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giovedì 13 settembre 2018

Anello del monte Zabus dai Piani del Montasio.



Anello del monte Zabus dai Piani del Montasio.

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Giulie-Gruppo del Montasio.

Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Cornino- Osoppo-Gemona- Chiusaforte-Val Raccolana-Sella Nevea- Seguire Indicazioni per i piani del Montasio-Ampio parcheggio.

Località di Partenza: Piani del Montasio



Dislivello: 800 m.





 Dislivello complessivo: 915 m.





Distanza percorsa in Km: 14 chilometri.





Quota minima partenza: 1502 m.



Quota massima raggiunta: 2247 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.

In: Coppia.



 Tipologia Escursione: Escursionistica-selvaggia.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escuresionisti Esperti.

Segnavia: CAI 622.

Impegno fisico: Medio.

Preparazione tecnica: Media.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si (impiantato da Roberto Fabbro)

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                 Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019

2)                 Bibliografici:

3)                 Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Da evitare da farsi in: Con terreno bagnato o ghiacciato.

Condizioni del sentiero: Ben marcato e affollato fino alla forca dei Disteis, poi si prosegue su tracce di camoscio.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Consigliati: Ramponcini da erba.

Data: Domenica 09 settembre 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Racconto:

Dopo una lunga attesa e una serie di promesse, finalmente arriva il giorno tanto atteso, il ritorno ai piani del Montasio. Mancavo da anni da questo magico spazio, nel frattempo mi limitavo a leggere e ammirare le escursioni degli amici in zona.  Il ragguardevole motivo di questo ritorno è una cima, dal nome particolare, Zabus.

Montagna dalla forma semicircolare, appare come uno spicchio di luna adagiato sui prati della nota località montana. Altro motivo della visita di cortesia, e per questo non meno importante, è la correzione di un metro della quota, scritta dall’amico Roberto sul diario di vetta, istallato appena undici mesi fa.

Il giorno dell’escursione il cielo è di un terso incredibile, oggi compagna di avventura sarà la mia consorte, da tempo per vari motivi non calzava gli scarponi, e questa cima è l’ideale per riprendere alla grande con la montagna. Durante il tragitto abbiamo modo di ammirare la pianura friulana e le cime circostanti, che man mano che ci avviciniamo alla meta si spogliano dei loro misteri.

Arrivati ai piani del Montasio, malgrado sia mattino presto troviamo già un pieno di automezzi, a fatica ottengo uno spazio dove lasciare l’auto. Tutto intorno è un brulicare di escursionisti di svariate nazionalità, questo non mi sorprende, mi trovo nel teatro naturale più seducente del Friuli. La via da seguire non è difficile, puntiamo a nord-ovest, in direzione  della Forca dei Disteis, senza dedicarci a un preciso sentiero.

Passiamo in mezzo a una mandria intenta a brucare, accarezzo una mucca, che timidamente si lascia avvicinare dalla mia mano, ho sempre avuto un’attrazione particolare per le vacche, da bimbo abitavo difronte a una stalla, e di mattino la mamma mi mandava (bottiglia alla mano) a prendere il latte fresco. Anche l’odore degli escrementi delle cornute non mi è sgradito, anzi, mi riporta in un tempo dove erano più i quadrupedi che i mezzi a motore a transitare per le strade, e ancora ad altri mille ricordi, come le prime fughe per i campi in fiore.

Seguiamo il canalone, e sempre per tracce di passaggio, incrociamo il primo sentiero CAI, mi fermo ad osservare i magnifici bastioni del Montasio, ammiro la regina delle Giulie e amandola con lo sguardo le canticchio un noto motivetto: << Ancora tu non mi sorprende lo sai
ancora tu ma non dovevamo vederci più?
E come stai? Domanda inutile
Stai come me e ci scappa da ridere…

Staziono un attimo sul sentiero ufficiale, scruto nelle opposte direzioni di provenienza. Il continuo vociare preannuncia l’avanzata delle orde barbariche, dirette al vicino Montasio; la mia esternazione non vuole essere una critica, presto anch’io dovrò associarmi nella medesima impresa, ma oggi il programma è ben altro.

L’unico disappunto è, che in pochi salutano, soprattutto i giovani, malgrado noi per primi diamo l’esempio. Sono tempi duri, penso, tempi duri anche in montagna, “Rispetto” ed “Educazione” non sono più peculiarità di cui vantarsi; ma pochi metri dopo mi contraddico.

Mi chiedo come ero da ragazzo, e la risposta è inopportuna, non ero migliore! Un’iconoclasta che vedeva negli adulti il pericolo maggiore, il muro da abbattere a tutti i costi.

Arrivati nei pressi della forca dei Disteis, deviamo bruscamente a sinistra, pestando una labile traccia, che in pochi metri si invola sulle rocce esposte che precedono la prima elevazione del Curtissons. Si procede mirando a una via immaginaria per ripidi prati verdi, guadagniamo velocemente la cima del Curtissons, per poi riperdere quota fino a raggiungere la Forca bassa.

Il silenzio regna sovrano e accompagna i nostri passi, avanziamo a intuito. Lo sguardo è stregato dal versante settentrionale del monte Zabus, verticale e vertiginoso come un filo a piombo, ci incute timore e con timidezza ci avviciniamo al margine del precipizio, provando l’emozione irresistibile del vuoto.

Una traccia terrosa parte dalla forca, come se un plotone di escursionisti si fosse messo in marcia nella stessa direzione, la seguiamo, anche se è molto insidiosa per via della scivolosità. Guadagniamo quota velocemente, la meta ora è più vicina, presso un avvallamento lasciamo gli zaini, liberatoci del loro peso voliamo per gli ultimi metri che precedono la vetta. Un passaggio leggermente esposto ci accompagna sulla cresta finale, la percorriamo con devoto silenzio, misurando i passi felpati.

 Poco sotto la vetta do la precedenza alla mia signora, lasciandole l’onore della conquista. Percepisco la sua sensibilità, successivamente mi confesserà che tale emozione le ha fatto scaturire una lacrima. Pochi secondi dopo arrivo anch’io in cima, accarezzo l’ometto e mi guardo intorno; il mirabile paesaggio mi fa scoppiare il cuore di gioia, mi concedo ai raggi del sole, per poi dedicarmi alle mie consuete operazioni in vetta.  

Estrapolo dall’ometto la cassettina in metallo dove Roberto ha posto il libricino, le pagine sono umide e i sacchetti di plastica biologica non hanno retto, correggo l’errore di quota, e a fatica appongo la mia firma sulla paginetta. Il piccolo libricino segna solo sette presenze dalla sua installazione, è proprio una montagna poco frequentata, e questo è anche la sua fortuna; tanto selvaggia, malgrado la vicinanza fisica a una delle vette più bazzicate della regione.

 Lego la bandierina degli “spiriti liberi” al bastoncino da trekking, e dopo, ozio sull’esposto precipizio, ad ammirare le lontane cime.

Giovanna mi chiede se c’è rischio che salga qualcuno, gli rispondo che è improbabile. <<Allora posso spogliarmi nuda?>> <<Certo che sì, mi sembra una buona idea, è la cima ideale.>> Detto fatto, in pochi minuti si denuda adagiando gli abiti accanto agli scarponi e si pone in posa vicino all’ometto, allungando le braccia verso il sole, come un battere d’ali di gabbiamo. La immortalo con una serie di scatti, dopo si riveste, percepisco le intense emozioni che ha provato. Il liberarsi dagli abiti amplifica un certo tipo di suggestioni, le inibizioni non fanno parte dell’eros, è bellissimo perdersi in questo incantesimo.

Anch’io ero sul punto di spogliarmi, avevo già sganciato la cintura dei pantaloni, poi ho desistito, oggi non era il mio turno. Ho molto gradito l’episodio che tanto mi ricorda i riti delle sacerdotesse dell’eros nell’antica Erice punica; il mito e il culto della divinità femminile di Astante, che presso i romani assunse il nome di Venere.

Ripresi dall’infinità di emozioni, affrontiamo il ritorno, mirando alle lontanissime vacche che si sollazzano all’ombra dei bastioni del Montasio. Dalla forca Bassa traccio una linea immaginaria che presto mi porta al ridosso dei piani, solo una leggera deviazione per superare un salto. Le piste di camoscio ci conducono in basso, da dove ammiriamo le strane forme della roccia corrosa dall’incedere millenario del tempo. Raggiunto il sentiero principale, lo tagliamo, mirando sempre alla mandria, pochi metri prima del sentiero che porta direttamente al rifugio G.di Brazzà.

Superata l’ultima mucca, presso un cespuglio con alberello dall’ombra refrigerante, effettuiamo la sosta ristoratrice.

Qualsiasi cosa abbia messo nello zaino, per la fame è sicuramente di un buono, che più buono non si può. Stavolta a sorpresa tra le cibarie ho inserito una birra, che la borsa termica ha mantenuto fresca, la sempre più costante frequenza degli amici veneto-friulani mi ha convertito al dio Bacco.

Fatta compagnia ai ruminatori adiacenti, ci apprestiamo a fare visita al glorioso rifugio, poche centinaia di metri e siamo dinanzi suo cospetto. Ho voglia di una mega porzione di strudel, adagiamo gli zaini sulla terrazza panoramica, e tra gli escursionisti una voce mi chiama: <<Malfa, speravo prima o poi di incontrarti! >> È Daniela, una di noi, uno spiritello libero, che in solitaria viaggia per le vie dei monti. La lascio pochi attimi in compagnia della mia consorte, vado a ordinare il dolce. Dall’interno del rifugio ammiro con gioia la laboriosità del personale, è cosa buona e giusta spendere qualche spicciolo nei rifugi, se non vogliamo la loro definitiva chiusura.

Ritornato in terrazza, e dopo aver consumato lo strudel, ci avviamo al rientro, salutiamo Daniela, così ci avviamo al parcheggio auto.

Durante le naturali operazioni di ordinaria ricomposizione fisica (liberare i piedi dagli scarponi), osservo gli escursionisti, chi va e chi rientra, alcuni appaiono come antichi cavalieri che ritornano da imprese immani: belli, forti con armature luccicanti; altri sembrano i loro scudieri: goffi e dimessi nell’aspetto.

Quanta è buffa l’umanità, ma come si può non amarla, siamo tutti figli figlio di un Dio, maggiore o minore che sia, facciamo parte tutti della stessa razza, e oggi abbiamo amato la stessa Dea, la Montagna.

Il forestiero Nomade.

Malfa.






































































































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