere, amare, ho raggiunto il sole, un dio con il fiato di luce. Dopo
aver impiantato il libro di vetta lo ripongo con cura tra i sassi dell’ometto,
mi adagio sull’erba, lasciandomi accarezzare dalla poesia, mi svesto, mostrando
il petto ignudo, sento la presenza della luna, ma stavolta è scaldata dal sole.
Non amo i freddi bagliori, essi mi uccidono con il loro pensiero, ora sono
esposto all’oro della Grande Signora, qui nessuno mi verrà cercare, è il luogo
ideale per gli amanti della libertà.
Soffia un
leggero vento, mi abbasso di pochi metri nella cresta che sembra un talamo d’erba,
qui posso svestirmi dell’armatura e lasciarmi andare per rilassare le membra.
Desidero l’amore
ma sono distratto dalla bellezza e poi ecco la comparsa della mia amica aquila,
sì è lei, l’unica. Volteggiando lassù
nel blu mi scrive, mi rende triste, quello che mi comunica sa di gioia e di
morte.
Mi consiglia
di non giocare con le streghe se voglio ritornare al sole. Il regale rapace
dopo l’ultimo volteggio svanisce dietro la creta, lasciandomi irrequieto. Non
voglio fare tardi, così abbandono l’erba illuminata dal sole per raggiungere la
fredda valle. La discesa è lunga, il pensiero vola lontano, vorrei conoscere
quello che mai apprenderò. Raggiunto il rifugio Siera dedico l’ultimo sguardo
alle “Signore di Pietra”, per poi errare la via del rientro. Distratto dai prati color smeraldo li ho
seguiti sino alla fine, ritrovandomi un paio di chilometri lontano dalla Cima Sappada,
la Grande signora mi ha drogato facendomi smarrire la via.
Raggiunta l’auto,
venivo a sua volte toccato dalla Luna, il crepuscolo porta calore e luce ad
altri viandanti di questo mondo. Sono partito con l’oscurità e con essa rientro,
la strada è sempre quella, procedo piano, sono stanco, ho mani gelide e il
cuore traboccante di riflessioni.
Penso di
aver perso la bussola, non riesco più a ritrovare la via, la montagna è solo
una breve tregua luminosa nel regno delle tenebre.
Il silenzio ora
mi è assordante, arriverò a casa pervaso da quel finto benessere che ti dà la
fatica e con in mente il monito della pennuta amica. Con matite appuntite disegno
i segni del suo volo, desiderando invano di leggere in essi, per poi raccontare
una montagna conquistata e una nuova storia da menzionare.
Il “Forestiero
Nomade”
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento