Jof di
Montasio dai piani del Montasio.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie occidentali-Gruppo del Montasio
Avvicinamento:
Lestans-Cornino- Osoppo-Gemona del Friuli-Chiusaforte- Val Raccolana-Sella
Nevea-Piani del Montasio.
Località
di Partenza: Piani del Montasio 1502 m.
Dislivello:
1251 m.
Dislivello complessivo: 1251 m.
Distanza
percorsa in Km: 12 chilometri.
Quota
minima partenza: 1502 m.
Quota
massima raggiunta: 2753 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: Trio
Tipologia Escursione: Alpinistica-Escursionistica
Difficoltà: Escursionisti Esperti con un minimo di
preparazione alpinistica.
Segnavia:
CAI 622
Impegno
fisico: alto.
Preparazione
tecnica: media alta
Attrezzature:
Si.
Croce di
vetta: Si.
Ometto
di vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro
di vetta: Si.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno -ottobre
Da
evitare da farsi in: Presenza di Ghiaccio o bagnato- e nei fine settimana per
l’assidua presenza degli escursionisti lungo la via normale.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato
Fonti
d’acqua: Nessuna
Consigliati:
Casco e kit da ferrata.
Data: Sabato
15 settembre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Lo Jof
di Montasio è una delle montagne più amate del Friuli, la più affascinante, massiccio
dalla grande storia, venerato e solcato da noti alpinisti. Da tempo non andavo
su, l’ultima volta fu il primo agosto del 2012, allora salii su con due amici
sloveni, stavolta, confermando solo la regola del trio, cammino con due
autentici spiriti liberi, cavalli di razza, ossia: il camoscio Roberto Fabbro,
compagno di mille avventure e il Prof. Gino da Vià, un cadorino tutto pepe, che
adora le montagne della nostra regione.
Motivo
principale del ritorno sul Montasio è
perché Gino non vi è mai stato, Roberto ed io, approfittiamo dell’occasione per
salire dal mitico canalone Findenegg e scendere dalla Pipan, potremmo anche
proseguire dal sentiero attrezzato Leva, ma quello lo valuteremo sul posto.
L’appuntamento
è fissato a Gemona presso “il Fungo”, cinque del mattino, buio pesto.
Arrivo
con cinque minuti di ritardo (ho dormito poco perché mi sono goduto il temporale
notturno), mi scuso, ci salutiamo, trasloco i materiali sull’auto di Roberto e partiamo,
con l’incognita della Val Raccolana.
A causa
di uno smontamento, poco sotto Sella Nevea, l’ingresso alla valle Raccolana è
precluso agli automezzi, bisogna raggiungere Sella Nevea effettuando un lungo
itinerario, passando per Tarvisio.
Giunti
nei pressi di Sella Nevea, ci aspetta un banco di nebbia, Roberto non è felice,
Gino invece è tranquillo, per lui queste nuvole sono poca cosa. Infatti, giunti
nei piani del Montasio, la situazione cambia in meglio, le nubi sembrano
diradarsi.
Ci
approntiamo per l’escursione, nel parcheggio troviamo solo due automezzi, bene!
Oggi non ci sarà la solita ressa per salire al Montasio. Una volta pronti ci
dirigiamo verso il rifugio G.di Brazzà, pochi minuti dopo e siamo al suo cospetto;
non vedendo movimento all’interno del locale ci dirigiamo verso la nostra meta,
mirando alla forca dei Disteis, tempo stimato due ore, secondo Gino un’ora è
anche troppa.
Ora inizia
il filo conduttore della nostra escursione, Gino essendo veloce come Speedy Gonzales, si invola
subito, Roberto non è da meno, ma conoscendo il mio passo da alpino, si immola,
facendo la spola tra i due. Con il mio passo cadenzato seguo la truppa, come gli
antichi decani dei legionari romani seguivano i virgulti soldati. Comunque, mettiamo
più di un’ora per raggiungere la forca, dove ci attende un nutrito branco di
stambecchi: le femmine e i cuccioli, stazionano nei pressi della crestina della
forca, mentre i maschi indugiano sotto l’attacco alla via normale, dove si
preparano alla lotta, limando le abnormi corna sulle rocce.
Sostiamo
una decina di minuti a goderci il panorama e la fauna, una meraviglia, gli
stambecchi essendo abituati all’uomo, si fanno avvicinare senza timore.
Finita la
pausa, iniziamo l’avventura vera e propria, una novità per tutti noi. Dopo
pochi metri di fastidioso e ripido ghiaino attacchiamo le rocce, alcuni
passaggi di primo grado.
Nel
frattempo, dal basso, un’orda di escursionisti si dirige verso di noi, speriamo
che deviino per la normale, ma nulla da fare, in pochi minuti ci sono già alle
costole. Poco prima dell’attacco della “Grande Cengia”, da tre ci ritroviamo in
otto. I passaggi su roccia sono entusiasmanti, una vera goduria e soprattutto l’ambiente
è elettrizzante, il vuoto che avvertiamo sotto gli scarponi più che spaventarci
ci galvanizza. Intelligentemente ci facciamo avvicinare dal gruppo per poi
farci superare. Una coppia (lei e lui) vanno verso il Canalone Findenegg,
mentre il trio teutonico di atletici alpinisti prende la cima, ma per via
alpinistica, salendo un torrione tramite corde.
I guerrieri
normanni sono simpatici, allegri, e affascinanti, tra noi è subito cordialità,
ci vuole poco in montagna ad aprire il cuore, entrambi condividiamo la stessa
Signora, si vede dagli sguardi. Salutati i gagliardi alpinisti, iniziamo a
percorrere la bellissima e adrenalinica cengia, una delle vie montane più belle
fatte in vita mia, essa cinge il Montasio come una cintura. La trepidazione è viva,
siamo rapiti dalla bellezza del tutto: dal paesaggio, dalla roccia, dall’azzurro
cielo.
Gino è
sempre avanti, fa da apripista, la coppietta ora è distante, di tanto sento il
buon Roberto esclamare “Ce biel”, come contradirlo, stiamo vivendo dentro un
sogno. In alcuni tratti sono presenti delle corde fisse, ma secondo noi sono predisposte
dove non servono. Giunti nei pressi del bivio per il canalone (scritta con le
indicazioni in vernice rossa sulla roccia) proseguiamo avanti per visitare il
bivacco Suringar, che raggiungiamo in pochi minuti.
Troviamo la
struttura aperta, due escursionisti sono all’esterno, appaiono infreddoliti,
hanno passato la notte nel bivacco. << A sapere vi avremmo portato il caffè.>>
Esclamo. Rispondono <<Vi ringraziamo, ma siamo già alla quinta tazza di
caffè.>> Dopo una piacevole conversazione, noi, torniamo indietro, per
imboccare la direzione del canalone Findenegg. I primi passaggi di arrampicata sono
su un’ottima roccia, piccole cenge che si intervallano a passaggi di primo e
secondo grado, e alcuni leggermente esposti. All’imbocco del canalone,
rimaniamo esterrefatti, che meravigliosa visione ci aspetta, dal basso scorgiamo
la coppietta, volano sulle rocce, tutto ciò è impressionante, ci aspetta una
arrampicata indimenticabile.
Tra noi
vige un silenzio irreale, interrotto solo da sospiri e vaghe parole di stupore.
Imboccato il canalone, lo risaliamo tra passaggi su ghiaia e brevi tratti di
arrampicata di primo e secondo grado, finché giungiamo al cospetto del passaggio
chiave, una roccia di alcuni metri che a causa della sua curvatura e pochi
appoggi non è facile da superare.
Lo stesso Gino
(che è montanaro navigato) ha difficoltà, rimane incastrato con lo zaino, e
decide di aggirare l’ostacolo sinistra; mentre Roberto e io, seguiamo i bolli.
Per
superare l’ostacolo ci liberiamo dagli zaini, Roberto mi fa da appoggio con la
gamba, io mi isso sulla roccia, e porto su entrambi gli zaini, poi mi calo
sopra la strozzatura e protendo il braccio a Roberto, che con un balzo è su.
Fatta! E senza l’ausilio delle corde, in questo caso l’unione ha fatto la forza
e trovato la soluzione. Proseguiamo, ah! Dimenticavo, io salgo con a seguito un
bastoncino da trekking sempre sfoderato (gli amici per questo mi prendono in
giro), inoltre, i nostri zaini sono molto pesanti, e per finire, ho anche
dimenticato a casa il casco, tutto ciò è deplorevole, imperdonabile.
Dopo altri
passaggi di primo e secondo grado, siamo finalmente nei pressi della cresta;
sopra di noi il cielo velato dalle nubi. Affrontiamo con cautela questa
meravigliosa lama di roccia, non avverto nessun timore, sto bene, da Dio.
Il Montasio mi ha chiamato, e io ho risposto.
Affrontiamo la parete con divertimento, passo avanti per desiderio di Gino che vuole
cogliere l’esposizione particolare, così mi ritrovo capocordata e visto che ci
sono arrivo fino in fondo al tratto delicato, per poi ridare il primato a Gino;
Roberto diligentemente chiude il gruppo.
Dopo alcuni
passaggi divertenti sulla roccia, siamo sull’affilata crestina finale, da dove scorgiamo
la croce di vetta. Dalla lettura delle precedenti relazioni mi aspettavo un
crinale molto più esposto, non l’ho trovato pericoloso ma divertente. Come scrisse
la mia amica” Elisa” nel descrivere l’ultimo tratto: << tenevo una
chiappa sul tarvisiano e l’altra sui piani del Montasio.>> Il passaggio ardito
mi ha rilassato, mi rendo conto di quanto sia importante la mancanza di
vertigini; non volo ma provo le medesime sensazioni.
Odo i rintocchi
della campana di vetta, è Gino il campanaro! Noi manteniamo le distanze, non
per la sicurezza, ma per gli effetti fotografici, infatti, così a fine
escursione avremo un book fotografico di tutto rispetto, i momenti di gloria
non vanno solo vissuti ma anche immortalati.
Raggiunti entrambi la croce, ci
rilassiamo, non avverto tensione o stanchezza nei volti dei miei compagni, ma
solo beatitudine. Troviamo in cima un ragazzo, poi arriva il secondo e infine
il terzo, la nuova generazione, ragazzi friulani che avranno la metà dei nostri
anni. Giovani dal sorriso innocente, di chi vive la stagione primaverile, hanno
lo stesso nostro entusiasmo e un universo ancora da esplorare.
Noi li
ammiriamo, e reciprocamente anche loro ci stimano, e tutto questo è divinamente
bello. Il Montasio che grande montagna
che è! Dona: amore, beatitudine, crea nuove amicizie, unisce i popoli, le
generazioni e le cime.
Dopo le
foto di rito e una durevole sosta, ci avviamo al rientro, qualcuno ci ha
preannunciato l’arrivo dell’orda barbarica, sì, un nutrito gruppo di
escursionisti austriaci che nulla hanno in comune con i simpatici teutonici
incontrati in basso. Questi predoni della roccia, vengono fuori dalla nebbia,
portando al seguito il loro aspetto tetro, come se fossero i cavalieri della
morte a caccia di anime.
Noi abbandoniamo il Montasio e ci avviamo alla
scala Pipan. Presso i resti di una postazione militare, ci fermiamo per
ammirare dall’alto la Val Bruna, Roberto spera ancora che la nube si dissolva,
ne approfittiamo per mettere qualcosa nello stomaco. Nel frattempo, ci
raggiungono i ragazzi incontrati in vetta, e insieme a loro un nostro coetaneo,
proveniente anche lui dal canalone Findenegg.
Quest’ultimo ci porta cattive nuove, i vandali
(gli austriaci) visti poco prima, si sono appesi alla croce della vetta,
tirandola giù. Nulla da dire, il gesto
si commenta da solo, intuendo che quest’ultimi non hanno finito di fare danni,
invito gli amici ad affrettare il rientro, anche perché essendo sprovvisto di
casco, non voglio trovarmi i crucchi sopra che smuovono i sassi.
Accelerando
le operazioni, percorriamo la seducente cresta del montasio fino all’attacco
della scala a Pipan, e in ordine ci avviamo alla discesa dal tratto attrezzato.
Per sicurezza, scendo tra i primi, per avere sopra di me più corpi che mi
proteggano da un eventuale caduta di piccole ghiaie. Consiglio ad un
escursionista (anch’esso non munito di casco) di bloccare l’orda dei nibelunghi
per il tempo che a noi necessita per raggiungere il fondo del tratto
attrezzato. Dal basso una comitiva di triestini scalpita, pronta ad arrembare
la vetta. Sono attimi concitanti, in poco meno di quaranta metri ci ritroviamo in
una trentina di escursionisti, siamo come formiche impazzite che schizzano via
da un formicaio. Cadono pietre dall’alto, sono sopraggiunti i temuti austriaci;
dal basso premono i triestini. Il silenzio della montagna è interrotto da un
continuo strillare: <<Sassoooo!!!>> <<Porco Cane!>>
<<Dio bon!>> <<Minchià!!>> <<Stein,
stein!>>, sembra di stare sull’Arca di Noè, nel medesimo istante del
catapultarsi fuori dalla sacra imbarcazione.
Raggiunto
la base della scala a Pipan, ci portiamo fuori mira, al riparo dalla caduta
sassi, per poi effettuare il rientro per il ghiaione pensile. Nei pressi dell’attacco
con il sentiero Leva, Gino vorrebbe proseguire, sono ben cosciente, che qualcheduno
alla lettura della relazione, scriverà: <<Potevate includere il tratto
ferrato!>> Ma con Roberto abbiamo la stessa idea, sarà un buon motivo per
ritornare sul Montasio. Gino stavolta mette il turbo e sparisce dalla nostra
visione, scende velocemente (corre) per il ghiaione che porta ai piani del
Montasio. Roberto e io ci ridiamo su:<<Ma che fretta avrà? Mica deve
prendere la pillola? Si è avviato al Brazzà a stracannare birra? In realtà lo
conosciamo bene, è un ragazzone che si concede peccati di gioventù, gli
vogliamo bene anche per questo suo modo di fare. Si fermerà in basso, ad
aspettarci presso un enorme masso. Roberto e io, una volta raggiunta la Forca
dei Disteis, ci liberiamo dell’imbrago, e pranziamo. La fame ci ha proprio rapiti,
festeggiando il tutto con un buon Cabernet, immancabile nello zaino di Roberto.
Ripreso il cammino ci ricongiungiamo con Gino e lo prendiamo in giro.
<<Bravo Gino, eh bravo! Ti sei studiato i monti? Quello laggiù è il Canin,
studia, che la prossima occasione che vieni in Friuli, si va sul quel versante
opposto.>> Ripreso l’ordine di marcia si mira al rifugio G.di Brazzà,
metro dopo metro di sentiero pregustiamo la birra, come un’oasi nel deserto,
stavolta sarà doppia, vista l’impresa. Una volta raggiunto lo storico locale,
ci sollazziamo nella terrazza a gustare il sacro nettare estratto dal luppolo,
felici ed entusiasti.
La pausa per il relax è breve, una foto
immortala l’evento. Rientriamo al parcheggio, soddisfatti e appagati.
L’indomani gli amici sono attesi da un’altra bella faticaccia, il sentiero
attrezzato “Ceria Merlone”, mentre io andrò a sollazzarmi nelle montagne del
futuro, il mare.
Così
l’avventura volge alla fine, con una signora Montagna conquistata e una nuova
storia da raccontare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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