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sabato 6 ottobre 2018

Creton di Tul da Cima Sappada

 
Creton di Tul da Cima Sappada

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Carniche- Gruppo Terze-Clap

Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo- Villa Santina-  Ovaro-Rigolato-Cima Sappada presso parcheggio funivia.

Località di partenza: parcheggio funivia presso Cima Sappada.



Dislivello: 1220 m.





 Dislivello complessivo: 1220 m.





Distanza percorsa in Km: 15 chilometri.





Quota minima partenza: 1276 m.



Quota massima raggiunta: 2287 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Escursionistica Selvaggia.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti esperti per via solo dell’assenza di segni e tracce nel tratto finale, anche se facilmente intuibile.

Segnavia: CAI 321 e sporadici bolli rossi e ometti.

Impegno fisico: Medio.

Preparazione tecnica: Bassa.

Attrezzature: SI.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si, istallato durante l’escursione.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia e Tabacco 01.

2)           Bibliografici:

3)           Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.

Fonti d’acqua: No.

Consigliati:

Data: giovedì 4 ottobre 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Narrazione:

L’ineluttabile mi chiama nella valle delle streghe, mi consiglia di portarmi la luce per raggiungere la piccola cima muta; attratto dalle guglie che si scagliano verso il cielo senza ferirlo, vado da solo e denudare l’ombra.

Ultimamente non volo più con le ali di un tempo, cammino sì, ma seguendo le frasi dei poeti e cercando nei sassi la risposta ai miei peccati. Sono diventato un uomo che sospeso su un filo vaga alto nell’abisso.

L’oscurità mi attende anche stavolta, le stelle ingorde insieme alla luna catturano la luce, inclusa quella che scaturisce dal mio sguardo. Lungo la strada mi fermo più volte a danzare con i folletti, finché ho raggiunto il paese del vento. Non sono più solo, ora la luna mi segue, i suoi raggi freddi scaldano il cuore. La notte è ancora lunga, dalla mente sfociano ricordi vicini e lontani che aumentano l’intensità del sogno.

La Carnia mi è madre e mi guida nelle sue vene per raggiungere il cuore, ora l’oscurità si spegne all’ascolto del suono proveniente dalle trombe che annunziano l’avvento del dì; dalle ombre percepisco i picchi, il nero realizza il blu, intanto io continuo a tenere gli occhi lassù.

Una volta pronto parto, portando a braccio l’aurora, salgo il ripido pendio per poi inoltrarmi nel fitto bosco, pur non avendo con me l’ombra mi sento seguito, ho l’impressione che sia una figura sinistra, una strega, devo crederci? Stendo lo sguardo oltre il bosco, cercando la luce che accarezza la bianca roccia tingendola di rosa. Le mie mani sono strette in una morsa, la piccola incantatrice ha mani gelide, non immaginavo che in questa stagione la montagna avesse una simile natura, mi fermo alla vana ricerca di calore al rifugio Siera.

Dal sublime pulpito panoramico ammiro il paesaggio, ispeziono il locale, cercando utilmente un ospizio per il viandante, questo luogo mi è ostile come lo sono le streghe, mi attende ancora il freddo grigio, devo continuare per la mia strada.

Seguo il bianco del viottolo tra il grigio del paesaggio, esso mi conduce alla vasta parete, supero un canalone per portarmi su una muraglia esposta e attrezzata. La fantasia mi perseguita e la presenza mi segue sull’esposto pendio, guardo le mie mani, basterebbe aprirle e lasciarmi scivolare nel vuoto per porre fine alla storia, ma continuo.

La luce calda mi è vicina, proprio dietro l’angolo, mi distraggo con l’azzurro ammirando la cima Dieci, studio il suo ripido fianco, un giorno la salirò e giocherò lassù, ma oggi ho un altro incontro e da signore agirò.

Ammiro a oriente la Cima Geu con le sue vette che si biforcano, e più lontano il Tuglia, viaggio dentro un mondo incantato, apprestandomi a sposare la luce. Questo luogo è abitato prevalentemente dai biondi larici e vista la stagione si divertono a spargere l’oro nel cielo. Risalgo il pendio fino a raggiungere la desolata valle della creta Forata. Le pareti della grande cima a sud mi ingannano, vedo ovunque cenge come i dannati la libertà. A destra del mio fianco la cresta del Pettine è baciata dal dio della luce, il colore dorato dei prati mi invita a spogliarmi e separarmi dal freddo, le appuntite guglie tingono il cielo. Che strana sensazione che avverto, malgrado il continuo movimento non riesco a privarmi dagli abiti superflui; mentre le fredde e velate ombre lunari mi raffreddano il corpo i lontani verdi prati illuminati dalla luce mi scaldano lo spirito, sono un morto vivente che avanza verso quel punto luminoso, lassù.

Sul finire del catino di ghiaie, seguo gli ometti, portandomi presso l’attacco del cengione della Creta forata, la mia meta è a destra, ne seguo le tracce e gli sporadici bolli rossi.

 La prima neve della stagione si scioglie al passaggio degli scarponi, ingannato da una fila bolli rossi risalgo un canalino che porta ad un intaglio, poco prima del foro della Creta. Dopo aver individuato una corda e una staffa in metallo, retrocedo, oggi non è cosa da farsi. Una voce femminile e seducente bisbiglia qualcosa, mi chiama, mi giro, è lei, la Grande Signora, mi indica con il suo sorriso la dovuta via.  Ridiscendo dal canalino, e risalgo sul versante opposto, un piano inclinato e innevato mi attende, sono il primo che lo visita dopo la nevicata. Zizzagando per far meno fatica mi porto alla base del declivio alla mia sinistra, una volta raggiunta l’inerbita cresta mi fermo. È impossibile sottrarsi alla contemplazione, fossi sia miscredente che devoto, qui non mi guida la mente ma il cuore.

Il paesaggio è il culmine della sublimazione, mi giro e rigiro, in un solo sguardo racchiude le magiche forme della Creta Forata, del Piccolo Siera e le meravigliose catene montuose di questa magica terra adottiva.

Mancano pochi metri alla vetta, il crinale prima si estende creando un’alcova d’erba con rocce affioranti per poi richiudersi e delinearsi come cresta affilata, fino a raggiungere le ultime zolle ai piedi dell’ometto che pone fine alle fatiche.

Non posso che godere, piangere, amare, ho raggiunto il sole, un dio con il fiato di luce. Dopo aver impiantato il libro di vetta lo ripongo con cura tra i sassi dell’ometto, mi adagio sull’erba, lasciandomi accarezzare dalla poesia, mi svesto, mostrando il petto ignudo, sento la presenza della luna, ma stavolta è scaldata dal sole. Non amo i freddi bagliori, essi mi uccidono con il loro pensiero, ora sono esposto all’oro della Grande Signora, qui nessuno mi verrà cercare, è il luogo ideale per gli amanti della libertà.

Soffia un leggero vento, mi abbasso di pochi metri nella cresta che sembra un talamo d’erba, qui posso svestirmi dell’armatura e lasciarmi andare per rilassare le membra.   

Desidero l’amore ma sono distratto dalla bellezza e poi ecco la comparsa della mia amica aquila, sì  è lei, l’unica. Volteggiando lassù nel blu mi scrive, mi rende triste, quello che mi comunica sa di gioia e di morte.

Mi consiglia di non giocare con le streghe se voglio ritornare al sole. Il regale rapace dopo l’ultimo volteggio svanisce dietro la creta, lasciandomi irrequieto. Non voglio fare tardi, così abbandono l’erba illuminata dal sole per raggiungere la fredda valle. La discesa è lunga, il pensiero vola lontano, vorrei conoscere quello che mai apprenderò. Raggiunto il rifugio Siera dedico l’ultimo sguardo alle “Signore di Pietra”, per poi errare la via del rientro.  Distratto dai prati color smeraldo li ho seguiti sino alla fine, ritrovandomi un paio di chilometri lontano dalla Cima Sappada, la Grande signora mi ha drogato facendomi smarrire la via.

Raggiunta l’auto, venivo a sua volte toccato dalla Luna, il crepuscolo porta calore e luce ad altri viandanti di questo mondo. Sono partito con l’oscurità e con essa rientro, la strada è sempre quella, procedo piano, sono stanco, ho mani gelide e il cuore traboccante di riflessioni.

Penso di aver perso la bussola, non riesco più a ritrovare la via, la montagna è solo una breve tregua luminosa nel regno delle tenebre.

Il silenzio ora mi è assordante, arriverò a casa pervaso da quel finto benessere che ti dà la fatica e con in mente il monito della pennuta amica. Con matite appuntite disegno i segni del suo volo, desiderando invano di leggere in essi, per poi raccontare una montagna conquistata e una nuova storia da menzionare.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.





























































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