Anello del
monte Zabus dai Piani del Montasio.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie-Gruppo del Montasio.
Avvicinamento:
Lestans- Pinzano-Cornino- Osoppo-Gemona- Chiusaforte-Val Raccolana-Sella Nevea-
Seguire Indicazioni per i piani del Montasio-Ampio parcheggio.
Località di Partenza:
Piani del Montasio
Dislivello: 800
m.
Dislivello complessivo: 915 m.
Distanza
percorsa in Km: 14 chilometri.
Quota minima
partenza: 1502 m.
Quota
massima raggiunta: 2247 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In: Coppia.
Tipologia Escursione: Escursionistica-selvaggia.
Difficoltà: Escuresionisti Esperti.
Segnavia: CAI
622.
Impegno
fisico: Medio.
Preparazione
tecnica: Media.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si (impiantato da Roberto Fabbro)
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Da evitare
da farsi in: Con terreno bagnato o ghiacciato.
Condizioni
del sentiero: Ben marcato e affollato fino alla forca dei Disteis, poi si
prosegue su tracce di camoscio.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Consigliati:
Ramponcini da erba.
Data: Domenica
09 settembre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Dopo una
lunga attesa e una serie di promesse, finalmente arriva il giorno tanto atteso,
il ritorno ai piani del Montasio. Mancavo da anni da questo magico spazio, nel
frattempo mi limitavo a leggere e ammirare le escursioni degli amici in zona. Il ragguardevole motivo di questo ritorno è
una cima, dal nome particolare, Zabus.
Montagna
dalla forma semicircolare, appare come uno spicchio di luna adagiato sui prati
della nota località montana. Altro motivo della visita di cortesia, e per
questo non meno importante, è la correzione di un metro della quota, scritta
dall’amico Roberto sul diario di vetta, istallato appena undici mesi fa.
Il giorno
dell’escursione il cielo è di un terso incredibile, oggi compagna di avventura
sarà la mia consorte, da tempo per vari motivi non calzava gli scarponi, e
questa cima è l’ideale per riprendere alla grande con la montagna. Durante il
tragitto abbiamo modo di ammirare la pianura friulana e le cime circostanti,
che man mano che ci avviciniamo alla meta si spogliano dei loro misteri.
Arrivati ai
piani del Montasio, malgrado sia mattino presto troviamo già un pieno di
automezzi, a fatica ottengo uno spazio dove lasciare l’auto. Tutto intorno è un
brulicare di escursionisti di svariate nazionalità, questo non mi sorprende, mi
trovo nel teatro naturale più seducente del Friuli. La via da seguire non è
difficile, puntiamo a nord-ovest, in direzione della Forca dei Disteis, senza dedicarci a un
preciso sentiero.
Passiamo in
mezzo a una mandria intenta a brucare, accarezzo una mucca, che timidamente si
lascia avvicinare dalla mia mano, ho sempre avuto un’attrazione particolare per
le vacche, da bimbo abitavo difronte a una stalla, e di mattino la mamma mi
mandava (bottiglia alla mano) a prendere il latte fresco. Anche l’odore degli
escrementi delle cornute non mi è sgradito, anzi, mi riporta in un tempo dove
erano più i quadrupedi che i mezzi a motore a transitare per le strade, e ancora
ad altri mille ricordi, come le prime fughe per i campi in fiore.
Seguiamo il
canalone, e sempre per tracce di passaggio, incrociamo il primo sentiero CAI, mi
fermo ad osservare i magnifici bastioni del Montasio, ammiro la regina delle
Giulie e amandola con lo sguardo le canticchio un noto motivetto: << Ancora
tu non mi sorprende lo sai
ancora tu ma non dovevamo vederci più?
E come stai? Domanda inutile
Stai come me e ci scappa da ridere…
ancora tu ma non dovevamo vederci più?
E come stai? Domanda inutile
Stai come me e ci scappa da ridere…
Staziono un
attimo sul sentiero ufficiale, scruto nelle opposte direzioni di provenienza. Il
continuo vociare preannuncia l’avanzata delle orde barbariche, dirette al
vicino Montasio; la mia esternazione non vuole essere una critica, presto anch’io
dovrò associarmi nella medesima impresa, ma oggi il programma è ben altro.
L’unico
disappunto è, che in pochi salutano, soprattutto i giovani, malgrado noi per
primi diamo l’esempio. Sono tempi duri, penso, tempi duri anche in montagna, “Rispetto”
ed “Educazione” non sono più peculiarità di cui vantarsi; ma pochi metri dopo
mi contraddico.
Mi chiedo come
ero da ragazzo, e la risposta è inopportuna, non ero migliore! Un’iconoclasta
che vedeva negli adulti il pericolo maggiore, il muro da abbattere a tutti i
costi.
Arrivati nei
pressi della forca dei Disteis, deviamo bruscamente a sinistra, pestando una
labile traccia, che in pochi metri si invola sulle rocce esposte che precedono
la prima elevazione del Curtissons. Si procede mirando a una via immaginaria per
ripidi prati verdi, guadagniamo velocemente la cima del Curtissons, per poi riperdere
quota fino a raggiungere la Forca bassa.
Il silenzio
regna sovrano e accompagna i nostri passi, avanziamo a intuito. Lo sguardo è stregato
dal versante settentrionale del monte Zabus, verticale e vertiginoso come un
filo a piombo, ci incute timore e con timidezza ci avviciniamo al margine del
precipizio, provando l’emozione irresistibile del vuoto.
Una traccia
terrosa parte dalla forca, come se un plotone di escursionisti si fosse messo
in marcia nella stessa direzione, la seguiamo, anche se è molto insidiosa per
via della scivolosità. Guadagniamo quota velocemente, la meta ora è più vicina,
presso un avvallamento lasciamo gli zaini, liberatoci del loro peso voliamo per
gli ultimi metri che precedono la vetta. Un passaggio leggermente esposto ci
accompagna sulla cresta finale, la percorriamo con devoto silenzio, misurando i
passi felpati.
Poco sotto la vetta do la precedenza alla mia
signora, lasciandole l’onore della conquista. Percepisco la sua sensibilità,
successivamente mi confesserà che tale emozione le ha fatto scaturire una lacrima.
Pochi secondi dopo arrivo anch’io in cima, accarezzo l’ometto e mi guardo
intorno; il mirabile paesaggio mi fa scoppiare il cuore di gioia, mi concedo ai
raggi del sole, per poi dedicarmi alle mie consuete operazioni in vetta.
Estrapolo dall’ometto
la cassettina in metallo dove Roberto ha posto il libricino, le pagine sono
umide e i sacchetti di plastica biologica non hanno retto, correggo l’errore di
quota, e a fatica appongo la mia firma sulla paginetta. Il piccolo libricino
segna solo sette presenze dalla sua installazione, è proprio una montagna poco
frequentata, e questo è anche la sua fortuna; tanto selvaggia, malgrado la
vicinanza fisica a una delle vette più bazzicate della regione.
Lego la bandierina degli “spiriti liberi” al
bastoncino da trekking, e dopo, ozio sull’esposto precipizio, ad ammirare le
lontane cime.
Giovanna mi
chiede se c’è rischio che salga qualcuno, gli rispondo che è improbabile.
<<Allora posso spogliarmi nuda?>> <<Certo che sì, mi sembra
una buona idea, è la cima ideale.>> Detto fatto, in pochi minuti si
denuda adagiando gli abiti accanto agli scarponi e si pone in posa vicino all’ometto,
allungando le braccia verso il sole, come un battere d’ali di gabbiamo. La
immortalo con una serie di scatti, dopo si riveste, percepisco le intense emozioni
che ha provato. Il liberarsi dagli abiti amplifica un certo tipo di suggestioni,
le inibizioni non fanno parte dell’eros, è bellissimo perdersi in questo
incantesimo.
Anch’io ero
sul punto di spogliarmi, avevo già sganciato la cintura dei pantaloni, poi ho desistito,
oggi non era il mio turno. Ho molto gradito l’episodio che tanto mi ricorda i
riti delle sacerdotesse dell’eros nell’antica Erice punica; il mito e il culto della
divinità femminile di Astante, che presso i romani assunse il nome di Venere.
Ripresi dall’infinità
di emozioni, affrontiamo il ritorno, mirando alle lontanissime vacche che si
sollazzano all’ombra dei bastioni del Montasio. Dalla forca Bassa traccio una
linea immaginaria che presto mi porta al ridosso dei piani, solo una leggera deviazione
per superare un salto. Le piste di camoscio ci conducono in basso, da dove
ammiriamo le strane forme della roccia corrosa dall’incedere millenario del
tempo. Raggiunto il sentiero principale, lo tagliamo, mirando sempre alla
mandria, pochi metri prima del sentiero che porta direttamente al rifugio G.di
Brazzà.
Superata l’ultima
mucca, presso un cespuglio con alberello dall’ombra refrigerante, effettuiamo
la sosta ristoratrice.
Qualsiasi
cosa abbia messo nello zaino, per la fame è sicuramente di un buono, che più
buono non si può. Stavolta a sorpresa tra le cibarie ho inserito una birra, che
la borsa termica ha mantenuto fresca, la sempre più costante frequenza degli
amici veneto-friulani mi ha convertito al dio Bacco.
Fatta
compagnia ai ruminatori adiacenti, ci apprestiamo a fare visita al glorioso
rifugio, poche centinaia di metri e siamo dinanzi suo cospetto. Ho voglia di una
mega porzione di strudel, adagiamo gli zaini sulla terrazza panoramica, e tra
gli escursionisti una voce mi chiama: <<Malfa, speravo prima o poi di
incontrarti! >> È Daniela, una di noi, uno spiritello libero, che in
solitaria viaggia per le vie dei monti. La lascio pochi attimi in compagnia
della mia consorte, vado a ordinare il dolce. Dall’interno del rifugio ammiro
con gioia la laboriosità del personale, è cosa buona e giusta spendere qualche
spicciolo nei rifugi, se non vogliamo la loro definitiva chiusura.
Ritornato in
terrazza, e dopo aver consumato lo strudel, ci avviamo al rientro, salutiamo Daniela,
così ci avviamo al parcheggio auto.
Durante le naturali
operazioni di ordinaria ricomposizione fisica (liberare i piedi dagli scarponi),
osservo gli escursionisti, chi va e chi rientra, alcuni appaiono come antichi
cavalieri che ritornano da imprese immani: belli, forti con armature luccicanti;
altri sembrano i loro scudieri: goffi e dimessi nell’aspetto.
Quanta è
buffa l’umanità, ma come si può non amarla, siamo tutti figli figlio di un Dio,
maggiore o minore che sia, facciamo parte tutti della stessa razza, e oggi abbiamo
amato la stessa Dea, la Montagna.
Il
forestiero Nomade.
Malfa.
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