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venerdì 7 settembre 2018

Monte Roppa Buffon (1688 m.) da Tramonti di Sopra

 
Monte Roppa Buffon (1688 m.)  da Tramonti di Sopra

                                 Note tecniche.



Localizzazione: Prealpi Carniche-Gruppo del Frascola

Avvicinamento: Lestans- Toppo-Meduno- Val Tramontina-Tramonti di Sopra- Seguendo le indicazioni per il Passo di Monte Rest, poco dopo il paese sostare l’automezzo in uno spiazzo a destra della strada, il sentiero è poco più avanti a sinistra (cartello e indicazioni per il monte Cretò)

Località di Partenza: Tramonti di Sopra



Dislivello: 1246 M.





 Dislivello complessivo: 1335 m.





Distanza percorsa in Km: 13 chilometri.





Quota minima partenza: 446 m.



Quota massima raggiunta: 1688 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore

In: Solitaria



 Tipologia Escursione: Selvaggio-escursionistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti con brevi passaggi di arrampicata (primo grado basso)

Segnavia: CAI 396.

Impegno fisico: Medio alto.

Preparazione tecnica: Medio alta.

Attrezzature: No.

Croce di vetta:

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si, creato durante l’escursione.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)              Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia- Tabacco 028.

2)              Bibliografici:

3)              Internet:

Periodo consigliato: maggio-ottobre

Da evitare da farsi in: Condizioni di bagnato o ghiaccio.

Condizioni del sentiero: Fino alla forcella del monte Cretò è ben segnato e marcato, dai ruderi della stalla Celant, sporadiche tracce e bolli rossi che sono totalmente assenti dai prati ripidi fino alla vetta.

Fonti d’acqua: Solo in basso, subito dopo la partenza.

Consigliati: Ramponcini da erba, che in questo caso considero indispensabili.

Data: mercoledì 5 settembre 2018.



Il “Forestiero Nomade”

Malfa



Racconto:

 Per fare pace con la montagna ho scelto una meta che mesi fa mi colpì per la sua forma piramidale. Era dicembre, e la cima totalmente ricoperta di neve, esercitò sul sottoscritto un’attrazione fatale. Rientrato dall’escursione indagai sul monte, scoprendo che non era facilmente accessibile, quindi lo inserii tra le possibili avventure del nuovo anno.

 Di recente, nelle ultime uscite sono assorto da mille pensieri, e per ben due volte consecutive non sono riuscito a raggiungere la meta. L’inatteso rifiuto della “Grande Signora” mi ha suscitato il desiderio di appendere gli scarponi al chiodo. La montagna e l’arte per il sottoscritto sono una fuga dal quotidiano, due mondi dove sto bene con me stesso.          

Ripresomi dalla crisi, approfitto del meteo variabile per fare un’escursione non lontano da casa. Tra le mete ho due preferenze: il Col di Luna e il monte Roppa Buffon. La scelta cade sulla seconda, l’idea di risalire per uno dei canali che solcano il suo profilo mi invoglia, non trascurando la posizione dominante.

 Arrivo nella Val Tramontina che è buio pesto e la valle è ancora avviluppata da una fitta nebbia. Durante la guida percepisco la presenza del lago, un piccolo animale mi taglia la strada, riesco solo a intravederlo con la punta dell’occhio e lo scanso.

Tramonti di Sopra è illuminato dalle fioche luci notturne, uno spicchio di luna mi accoglie, stavolta la pallida dea è silenziosa. Trovo uno spiazzo dove lasciare l’auto, calzo gli scarponi e mi avvio lentamente.       Nel frattempo, il corvino cielo stellato si schiarisce di un blu oltremare. Con timidezza trovo il sentiero, mentre la luce irrompe nella valle, accompagnando i miei primi passi. Incedo con cautela, altro non potrei, e poi il fisico non è più quello di un giovane, i recenti acciacchi a volte mi fanno claudicare.

Il primo tratto del sentiero lo conosco bene (infatti tengo la mappa nello zaino), devo ripercorrere l’anello del monte Cretò sino ai ruderi della stalla di Celant.

In due ore raggiungo la sella, le fronde degli alberi coprono i ruderi del remoto edificio, cerco una traccia e mi sembra di coglierla.   Da dietro le rovine, un solco mi porta a risalire nella faggeta, mi si paventa un percorso accidentato e ripido. Mi libero dello zaino, adagiandolo su un masso messo di lato al sentiero, accanto è piegato un giovane tronco di faggio.

Mi attrezzo indossando sin da subito i ramponi da erba, porto al seguito solo una piccola scorta d’acqua e una giacca. Tra la vegetazione e l’erba alta individuo i radi bolli rossi, la traccia spesso sparisce, e gran parte del mio tempo è impiegato a scovare tra gli arbusti segni di passaggio. Coadiuvato anche dall’intuito, aggiro il ripido pendio portandomi tramite un lungo traverso a occidente, e sempre per ripidi pendii, raggiungo l’affilato costone che precede il bosco.

Ho un attimo di esitazione, la cresta è ancora lontana, sono indeciso se calarmi per prati sui terrificanti precipizi, o percorrere l’esile crestina; dopo avere sondato entrambe le soluzioni, opto per la seconda ipotesi che si rivela vincente.

Volando sulle affilate rocce arrivo sul punto più alto, da dove studio il contesto, devo perdere quota e guadagnare la sella che mi immette nel bosco.

Dentro la faggeta procedo di istinto ed esperienza, cavalcando il dorso, in modo di guadagnare quota rapidamente. Tra i fusti d’albero individuo altri bolli rossi, che in diagonale mi spingono fuori dallo stesso bosco, fino a raggiungere l’erboso e ripido crinale.

La vetta è sempre più vicina, percorro il prato che rasenta il bosco, aggiro un salto roccioso e  mi porto al di sopra di esso, e sempre per ripidi e inerbiti prati risalgo la china. Mi ritrovo su un pendio molto esposto, lo aggiro a sinistra, per ritrovare la schiena del ripido dorso fino a raggiungere la mugheta che mi introduce al canalino.

Tra i rami del mugheto trovo un taglio, aiutato da solidi appigli sulla roccia, lo attraverso, sperando di non cadere. Raggiunto il centro del canalino, ho l’onore di incontrare il primo ometto della giornata, miro al vertice del solco aiutandomi con i bastoncini (che ridotti di lunghezza adopero come pugnali) e i ramponcini, senza quest’ultimi sarebbe stata un’impresa immane.

Raggiunto l’apice del canalino trovo il secondo e penultimo ometto, la direzione naturale da seguire è a destra, cioè, percorrere l’esposto piano erboso fino al prossimo canalino che porta definitivamente alla cresta.

Non ci sono tracce, miro alla meta creando una linea immaginaria, e grazie all’aiuto degli spuntoni delle suole di ferro raggiungo il crinale. Mi fermo un attimo a respirare e pensare, il paesaggio è stupendo, la Roppa Buffon non è più lontana, devo risalire la cresta a occidente. Per un attimo mi illudo che il peggio sia passato, pensando che l’espressione che ho letto su una relazione “La breve cresta finale riserva qualche punto esposto o malagevole e va percorsa con attenzione” sia solo un’esagerazione dell’autore. Ma ben presto mi ricredo, anzi l’artefice del resoconto deve essere sicuramente un tipo tosto. Mi preparo a percorrere la cresta sull’unico tratto praticabile e non ricoperto da fitti mughi. Sono per un attimo smarrito, non so se ritirarmi per paura, o andare avanti, consapevole dei rischi, anche questa volta scelgo la seconda ipotesi.  

Quindi procedo, adoperando i mughi come appigli e appoggi, avanzo con il corpo continuamente esposto sul ripido precipizio a meridione. Sono ben cosciente che ciascun tratto   che supero lo devo rifare in discesa, mi preoccupa la non solidità del terreno che rende infido l’attraversamento. Saggio i mughi, a uno a uno, alcuni si staccano e volano giù nel vuoto, altri sono robusti e duraturi.

Ci sono dei varchi dove devo innalzarmi con passaggi brevi di primo grado e molto esposti, mi affido speranzoso alla consistenza della materia, sperando che non ceda sotto il peso dei miei 80 e passa chili. Finalmente, vinte le opposizioni, mi ritrovo sul pendio finale, dove mi appare un ometto, che passo dopo passo si ingrandisce. Ce l’ho fatta, cima conquistata!

Esausto mi sdraio sul prato sommitale, tra i sassi dell’ometto individuo solo pezzi di legno fradicio, forse quello che rimane di una remota croce.

Il paesaggio è davvero stupendo, non ci sono intorno le dolomiti cadorine, né le cime delle Giulie, ma le Prealpi carniche, rilievi che sovente fanno sputare sangue prima di cedere al passo del viandante.

Sono montagne selvagge, ma che ti danno tanto, oltre a un numero impressionante di zecche (ne ho presa una).

Non sono rilievi per fighetti o per chi ama mostrare la propria effige con dietro il trofeo, qui devi sudare per vincere piccole quote dai nomi sconosciuti ai più. Da anni la Val Tramontina mi è casa, qui è nato, vissuto e morto il mio maestro, a cui volevo bene come un padre. In questa valle ho incontrato gente semplice, vera, dei mostri di bravura alpinistica che non l’hanno mai ostentata, gente che non ama abiti griffati o sciorinare paroloni. La forza dei tramontini sta nel loro volto, si contentano di poco: un bicchiere di vino, un sorriso e uno sguardo sincero.

Mi trovo quassù, a dominare con lo sguardo la valle, che splendido regalo ho ricevuto oggi. E il cielo? Beh, contro tutte le aspettative è di un azzurro irreale, si è liberato dalle nubi per darmi coraggio e ora contorna le meraviglie terrene. Estraggo dalla sacca un contenitore, una borraccia termica, che ho avuto per centinaia di volte al seguito nelle varie avventure, da oggi ospiterà come uno scrigno il pensiero e le emozioni dei viandanti.

Ho annodato al bastoncino da trekking, la bandierina, dove ho dipinto il simbolo degli spiriti liberi. Come un pirata ho abbordato la meta, e come un amante ora la lascio, ben sapendo che per essa ho rischiato la vita. Una volta pronto, do un ultimo sguardo all’infinito e procedo per la discesa, con calma, cosciente che non sono ammessi errori.

Spesso durante i movimenti mi perdo un bastoncino, penso che voli giù, ma poi mi riappare per incanto, è come se la montagna giocasse oltre che guidare le mie movenze. Riguadagnato il vertice del canalino dei mughi, mi calo in esso, pensando che il peggio sia passato. Così cercando di ripetere il percorso a ritroso ne seguo i ricordi. Sono nei pressi dei ruderi, quasi! Per distrazione mi ritrovo sopra un salto molto esposto, la logica mi consiglierebbe di ritornare indietro sui miei passi, ma, osservando dall’alto, intravedo il sentiero in basso; quindi, con coraggio, mi calo dentro il ripido canale, aggrappandomi ad arbusti e fili d’erba e tutto ciò a cui posso tenermi.

Raggiunta la debole traccia, stavolta sono davvero in prossimità dello zaino, la cui visione mi commuove, come scosse Ulisse alla vista di Itaca.

Recuperato il compagno di tante avventure, provvedo subito a dissetarmi (avevo esaurito le scorte idriche), e metto qualcosa nello stomaco. Dalla forcella del Cretò, mi preparo al ritorno, dando una sistemata ai calzini che hanno cominciato a fare le bizze dentro gli scarponi, guardo per l’ultima volta la cima conquistata e inizio il rientro.

Malgrado io non sia un velocista, volo, non mi fermo un istante, il caldo inizia a essere opprimente. Durante il ritorno a valle, una serie di riflessioni tiene occupata la mente: stavolta la montagna si è concessa, il messaggio è stato manifesto. Quando sono davanti al suo cospetto non devo distrarmi, lei è unica, e non gradisce di essere divisa con altre, pena, il suo diniego. Appresa la lezione, raggiungo l’auto, il sole comincia a stancarsi e vuol raggiungere Morfeo. Oggi mi sono nutrito esclusivamente di lei, ed è stato straordinario.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.













































































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