Anello del
Monte Robon da Sella Nevea
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie-Gruppo del Canin.
Avvicinamento:
Lestans- Pinzano-Cornino- Osoppo-Gemona- Chiusaforte-Val Raccolana-Sella Nevea-
trovare sosta nei numerosi parcheggi che precedono la località
Località: di
Partenza: Sella Nevea, piazzale della Funivia.
Dislivello: 1000
m.
Dislivello complessivo: 1000 m.
Distanza
percorsa in Km: 14 chilometri.
Quota minima
partenza: 1143 m.
Quota
massima raggiunta: 1976 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 6 ore.
In: Solitaria.
Tipologia: Storico Escursionistica
Naturalistica.
Difficoltà: Escursionistica, tranne brevi tratti dove fare
attenzione agli inchiottitoi carsici
Segnavia: CAI
636-637.
Impegno
fisico: medio.
Preparazione
tecnica: Medio bassa.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre.
Da evitare
da farsi in: In condizioni di bagnato.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato, dal bivacco Modonutti Savoia, molto
accidentato
Fonti
d’acqua: nessuna
Consigliati:
Data: martedì
11 settembre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
La montagna
d’estate ti svela gli angoli più misteriosi, solchi e fioriture che d’inverno
non riesci a neppure a immaginare, essa ti chiama per mostrarti il suo prezioso
scrigno, la sua veste più bella, piega per piega, centimetro per centimetro. Oggi avevo in programma una di queste perle,
ben studiata a tavolino, ma la notte precedente ho avuto un sogno premonitore
non positivo, mi sono svegliato pronto a cambiare meta. Parto per Sella Nevea,
il cielo è stupendo e terso, come lo sono le giornate settembrine. Risalgo la
Val Raccolana senza aver sciolto il dubbio, vado avanti, ma proprio sotto i
tornanti che precedono le gallerie la strada è sbarrata da una piccola frana,
alcuni metri di muri perimetrali hanno ceduto, nulla di pericoloso, vado avanti
lo stesso.
Mi fermo un
attimo presso lo spiazzo della funivia di Sella Nevea, nel frattempo altri
villeggianti provenienti dalla Val Raccolana hanno avuto la mia stessa idea.
Spero che al rientro le maestranze avranno rimesso tutto a posto, non vorrei
rientrare per il lago di Predil.
Continuo
verso la meta che avevo previsto, ma non sono sereno, mi fermo a cavallo della
Sella di Nevea, mi guardo intorno, e mi viene in mente il monte Robon, cerco
notizie utili sul web, scaricate le informazioni, cambio meta, farò l’anello
del monte Robon.
Lascio
l’auto nel parcheggio superiore della località, inizierò l’anello in senso anti
orario, partendo dall’impianto di funivia. Subito dopo le sbarre dell’impianto
sciistico, piuttosto che seguire il sentiero 636 , imbocco la pista sciistica,
e faticosamente la risalgo, guadagno quota, ma quanta fatica. Ad un tratto
sento un rombo di motore provenire dal basso, è un PK, appena il mezzo è
vicino, faccio un cenno con la mano, il conducente accoglie la richiesta, ferma
il mezzo e mi invita a salire a bordo, dandomi uno strappo. Memore delle belle
escursioni in terra marchigiana, butto lo zaino e i bastoncini nel cassone
posteriore e salgo a bordo.
Mi presento,
l’autista ha uno strano accento, si chiama Pietro, abita a Sella Nevea, ma i
miei dubbi rimangono, quello strano accento mi ricorda qualcosa. Nel frattempo,
la jeep risale la pista forestale, anche le cabine della funivia cominciano a
volteggiare. Nel corso della conversazione, scopro che Pietro è un bergamasco che
da dieci anni vive in Friuli, la sua compagna è friulana, di Chiusaforte. Ecco
svelato l’arcano, il simpaticissimo amico lavora per la ditta delle funivie,
per esperienza personale i bergamaschi sono dei gran lavoratori, non stanno mai
fermi, qualcosa trovano sempre da fare.
L’automezzo
arrancando per la forte pendenza arriva ai piani superiori e si ferma a pochi
metri dal rifugio Giberti. Pietro mi accompagna fino all’imbocco del sentiero
637, e simpaticamente ci facciamo un selfie. Salutato l’amico, attacco da
subito il sentiero, che mostra le sue peculiarità. Percorro un territorio
completamente carsico, roccia scolpita, dalle mille forge. La direzione è
semplice, mirare da occidente a oriente, penso al caso che ha voluto farmi
cambiare l’itinerario, la bellezza del luogo che sto esplorando ne sarebbe un
valido motivo. La traccia da seguire è segnata CAI, ma i segni sono sparsi
ovunque.
La conformità
della roccia è varia, passo dall’equilibrismo sulle lisce rocce, a saltellare
come un grillo su quelle affioranti e taglienti, alcuni tratti sono delle
autentiche cenge, dove devo stare attento alle esposizioni. La meta ancora non
è in vista, gli unici monti di riferimento sono il monte Poviz e il colle Lopic
a oriente, mentre alle spalle domina il massiccio del Canin.
Dopo una
serie di rientranze, il terreno pur mantenendo la sua conformità carsica si fa
più agevole, passo vicino una serie di baraccamenti militari risalenti al primo
conflitto mondiale, per poi raggiungere la prima serie di cartelli CAI.
Stavolta percorro una bella larga mulattiera, chiaramente carreggiabile, che mi
porta fino alla sella che precede il monte Poviz.
Finalmente riesco a intravedere il Robon, devo
perdere quota e percorrere un sentiero di ghiaino fino a raggiungere il catino inferiore
da dove risalgo attraverso una serie di tornanti, fino alla sella Robon.
Il sentiero
si mantiene più o meno in quota, dal basso intravvedo un puntino rosso che è il
bivacco Modonutti Savoia. Al centro del
catino di ghiaie trovo un’altra segnaletica, al ritorno rientrerò per questa
diramazione che porta lo stesso numero (637) del sentiero che sto percorrendo.
Risalgo gli ultimi tornanti, notando una serie di acquartieramenti, sicuramente
sede di un comando militare. I lunghi tornanti rendono dolce l’ascesa, una
lieve, erosa ed esposta traccia, sfiorando i ruderi mi accompagna al simpatico
bivacco. L’acceso color rosso del riparo, illuminato dai raggi del sole, è un
autentico inno alla gioia. Visito l’interno del piccolo bivacco, non ci sono libri
per visitatori da firmare, richiudo il locale con cura cercando la via di
accesso alla vetta.
Da dietro il bivacco, a oriente, mi sembra di
scorgere una traccia, la seguo, erroneamente mi porta in un universo
fantastico, filamenti di roccia che volano su profondissime cavità carsiche.
Cosciente di aver errato, ritorno al bivacco. Mentre cerco la via di accesso
alla vetta sento delle voci provenire dal basso, cavolo! È finita la pacchia,
trattasi di un gruppo chiassoso, spero che si perdano o cambino meta all’ultimo
momento. Tra le erbacce a occidente, scopro un ometto, e poi un altro ancora,
seguo la traccia, in un batter d’occhio mi ritrovo a risalire la parete
rocciosa, in alcuni tratti è scalinata, in altri devo saltare da roccia a
roccia, districandomi tra le cavità carsiche.
Una sfilza
di ometti mi conduce in cresta, ossia al margine di un labirinto carsico, dove le
mostruose cavità sembrano fauci pronti a inghiottire i malcapitati. La maggior
parte degli ometti si spinge a oriente, a occhio nudo la cima più alta è quella
sinistra, ricoperta di mughi, ma come arrivarci? Ci provo per il sentiero con
più ometti (quello di destra), mi arresto su un enorme masso, ci salgo sopra, osservando
dall’alto il sentiero sembra proseguire, ma dovrei calarmi di pochi metri. Ritorno
indietro, scendendo anche in basso, nulla!
Nessun segno o ometto. Risalgo, stavolta provo a seguire gli ometti di sinistra,
cavolo, sono super esposto nel vuoto, e poi chissà se sbuca. Ritorno sui miei
passi, stavolta risalendo sul masso iniziale, una traccia porta oltre, e noto una
sorta di passerella in legno crollata. Scendo giù, lentamente mi spingo sul
filo del baratro, e con cautela metto un piede oltre, segue il secondo, bene,
fatta! Sospiro di sollievo, proseguo. Seguo la fila di ometti che mi conduce a
un pulpito, trovo un ometto, dei fiori in plastica cementati e una staffa in
metallo color ruggine. Vuoi vedere che questa è la vetta? Si è la vetta, quella
per i comuni mortali. Provo ad andare avanti per quella effettiva, ma mi devo arrendere,
le vie scompaiono nell’aria, e davanti a me percepisco abnormi voragini, mi
contento di quella ufficiale.
Appuro sul GPS
di essere quattro metri al di sotto della cima reale. Sgancio lo zaino e mi
concedo alla contemplazione, il paesaggio è a dir poco strepitoso, sono avvolto
dalle Alpi Giulie: il Canin a meridione e a settentrione la magnifica catena
montuosa, che dal Cimon del Montasio si spinge fino al cupolone del Mangart.
Devo fare
l’autoscatto, posiziono l’apparecchio fotografico su un ometto improvvisato, vado
su e giù, e ascoltando i bip del marchingegno dell’autoscatto, mi metto in posa,
naturalmente indice e medio della mano destra a V.
Nel
frattempo il silenzio dorato è interrotto da un serie di voci: una è stridula e
capricciosa, le altre calde e accomodanti, si tratta di una tizia e di tre
tizi. La tizia, fa i capricci, non vuole andare avanti, ha fame e si è arresta
poco prima del punto esposto. La maggioranza silenziosa si adegua al volere e
si ferma, in formazione intorno al medesimo punto. Il gruppo mi vede saltellare
da un masso all’altro, capisco che loro mi prendono per matto non riuscendo a
intuire che sto adoperando l’autoscatto della reflex. In loro aiuto interviene la
tizia, rendendoli edotti che (secondo lei) sto effettuando un selfie. Si dice
autoscatto, vorrei commentare, ma mi conviene tacere e togliere le tende per
rientrare. Ripasso da dove sono passato in precedenza, e all’imbocco del punto
critico trovo le fresche bucce di una mela, mah! Potevano trovare una locazione
migliore, ho paura di essere diventato misantropo, in quel gruppo ho visto di
tutto, tranne che l’amore per la montagna. Transitando tra loro (salutando) con
la punta dell’occhio ho rivisto i volti caricaturati di Hieronymus Bosch. La
natura è divina, mi chiedo perché non lo siamo noi umani.
Mi fermo sopra la sella Robon, a consumare qualcosa,
prima di prepararmi per la lunga discesa. Una volta pronto, stringo bene le stringhe
degli scarponi, nelle prossime due ore non mi fermerò; inizio dal catino in
basso, spingendomi a nord per la lunga traversata.
Nel primo tratto di sentiero mi porto sotto le
strapiombanti pareti del Robon e di seguito tra la vegetazione selvaggia,
passando su cengioni esposti, per poi rientrare nel fitto bosco, tramite alcuni
sali scendi che mi portano a incrociare la statale che da Sella Nevea porta al
lago di Predil. Pochi metri ancora e sono arrivato all’auto. Fatta anche
questa, il sole è alto e scalda, con calma mi preparo al rientro, felice e
appagato, anche stavolta la dea montagna mi ha amato, e le sono grato.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento