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venerdì 26 ottobre 2018

Cima Dieci (2151 m.) da Cima Sappada.

Cima Dieci (2151 m.) da Cima Sappada.
Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche- Gruppo Terze-Clap
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo- Villa Santina-  Ovaro-Rigolato-Cima Sappada presso parcheggio funivia.
Località di partenza: parcheggio funivia presso Cima Sappada.

Dislivello: 1220 m.


 Dislivello complessivo: 1220 m.


Distanza percorsa in Km: 15 chilometri.


Quota minima partenza: 1276 m.

Quota massima raggiunta: 1251 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti con forte senso dell’orientamento.
Segnavia: CAI 321 – ometti e istinto.
Impegno fisico: Medio.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Sì.
Timbro di vetta: C’era, è rimasto il tampone.
Riferimenti:
1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia – Tabacco 01.
2)           Bibliografici:
3)           Internet:
Periodo consigliato: luglio-ottobre.
Da evitare da farsi in: Con presenza di bagnato e ghiaccio.
Condizioni del sentiero: Fino all’imbocco del canalone ben segnato e marcato, poi si procede di istinto.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Consigliati: Ramponcini da erba per il tratto finale
Data: 19 ottobre 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
 
Racconto:

Cima dieci, la cima di Calypso.

Di recente in una delle mie ultime escursioni sono passato davanti al suo cospetto, lei mi guardò, mi invitò, dal mio sguardo notò che ero stregato da un maleficio.

Il suo dolce sorriso privo di inganno mi colpì, a malincuore continuai per la meta prescelta. Da quel giorno il suo volto è rimasto inciso nei miei desideri come la sua veste color smeraldo illuminata da un filo di luce. Con questo seducente ricordo arrivo alla valle, trovando Aurora intenta nell’albeggiare, la mole della bramata alpe domina il cielo, sorge alta e bella e si distingue tra le altre. Una tenue nebbia che sveglia i ricordi mi accoglie a Sappada, la passione non più mite mi consiglia di coprirmi e di affrettare la partenza. Oggi sarò lupo e viaggio con un degno erede, Magritte veglierà sul mio errare, non vorrei essere oppresso ancora da presenze fosche. Parto subito per l’orma che porta gli uomini al cospetto dell’aurea ninfa, ecco, mentre mi districo tra gli abeti penso:<< Perché non dare alla cima un nome di una naiade? >> Ci penserò quando sarò al suo cospetto. Salgo la traccia tra gli aghiformi, scelgo quella più ripida, passando sotto i giganti d’acciaio che muovono il popolo del comodo divertirsi quando i prati sono imbiancati.

Tanto erta è la via ma arrivo in breve nel riparo che porta il nome della cima più alta alle spalle, non c’è segno di passaggio di uomini, tutto in questo luogo appare tormentato e inospitale.

Alzo le braccia al sole, lo ammiro, dandogli il benvenuto e continuo verso la mia destinazione che è così prossima da poterla abbracciare con lo sguardo. Le gocce del pianto delle rocce mi conducono a lei, i poveri ometti ignorati dalla avida distrazione dell’uomo mi implorano di fiorire verso l’empireo, non posso che assecondare questi preziosi compagni di viaggio, e con compiacenza mi dedico a crearli originali, protesi verso l’amore infinito, quello azzurro in cui tutti gli spiriti liberi volano.

Sfilo vicino un’immagine di giovane madre, venerata dalle masse per la perdita di un figlio in croce, mi chiedo che razza è quella umana, che crea una religione intorno al dolore più grande che possa esistere, la perdita di un figlio innocente. Il mio agnosticismo non mi proibisce di aver pietà per il visionario profeta e immedesimandomi a uno dei malfattori che mori con lui in croce, in segno di pietà gli offro un ignoto sasso.

Pochi metri dopo la nicchia sacra si apre a destra un grande canalone, come un imbuto rovesciato si incunea tra la mia passione e la Cresta del Pettine. Un esiguo ometto mi indica di lasciare la via sicura e avventurarmi nello scosceso e ripido pendio. Miro in alto, dove le due creste sembrano sposarsi, salgo zizzagando finché compaiono gli amici ciottoli che mi guidano. Il cammino è ripido e faticoso, il sole non riesce a penetrare la fredda valle. Mi porto in alto al canale che devia a destra, gli ometti svaniscono ma la via è chiara, mi porto sotto i placidi gendarmi. Questo luogo dovrebbe essere tetro, ideale per un’arpia, ma essa è trapassata, trafitta dalla sua stessa ipocrisia.

Paradossalmente le bigie ombre mi paiono calde, non le temo, anzi, ne sento il calore e il destino della ventura che sta per compiersi.

Sosto sotto un enorme macigno, una goccia color scarlatto mi indica che la via è leale, abbandono lo zaino del medesimo colore della goccia e dopo aver ferrato gli scarponi e munito la sacca, riparto.

Il mio fido vorrebbe rientrare a valle e rinunciare all’impresa, lo rincuoro, gli dico che il regno delle ombre sta per finire e presto verrà ad accoglierci la luce. Altri segni del colore del fuoco mi guidano a una piccola e esile cengia percorribile dagli dei. Non sono timoroso e così il lupo con il fedele amico volano sulla roccia, raggiungendo i beatificati mughi che dividono le ombre dalla luce, la notte dal giorno, la morte dalla vita. Come in un trapasso simile alla nascita entro nella nuova vita, dove i prati sono filamenti d’oro e la roccia rispecchia il bianco lucente. Non scorgo ometti, in questo regno è preclusa a loro la vita, senza perdermi d’animo mi faccio condurre dallo spirito guida. Continuo a essere predatore e cerco tra i fili d’oro il passaggio di altri viandanti, lasciandomi ispirare dall’istinto. Metro dopo metro mi spingo verso la bianca roccia che divide le due vie, scelgo quella a sinistra, le dolomitiche e gotiche cuspidi mi guidano. Nelle mie braccia il pelo grigio si dissolve nell’aria, sento pizzicare le carni e dai pori fuoriuscire piccole piume, da lupo sto per divenire aquila, la cima ora è vicina, la sento.

Aggiro la bianca roccia, trovando ancora prati più ripidi, tali da ascendersi in verticale, così conquisto la cresta e cerco il sogno. La visione delle vicine altezze mi incanta, vorrei arrestarmi e librarmi in volo, alla mia destra intravedo un altare bianco che spicca tra gli smeraldini mughi e un cielo dalle tinte lapislazzuli, è la sospirata meta.

Pochi passi ed eccomi in paradiso, ho raggiunto Calypso, si, così battezzo la meravigliosa regina dai tratti granitici e dal cuore sincero.  Mentre mi appresto a iniziare i rituali di ringraziamento mi accorgo di aver smarrito Magritte, eppure lo avevo al guinzaglio che tenevo alla cintola dei pantaloni. Lo chiamo invano cercando anche nel pauroso vuoto del baratro, torno indietro sui miei passi seminando al cielo il suo nome, mentre sto perdere le speranze penso a un altro maleficio della megera. Per buona sorte ritrovo l’amico occultato tra i verdi mughi, pronto a rientro, lo invito a seguirmi sull’altare e presenziare al rito magico. Passata la paura mi godo l’infinito, Calypso è avvenentissima, da essa il mondo appare ancora più incantevole, e poi ella emana tanta luce, sto vivendo un sogno che vorrei condividere con tutte le anime libere.

Vesto le ali di aquila, mi dilungo in tutto, vorrei lasciarmi andare al volo librando lo spirito. Osservo gli adiacenti amore sacro e profano, mi rendo conto di quanto la “Grande Signora”, mi ami, concedendomi parte di sé.

Le sono grato, essendo povero posso solo donarle i miei occhi cerulei e il cuore, le mie ginocchia sono testimoni di quanto l’amo, e il claudicare del ritorno ne sarà una prova. Tutte le storie hanno un inizio e una fine; prima di scendere le dedico una frase sul libro di vetta, paragonando la sua avvenenza a una danza, dove per magia si compie la sublimazione delle gesta. Termina la visita alla ninfa, con il cuore saziato di emozioni, io e l’amico ci approntiamo alla discesa per il prato dorato sino alla fredda valle. Una volta recuperato lo zaino ci spingiamo verso la luce, giocando come birbantelli nel canalone, lasciamo la retta via per scivolare tra le ghiaie; c’è tanta complicità con l’amico a quattro zampe, e mi par di scorgere un sorriso dalla sua espressione.

Raggiunto il cumulo si sassi che fa da guardiano alla valle, ci indirizziamo sulla via del ritorno, gli ometti salutano il nostro passaggio, sfoggiando l’inaudito equilibrio degli arditi ciottoli. Raggiunto il rifugio, adagio l’armamentario a terra, mi siedo su una panca posta a guardia del creato e con il compagno ci dedichiamo a al nutrimento per poi riprendere la ripida discesa verso il mezzo di trasporto.

La magnificenza del giorno ci vizia, durante il viaggio di ritorno non nego di aver sognato ad occhi aperti e di aver dato un volto a Calypso, la fantastico bionda  dagli occhi color acqua cristallina, e tra le varie fantasie credo di aver fatto l’amore con lei, dove le acque confluiscono verso il sacro fiume agli dei. 

Le gocce dell’amore sono scese dalla cima incanalandosi nelle arterie della montagna sino a giungere al greto. Tutto è possibile quando lo credi, ma se adopero l’inganno, potrei svegliarmi in una fredda cella e scoprire che sono solo, e quando non ho risposte per il sole, rifugiarmi in tristi sensazioni come il chiudere gli occhi alla realtà e sentirmi mancare. Oggi il viandante è stato baciato dalla luce, i filamenti d’oro dei larici catturati mi tengono compagnia nel viaggio del ritorno, rientro con un nuovo amore conquistato e una nuova storia da raccontare.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.







































































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