Monte
Roppa Buffon (1688 m.) da Tramonti di
Sopra
Note tecniche.
Localizzazione:
Prealpi Carniche-Gruppo del Frascola
Avvicinamento:
Lestans- Toppo-Meduno- Val Tramontina-Tramonti di Sopra- Seguendo le
indicazioni per il Passo di Monte Rest, poco dopo il paese sostare l’automezzo
in uno spiazzo a destra della strada, il sentiero è poco più avanti a sinistra
(cartello e indicazioni per il monte Cretò)
Località
di Partenza: Tramonti di Sopra
Dislivello:
1246 M.
Dislivello complessivo: 1335 m.
Distanza
percorsa in Km: 13 chilometri.
Quota
minima partenza: 446 m.
Quota
massima raggiunta: 1688 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 7 ore
In: Solitaria
Tipologia Escursione: Selvaggio-escursionistica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti con brevi passaggi di
arrampicata (primo grado basso)
Segnavia:
CAI 396.
Impegno
fisico: Medio alto.
Preparazione
tecnica: Medio alta.
Attrezzature:
No.
Croce
di vetta:
Ometto
di vetta: Si.
Libro
di vetta: Si, creato durante l’escursione.
Timbro
di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia- Tabacco 028.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: maggio-ottobre
Da
evitare da farsi in: Condizioni di bagnato o ghiaccio.
Condizioni
del sentiero: Fino alla forcella del monte Cretò è ben segnato e marcato, dai
ruderi della stalla Celant, sporadiche tracce e bolli rossi che sono totalmente
assenti dai prati ripidi fino alla vetta.
Fonti
d’acqua: Solo in basso, subito dopo la partenza.
Consigliati:
Ramponcini da erba, che in questo caso considero indispensabili.
Data: mercoledì
5 settembre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Per fare pace con la montagna ho scelto una meta
che mesi fa mi colpì per la sua forma piramidale. Era dicembre, e la cima totalmente
ricoperta di neve, esercitò sul sottoscritto un’attrazione fatale. Rientrato
dall’escursione indagai sul monte, scoprendo che non era facilmente accessibile,
quindi lo inserii tra le possibili avventure del nuovo anno.
Di recente, nelle ultime uscite sono assorto
da mille pensieri, e per ben due volte consecutive non sono riuscito a
raggiungere la meta. L’inatteso rifiuto della “Grande Signora” mi ha suscitato il
desiderio di appendere gli scarponi al chiodo. La montagna e l’arte per il
sottoscritto sono una fuga dal quotidiano, due mondi dove sto bene con me
stesso.
Ripresomi
dalla crisi, approfitto del meteo variabile per fare un’escursione non lontano
da casa. Tra le mete ho due preferenze: il Col di Luna e il monte Roppa Buffon.
La scelta cade sulla seconda, l’idea di risalire per uno dei canali che solcano
il suo profilo mi invoglia, non trascurando la posizione dominante.
Arrivo nella Val Tramontina che è buio pesto e
la valle è ancora avviluppata da una fitta nebbia. Durante la guida percepisco
la presenza del lago, un piccolo animale mi taglia la strada, riesco solo a intravederlo
con la punta dell’occhio e lo scanso.
Tramonti
di Sopra è illuminato dalle fioche luci notturne, uno spicchio di luna mi
accoglie, stavolta la pallida dea è silenziosa. Trovo uno spiazzo dove lasciare
l’auto, calzo gli scarponi e mi avvio lentamente. Nel frattempo, il corvino cielo stellato si schiarisce di un blu
oltremare. Con timidezza trovo il sentiero, mentre la luce irrompe nella valle,
accompagnando i miei primi passi. Incedo con cautela, altro non potrei, e poi il
fisico non è più quello di un giovane, i recenti acciacchi a volte mi fanno claudicare.
Il
primo tratto del sentiero lo conosco bene (infatti tengo la mappa nello zaino),
devo ripercorrere l’anello del monte Cretò sino ai ruderi della stalla di
Celant.
In due
ore raggiungo la sella, le fronde degli alberi coprono i ruderi del remoto
edificio, cerco una traccia e mi sembra di coglierla. Da
dietro le rovine, un solco mi porta a risalire nella faggeta, mi si paventa un
percorso accidentato e ripido. Mi libero dello zaino, adagiandolo su un masso
messo di lato al sentiero, accanto è piegato un giovane tronco di faggio.
Mi
attrezzo indossando sin da subito i ramponi da erba, porto al seguito solo una
piccola scorta d’acqua e una giacca. Tra la vegetazione e l’erba alta individuo
i radi bolli rossi, la traccia spesso sparisce, e gran parte del mio tempo è
impiegato a scovare tra gli arbusti segni di passaggio. Coadiuvato anche dall’intuito,
aggiro il ripido pendio portandomi tramite un lungo traverso a occidente, e
sempre per ripidi pendii, raggiungo l’affilato costone che precede il bosco.
Ho un attimo
di esitazione, la cresta è ancora lontana, sono indeciso se calarmi per prati sui
terrificanti precipizi, o percorrere l’esile crestina; dopo avere sondato
entrambe le soluzioni, opto per la seconda ipotesi che si rivela vincente.
Volando
sulle affilate rocce arrivo sul punto più alto, da dove studio il contesto,
devo perdere quota e guadagnare la sella che mi immette nel bosco.
Dentro
la faggeta procedo di istinto ed esperienza, cavalcando il dorso, in modo di guadagnare
quota rapidamente. Tra i fusti d’albero individuo altri bolli rossi, che in
diagonale mi spingono fuori dallo stesso bosco, fino a raggiungere l’erboso e
ripido crinale.
La vetta
è sempre più vicina, percorro il prato che rasenta il bosco, aggiro un salto
roccioso e mi porto al di sopra di esso,
e sempre per ripidi e inerbiti prati risalgo la china. Mi ritrovo su un pendio
molto esposto, lo aggiro a sinistra, per ritrovare la schiena del ripido dorso fino
a raggiungere la mugheta che mi introduce al canalino.
Tra i
rami del mugheto trovo un taglio, aiutato da solidi appigli sulla roccia, lo
attraverso, sperando di non cadere. Raggiunto il centro del canalino, ho l’onore
di incontrare il primo ometto della giornata, miro al vertice del solco
aiutandomi con i bastoncini (che ridotti di lunghezza adopero come pugnali) e i
ramponcini, senza quest’ultimi sarebbe stata un’impresa immane.
Raggiunto
l’apice del canalino trovo il secondo e penultimo ometto, la direzione naturale
da seguire è a destra, cioè, percorrere l’esposto piano erboso fino al prossimo
canalino che porta definitivamente alla cresta.
Non ci
sono tracce, miro alla meta creando una linea immaginaria, e grazie all’aiuto
degli spuntoni delle suole di ferro raggiungo il crinale. Mi fermo un attimo a
respirare e pensare, il paesaggio è stupendo, la Roppa Buffon non è più
lontana, devo risalire la cresta a occidente. Per un attimo mi illudo che il
peggio sia passato, pensando che l’espressione che ho letto su una relazione “La
breve cresta finale riserva qualche punto esposto o malagevole e va percorsa
con attenzione” sia solo un’esagerazione dell’autore. Ma ben presto mi ricredo,
anzi l’artefice del resoconto deve essere sicuramente un tipo tosto. Mi preparo
a percorrere la cresta sull’unico tratto praticabile e non ricoperto da fitti
mughi. Sono per un attimo smarrito, non so se ritirarmi per paura, o andare avanti,
consapevole dei rischi, anche questa volta scelgo la seconda ipotesi.
Quindi procedo,
adoperando i mughi come appigli e appoggi, avanzo con il corpo continuamente
esposto sul ripido precipizio a meridione. Sono ben cosciente che ciascun
tratto che supero lo devo rifare in discesa, mi preoccupa
la non solidità del terreno che rende infido l’attraversamento. Saggio i mughi,
a uno a uno, alcuni si staccano e volano giù nel vuoto, altri sono robusti e
duraturi.
Ci sono
dei varchi dove devo innalzarmi con passaggi brevi di primo grado e molto
esposti, mi affido speranzoso alla consistenza della materia, sperando che non
ceda sotto il peso dei miei 80 e passa chili. Finalmente, vinte le opposizioni,
mi ritrovo sul pendio finale, dove mi appare un ometto, che passo dopo passo si
ingrandisce. Ce l’ho fatta, cima conquistata!
Esausto
mi sdraio sul prato sommitale, tra i sassi dell’ometto individuo solo pezzi di
legno fradicio, forse quello che rimane di una remota croce.
Il paesaggio
è davvero stupendo, non ci sono intorno le dolomiti cadorine, né le cime delle
Giulie, ma le Prealpi carniche, rilievi che sovente fanno sputare sangue prima
di cedere al passo del viandante.
Sono
montagne selvagge, ma che ti danno tanto, oltre a un numero impressionante di
zecche (ne ho presa una).
Non
sono rilievi per fighetti o per chi ama mostrare la propria effige con dietro
il trofeo, qui devi sudare per vincere piccole quote dai nomi sconosciuti ai
più. Da anni la Val Tramontina mi è casa, qui è nato, vissuto e morto il mio
maestro, a cui volevo bene come un padre. In questa valle ho incontrato gente
semplice, vera, dei mostri di bravura alpinistica che non l’hanno mai ostentata,
gente che non ama abiti griffati o sciorinare paroloni. La forza dei tramontini
sta nel loro volto, si contentano di poco: un bicchiere di vino, un sorriso e
uno sguardo sincero.
Mi
trovo quassù, a dominare con lo sguardo la valle, che splendido regalo ho
ricevuto oggi. E il cielo? Beh, contro tutte le aspettative è di un azzurro
irreale, si è liberato dalle nubi per darmi coraggio e ora contorna le
meraviglie terrene. Estraggo dalla sacca un contenitore, una borraccia termica,
che ho avuto per centinaia di volte al seguito nelle varie avventure, da oggi ospiterà
come uno scrigno il pensiero e le emozioni dei viandanti.
Ho annodato
al bastoncino da trekking, la bandierina, dove ho dipinto il simbolo degli
spiriti liberi. Come un pirata ho abbordato la meta, e come un amante ora la
lascio, ben sapendo che per essa ho rischiato la vita. Una volta pronto, do un ultimo
sguardo all’infinito e procedo per la discesa, con calma, cosciente che non
sono ammessi errori.
Spesso durante
i movimenti mi perdo un bastoncino, penso che voli giù, ma poi mi riappare per
incanto, è come se la montagna giocasse oltre che guidare le mie movenze. Riguadagnato
il vertice del canalino dei mughi, mi calo in esso, pensando che il peggio sia
passato. Così cercando di ripetere il percorso a ritroso ne seguo i ricordi. Sono
nei pressi dei ruderi, quasi! Per distrazione mi ritrovo sopra un salto molto esposto,
la logica mi consiglierebbe di ritornare indietro sui miei passi, ma, osservando
dall’alto, intravedo il sentiero in basso; quindi, con coraggio, mi calo dentro
il ripido canale, aggrappandomi ad arbusti e fili d’erba e tutto ciò a cui
posso tenermi.
Raggiunta
la debole traccia, stavolta sono davvero in prossimità dello zaino, la cui
visione mi commuove, come scosse Ulisse alla vista di Itaca.
Recuperato
il compagno di tante avventure, provvedo subito a dissetarmi (avevo esaurito le
scorte idriche), e metto qualcosa nello stomaco. Dalla forcella del Cretò, mi
preparo al ritorno, dando una sistemata ai calzini che hanno cominciato a fare
le bizze dentro gli scarponi, guardo per l’ultima volta la cima conquistata e inizio
il rientro.
Malgrado
io non sia un velocista, volo, non mi fermo un istante, il caldo inizia a
essere opprimente. Durante il ritorno a valle, una serie di riflessioni tiene
occupata la mente: stavolta la montagna si è concessa, il messaggio è stato
manifesto. Quando sono davanti al suo cospetto non devo distrarmi, lei è unica,
e non gradisce di essere divisa con altre, pena, il suo diniego. Appresa la
lezione, raggiungo l’auto, il sole comincia a stancarsi e vuol raggiungere Morfeo.
Oggi mi sono nutrito esclusivamente di lei, ed è stato straordinario.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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