Monte Piccolo Siera (2430 m.) da Sappada
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche- Gruppo Terze-Clap
Avvicinamento:
Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo- Villa Santina- Ovaro-Rigolato-Cima Sappada- Sappada-Subito
dopo la chiesa imboccare la stradina per la borgata Bach, scendere sino al
Piave e trovare sosta poco prima di un ponte in legno, superando a piedi il
ponte sulla sinistra parte una carrareccia che porta al sentiero 316.
Località di Partenza: Ponte poco prima del fiume Piave.
Dislivello: 1230
m.
Dislivello complessivo: 1330 m.
Distanza
percorsa in Km: 15 chilometri.
Quota minima
partenza: 1200 m.
Quota
massima raggiunta: 2430 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 8 ore.
In: Solitaria
e con il fido Magritte.
Tipologia Escursione: Selvaggio-Escursionistica
Difficoltà: E.E. con passaggi di I e II grado su roccia.
Segnavia: CAI
316.
Impegno
fisico: Medio-alto
Preparazione
tecnica: Medio alta.
Attrezzature:
Si.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia -Tabacco 01.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: luglio-ottobre.
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato fino alla casera Siera.
Fonti d’acqua: L’ultima poco prima della Casera Siera.
Consigliati:
Data: 11 ottobre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
La sera
stessa dello scampato pericolo,
impaurito ancora dai tentacoli di Apate, preparo le armi, lucido lo scudo e
affilo la spada, come Achille, l’eroico soldato e principe acheo, serbo una
grande collera in corpo, ho bisogno assolutamente di vincere una battaglia, di
qualcosa che sia degna dello spirito del “Forestiero Nomade”. Ad un tratto nei
ricordi mi appare lei, la bella cima del Piccolo Siera, una montagna vera, non
una di facili costumi che spesso si concede per banali carezze, insomma,
qualcosa che mi faccia riscoprire l’amore e l’ebrezza dei momenti delicati,
quando le tenerezze erano pure e potevi specchiarti negli occhi dal color blu
cristallino. Come l’eroe omerico anch’io ho un fraterno amico, l’unico di cui
possa credere della sua fedeltà, la sua abnegazione è degna di un grande
storia, mi sarà vicino per leccarmi le ferite ancora non cicatrizzate e darmi
forza con la sua fiducia, il suo nome non è glorioso come quello di Patroclo,
ma Magritte ne sarà degno erede…
Arriviamo nella magica vallata, Sappada è
ancora avvolta dalle nebbie, la nostra meta imperiosa ci scruta da lassù, essa
ha una sorella poco più alta, ma lei non le è da meno, sicuramente è meno
ricercata e per questo più autentica; si concede a pochi, agli eletti ed è
quello che oggi io desidero, voglio sentirmi unico e credere alle sue parole.
Partiamo
poco prima di un ponte che supera il fiume sacro alla Patria, subito dopo
risaliamo una ripida carreggiata con movimento sinuoso che ci porta in quota.
Gli abeti nascondono i nostri pigri passi, la temperatura non si lascia
ingannare dal limpido cielo, procedo coperto finché tocco la fredda e umida
roccia del Siera. Viaggio nel versante nord occidentale, l’odore della
vegetazione marcia è asfissiante, tanto da farmi aver nostalgia delle essenze
con cui si aromatizzano le danzatrici del ventre egiziane. Delle attrezzature mi
guidano a superare un salto esposto, mi fermo ad ammirare la bellezza
dell’aurora che sveglia la natura dal suo torpore, il cielo è di un azzurro che
sembra artefatto. Grazie, grazie “Grande Signora”, grazie dell’amore che mi offri.
Un sentiero ben marcato mi guida nella vegetazione che, attimo dopo attimo, si
tinge di colori altisonanti, la stagione dei pittori sta entrando nel massimo
fulgore e ne ammiro le opere.
Raggiunta
una sella proseguo per il delicato sentiero che procede sempre esposto nel
vuoto che io non voglio colmare. Conseguito il passo Siera la fantasia si diverte
a far patire il cuore. Sto attraversando pochi metri di ghiaia, e tra essi
scorgo degli ometti, mi faccio guidare e penso ai ciottoli come esseri viventi,
uno di loro, il più impavido, mi chiama: << Forestiero, forestiero! Dai
prendimi, adagiami sull’ometto più alto, rendimi per un giorno eroe, ti prego,
sono anni che giaccio nel freddo greto e nella vana speranza di una mano caritatevole.
Vengo da lassù, caduto dalla cima. Un giorno ero così alto che vedevo volare le
aquile, da un’altezza che pochi di voi umani avrebbero avuto il coraggio di pestarmi,
anzi, cercavate in me una presa sicura. Ora sono caduto in disgrazia, ti prego,
mettimi sopra di lui, esso ha già avuto il suo periodo di gloria, cosi anch’io con
la fantasia mi illuderò di essere di nuovo in cima e volare con la regina dei
rapaci>>. Ascoltato il piccolo e commovente sasso, con dolcezza lo prendo
e lo adagio sull’ultimo dell’ometto, scusandomi con quest’ultimo dalla poca delicatezza.
Oggi ho reso felice un sasso, cosa mi sta succedendo, sto diventando matto? Ho
perso il senno? Magritte incredulo mi segue, raggiungiamo la casera Siera, effettuo
una breve sosta, delle mani caritatevoli la stanno rimettendo in sesto. A occidente
ammiro le Vette Nere, in esse il sole si specchia gagliardo dando loro quella
giovinezza che tanto è gradita alle signore di una certa età, il sole è un grande
adulatore, forte del suo irresistibile fascino, ora le chiama bimbe e ora …
Sorrido, mi
volto a oriente e lasciato il riparo cerco la traccia guida, da questo momento
sono il forestiero nomade, che va alla ricerca del suo spirito guida.
Un labile
viottolo mi conduce dentro il fitto bosco da dove risalgo con fatica il ripido
pendio, qui mi tocca mettere mano alle energie che ho al seguito, porto ancora nelle
gambe la fatica del giorno precedente. Mi distraggo ammirando la bellezza dei
dorati larici, che fanno i preziosi con i maturi abeti. Il larice è il mio
albero preferito, perché più umano rispetto ai colleghi “sempre verdi”. L’autunno
è la sua stagione, brilla al sole, ed è talmente vanitoso da ridimensionare Narciso
se fosse al suo cospetto.
Il
pretenzioso albero al mio tocco perde i filamenti d’oro, quasi se ne dispiace,
perché tale peccato capitale presto lo renderà nudo e allora sarà lui deriso
dai seriosi e moralisti abeti. Ecco perché lo amo questo nobile ceppo, perché
spesso anch’io per vanità mi sono ritrovato nudo e deriso, per poi rinascere a
nuova vita ed eroicamente protendermi dalle più alte e ardite rocce. I larici
lasciano il passo ai mughi, che io cortesemente chiamo microonde, e dopo una
bella scaldata finalmente vedo la prima roccia bianca, e poi un’altra ancora,
roccia, roccia, tanta roccia ancora…
Entro nel teatro
di ghiaia ammirando le pendici sud occidentali del Siera, umilmente mi prostro a
tale magnificenza.
In alto le
guglie si succedono come cattedrali gotiche, seguo i miei amici ometti che mi
portano a cavalcare una crestina inerbita, spesso mi fermo ad ammirare i canaloni,
uno è bollato di rosso, sarà la mia prossima meta. I miei ometti diligentemente mi conducono a
sud, per un prato che si sporge sul versante che domina dall’alto la Val
Pesarina. Il colore giallo-oro del pendio erboso mi cattura l’anima, lassù tra
il bianco e l’azzurro dimora il mio sogno. Scendo per pochi metri dentro un
canale che sembra una ferita, per uscirne fuori tramite una paretina di primo
grado, Magritte esegue l’operazione con grazia, è proprio un cane alpino.
Ora mi
attende il prato da solcare in libertà, miro alle antropomorfe figure di
roccia, cercando in loro il timone. Lascio lo zaino con il superfluo ai margini
delle rupi e proseguo il cammino con l’amico. La pietra è il mio universo, tra le sue pieghe
trovo i passaggi più agevoli, eccomi su una crestina e finalmente intravedo il
desiderio, sorrido, sono ben due le cime, e non poteva essere diversamente, lo
stesso numero degli amori: l’amore sacro e l’amore profano.
Cavalco la
crestina, ho il cuore in gola, il mio sogno è vicino, tanto da arrestarmi il
cuore dall’emozione. Una cengia che da lontano appare ardita ora mi guida alla
prima cima, quella a destra, che appare la più ardita, ma con sorpresa in pochi
passaggi mi ritrovo sulla solitaria vetta insieme al fido Magritte. Il
paesaggio è degno di un volo di rapace, sosta breve, perché sento il richiamo
dell’altra cima. Ridiscendo, brevi
passaggi delicati ma non impegnativi e ripercorro a ritroso la cengia. A primo
acchito mi sento soddisfatto, sto per abbandonare l’impresa e contentarmi, ma
una voce mi chiama, è la seconda cima, non comprendo subito da dove posso
avvicinarmi a lei, la voce viene da un canalone, in alto scorgo qualcosa che
somiglia a un ometto, con il fido risaliamo fino a fermarci al centro dove convergono
altri due canalini. Quale canalino percorrere, quale è quello conveniente?
Risalgo quello a sinistra, facile, ma sbuca nel vuoto, a destra ho una parete
di secondo grado e più, ridiscendo, convinco Magritte ad aspettarmi stavolta procedo
a destra, paretina articolata ed esposta con passaggi di primo grado più, sto
sospeso con le gambe in bilico su labili appoggi, cercando una soluzione, nel
frattempo la bandana spinta dal vento si diverte a coprirmi la visione. Ridiscendo
e riprovo l’altro canalino, e poi ritorno su questo, stavolta il passo è
sicuro, primo salto superato, più un secondo di seguito, mi ritrovo al di sopra
mentre un’ampia fessura mi incute timore, in caso di caduta mi porterebbe nel
mondo dell’eterno silenzio.
Provo
adrenalina allo stato puro, salgo, trovo degli ometti guida, bene non ho osato
invano. Mi piego lievemente con le gambe e cammino sull’incrinata parete finale
destreggiandomi tra l’infido ghiaino, in alto dei grossi massi mi indicano che le
mie fatiche stanno per ricevere una degna ricompensa. Raggiunta la cima mi
aspetta un misero e minimalista rametto a simboleggiare che per la conquista
dell’ardita signora non riceverò ne oro ne medaglie, ma solo gloria.
Mi metto al
centro dei massi, cercando in essi una comoda posizione e rifugio, fatta! Ho toccato
il cielo, che gioia, tutto mi sembra così piccolo da quassù, anche l’attiguo
Siera; che meraviglia, mi diletto a sporgermi per dimostrami che il vuoto non
fa paura alle anime pure. Apro la cassettina del libro di vetta, avvolto nella
plastica trasparente trovo un piccolo taccuino, l’ultimo viandante le ha fatto
visita di cortesia più di un anno fa. Improvviso un autoscatto, video, e poi
dovrei scendere e raggiungere in basso il mio compagno, ho quasi lasciato la
vetta che…
Ritorno indietro
convinto di non aver fatto abbastanza foto, per poi scoprire a casa che ho
esagerato. Sento la mano delicata e
sincera della montagna, che non vuole lasciarmi andar via, come il vero amante
dovrebbe una volta scoperto l’amore. Ora non ho dubbi, la seconda cima è l’amor
sacro che si concede a pochi e solo per amore. Con calma procedo a ritroso, e
deliziando il viandante, ripasso le manovre di alpinismo base, saggiando la
roccia e cercando le prese sicure.
Raggiunto Magritte, lo abbraccio e bacio, lui
mi guarda stranito, la coda che scodinzola svela il piacere di avermi
ritrovato. Ora felici e baldanzosi, scendiamo giù a recuperare lo zaino, ammiro
le due vette con lo sguardo dell’amante che ha da poco dispensato il suo amore con
corpo e anima.
Recuperato
lo zaino con il suo carico prezioso, ci dedichiamo al piacere ludico del
nutrimento, sospesi sul dorato prato, con la mente carica di autostima, tale da
fare apparire le rocce sotto cui passeremo tra poco, archi di trionfo.
Ripreso il
cammino, so bene che sarà lungo, tanto lungo da riportarmi con i pensieri anche
al giorno prima. Metà del percorso che ho disceso non lo ricordo, so solo che
un uomo è rinato lassù in cima, ora sono più forte e determinato, pronto ad
affrontare la giusta via verso quel bene irraggiungibile che chiamiamo
felicità. Mi sono munito di corazza idonea a resistere agli incantesimi, un
mondo nuovo mi attende, con tanta luce da rendere dolci e soavi i momenti in
cui mi abbandono all’amore, finalmente ho ritrovato il mio Santo Graal. Il mio
passo lento ma sicuro mi accompagna sino alla riva del Piave, raggiunta l’auto
mi prendo cura del corpo dandogli la giusta ricompensa per avermi portato sulla
luna. Mentre il tramonto si diverte a dipingere di rosso il cielo, lo sguardo è
rapito dalle dee che corrono approfittando dell’imbrunire, le fanciulle si fanno
belle per Giove e altri dei. È vero, l’amore è il motore dell’universo, e questo
lo sanno anche le divinità. Carico ed entusiasta rientro, guidando l’auto che
ora mi par d’essere un puledro grigio. Ritorno a valle con le risposte che
cercavo, con una cima conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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