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venerdì 14 settembre 2018

Anello del Monte Robon da Sella Nevea

 
Anello del Monte Robon da Sella Nevea

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Giulie-Gruppo del Canin.

Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Cornino- Osoppo-Gemona- Chiusaforte-Val Raccolana-Sella Nevea- trovare sosta nei numerosi parcheggi che precedono la località

Località: di Partenza: Sella Nevea, piazzale della Funivia.



Dislivello: 1000 m.





 Dislivello complessivo: 1000 m.





Distanza percorsa in Km: 14 chilometri.





Quota minima partenza: 1143 m.



Quota massima raggiunta: 1976 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore.

In: Solitaria.



 Tipologia: Storico Escursionistica Naturalistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistica, tranne brevi tratti dove fare attenzione agli inchiottitoi carsici

Segnavia: CAI 636-637.

Impegno fisico: medio.

Preparazione tecnica: Medio bassa.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)            Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019.

2)            Bibliografici:

3)            Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre.

Da evitare da farsi in: In condizioni di bagnato.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato, dal bivacco Modonutti Savoia, molto accidentato

Fonti d’acqua: nessuna

Consigliati:

Data: martedì 11 settembre 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

Racconto:
La montagna d’estate ti svela gli angoli più misteriosi, solchi e fioriture che d’inverno non riesci a neppure a immaginare, essa ti chiama per mostrarti il suo prezioso scrigno, la sua veste più bella, piega per piega, centimetro per centimetro.  Oggi avevo in programma una di queste perle, ben studiata a tavolino, ma la notte precedente ho avuto un sogno premonitore non positivo, mi sono svegliato pronto a cambiare meta. Parto per Sella Nevea, il cielo è stupendo e terso, come lo sono le giornate settembrine. Risalgo la Val Raccolana senza aver sciolto il dubbio, vado avanti, ma proprio sotto i tornanti che precedono le gallerie la strada è sbarrata da una piccola frana, alcuni metri di muri perimetrali hanno ceduto, nulla di pericoloso, vado avanti lo stesso.
Mi fermo un attimo presso lo spiazzo della funivia di Sella Nevea, nel frattempo altri villeggianti provenienti dalla Val Raccolana hanno avuto la mia stessa idea. Spero che al rientro le maestranze avranno rimesso tutto a posto, non vorrei rientrare per il lago di Predil.
Continuo verso la meta che avevo previsto, ma non sono sereno, mi fermo a cavallo della Sella di Nevea, mi guardo intorno, e mi viene in mente il monte Robon, cerco notizie utili sul web, scaricate le informazioni, cambio meta, farò l’anello del monte Robon.
Lascio l’auto nel parcheggio superiore della località, inizierò l’anello in senso anti orario, partendo dall’impianto di funivia. Subito dopo le sbarre dell’impianto sciistico, piuttosto che seguire il sentiero 636 , imbocco la pista sciistica, e faticosamente la risalgo, guadagno quota, ma quanta fatica. Ad un tratto sento un rombo di motore provenire dal basso, è un PK, appena il mezzo è vicino, faccio un cenno con la mano, il conducente accoglie la richiesta, ferma il mezzo e mi invita a salire a bordo, dandomi uno strappo. Memore delle belle escursioni in terra marchigiana, butto lo zaino e i bastoncini nel cassone posteriore e salgo a bordo.
Mi presento, l’autista ha uno strano accento, si chiama Pietro, abita a Sella Nevea, ma i miei dubbi rimangono, quello strano accento mi ricorda qualcosa. Nel frattempo, la jeep risale la pista forestale, anche le cabine della funivia cominciano a volteggiare. Nel corso della conversazione, scopro che Pietro è un bergamasco che da dieci anni vive in Friuli, la sua compagna è friulana, di Chiusaforte. Ecco svelato l’arcano, il simpaticissimo amico lavora per la ditta delle funivie, per esperienza personale i bergamaschi sono dei gran lavoratori, non stanno mai fermi, qualcosa trovano sempre da fare.
L’automezzo arrancando per la forte pendenza arriva ai piani superiori e si ferma a pochi metri dal rifugio Giberti. Pietro mi accompagna fino all’imbocco del sentiero 637, e simpaticamente ci facciamo un selfie. Salutato l’amico, attacco da subito il sentiero, che mostra le sue peculiarità. Percorro un territorio completamente carsico, roccia scolpita, dalle mille forge. La direzione è semplice, mirare da occidente a oriente, penso al caso che ha voluto farmi cambiare l’itinerario, la bellezza del luogo che sto esplorando ne sarebbe un valido motivo. La traccia da seguire è segnata CAI, ma i segni sono sparsi ovunque.
La conformità della roccia è varia, passo dall’equilibrismo sulle lisce rocce, a saltellare come un grillo su quelle affioranti e taglienti, alcuni tratti sono delle autentiche cenge, dove devo stare attento alle esposizioni. La meta ancora non è in vista, gli unici monti di riferimento sono il monte Poviz e il colle Lopic a oriente, mentre alle spalle domina il massiccio del Canin.
Dopo una serie di rientranze, il terreno pur mantenendo la sua conformità carsica si fa più agevole, passo vicino una serie di baraccamenti militari risalenti al primo conflitto mondiale, per poi raggiungere la prima serie di cartelli CAI. Stavolta percorro una bella larga mulattiera, chiaramente carreggiabile, che mi porta fino alla sella che precede il monte Poviz.
 Finalmente riesco a intravedere il Robon, devo perdere quota e percorrere un sentiero di ghiaino fino a raggiungere il catino inferiore da dove risalgo attraverso una serie di tornanti, fino alla sella Robon.
Il sentiero si mantiene più o meno in quota, dal basso intravvedo un puntino rosso che è il bivacco Modonutti Savoia.  Al centro del catino di ghiaie trovo un’altra segnaletica, al ritorno rientrerò per questa diramazione che porta lo stesso numero (637) del sentiero che sto percorrendo. Risalgo gli ultimi tornanti, notando una serie di acquartieramenti, sicuramente sede di un comando militare. I lunghi tornanti rendono dolce l’ascesa, una lieve, erosa ed esposta traccia, sfiorando i ruderi mi accompagna al simpatico bivacco. L’acceso color rosso del riparo, illuminato dai raggi del sole, è un autentico inno alla gioia. Visito l’interno del piccolo bivacco, non ci sono libri per visitatori da firmare, richiudo il locale con cura cercando la via di accesso alla vetta.
 Da dietro il bivacco, a oriente, mi sembra di scorgere una traccia, la seguo, erroneamente mi porta in un universo fantastico, filamenti di roccia che volano su profondissime cavità carsiche. Cosciente di aver errato, ritorno al bivacco. Mentre cerco la via di accesso alla vetta sento delle voci provenire dal basso, cavolo! È finita la pacchia, trattasi di un gruppo chiassoso, spero che si perdano o cambino meta all’ultimo momento. Tra le erbacce a occidente, scopro un ometto, e poi un altro ancora, seguo la traccia, in un batter d’occhio mi ritrovo a risalire la parete rocciosa, in alcuni tratti è scalinata, in altri devo saltare da roccia a roccia, districandomi tra le cavità carsiche.
Una sfilza di ometti mi conduce in cresta, ossia al margine di un labirinto carsico, dove le mostruose cavità sembrano fauci pronti a inghiottire i malcapitati. La maggior parte degli ometti si spinge a oriente, a occhio nudo la cima più alta è quella sinistra, ricoperta di mughi, ma come arrivarci? Ci provo per il sentiero con più ometti (quello di destra), mi arresto su un enorme masso, ci salgo sopra, osservando dall’alto il sentiero sembra proseguire, ma dovrei calarmi di pochi metri. Ritorno indietro, scendendo anche in basso, nulla!  Nessun segno o ometto. Risalgo, stavolta provo a seguire gli ometti di sinistra, cavolo, sono super esposto nel vuoto, e poi chissà se sbuca. Ritorno sui miei passi, stavolta risalendo sul masso iniziale, una traccia porta oltre, e noto una sorta di passerella in legno crollata. Scendo giù, lentamente mi spingo sul filo del baratro, e con cautela metto un piede oltre, segue il secondo, bene, fatta! Sospiro di sollievo, proseguo. Seguo la fila di ometti che mi conduce a un pulpito, trovo un ometto, dei fiori in plastica cementati e una staffa in metallo color ruggine. Vuoi vedere che questa è la vetta? Si è la vetta, quella per i comuni mortali. Provo ad andare avanti per quella effettiva, ma mi devo arrendere, le vie scompaiono nell’aria, e davanti a me percepisco abnormi voragini, mi contento di quella ufficiale.
Appuro sul GPS di essere quattro metri al di sotto della cima reale. Sgancio lo zaino e mi concedo alla contemplazione, il paesaggio è a dir poco strepitoso, sono avvolto dalle Alpi Giulie: il Canin a meridione e a settentrione la magnifica catena montuosa, che dal Cimon del Montasio si spinge fino al cupolone del Mangart.
Devo fare l’autoscatto, posiziono l’apparecchio fotografico su un ometto improvvisato, vado su e giù, e ascoltando i bip del marchingegno dell’autoscatto, mi metto in posa, naturalmente indice e medio della mano destra a V.
Nel frattempo il silenzio dorato è interrotto da un serie di voci: una è stridula e capricciosa, le altre calde e accomodanti, si tratta di una tizia e di tre tizi. La tizia, fa i capricci, non vuole andare avanti, ha fame e si è arresta poco prima del punto esposto. La maggioranza silenziosa si adegua al volere e si ferma, in formazione intorno al medesimo punto. Il gruppo mi vede saltellare da un masso all’altro, capisco che loro mi prendono per matto non riuscendo a intuire che sto adoperando l’autoscatto della reflex. In loro aiuto interviene la tizia, rendendoli edotti che (secondo lei) sto effettuando un selfie. Si dice autoscatto, vorrei commentare, ma mi conviene tacere e togliere le tende per rientrare. Ripasso da dove sono passato in precedenza, e all’imbocco del punto critico trovo le fresche bucce di una mela, mah! Potevano trovare una locazione migliore, ho paura di essere diventato misantropo, in quel gruppo ho visto di tutto, tranne che l’amore per la montagna. Transitando tra loro (salutando) con la punta dell’occhio ho rivisto i volti caricaturati di Hieronymus Bosch. La natura è divina, mi chiedo perché non lo siamo noi umani.
 Mi fermo sopra la sella Robon, a consumare qualcosa, prima di prepararmi per la lunga discesa. Una volta pronto, stringo bene le stringhe degli scarponi, nelle prossime due ore non mi fermerò; inizio dal catino in basso, spingendomi a nord per la lunga traversata.
 Nel primo tratto di sentiero mi porto sotto le strapiombanti pareti del Robon e di seguito tra la vegetazione selvaggia, passando su cengioni esposti, per poi rientrare nel fitto bosco, tramite alcuni sali scendi che mi portano a incrociare la statale che da Sella Nevea porta al lago di Predil. Pochi metri ancora e sono arrivato all’auto. Fatta anche questa, il sole è alto e scalda, con calma mi preparo al rientro, felice e appagato, anche stavolta la dea montagna mi ha amato, e le sono grato.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.






































































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