Monte Pizzul
1985 m. da Cason DI Lanza.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche orientali.
Avvicinamento:
Gemona-Pontebba-Indicazioni per Cason di Lanza.
Dislivello:
500 m.
Dislivello complessivo: 500 m.
Distanza
percorsa in Km: 5 km.
Quota minima
partenza: 1552 m.
Quota
massima raggiunta: 1985 m.
Tempi di
percorrenza. Tre ore.
In: Coppia + Magritte.
Tipologia Escursione: Storico-Escursionistica.
Difficoltà: E.
Segnavia:
CAI 422°.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: Barattolo di vetta.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 018.
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti
d’acqua: Si.
Data: 28
luglio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Prima uscita
in montagna dopo l’infortunio, le gambe non hanno mai smesso di sperare, ma ho
aspettato l’occasione giusta, scegliendo una cima non impegnativa, che mi permettesse
di camminare con sicurezza. In mente da quasi tutto l’inverno ho avuto Monte
Pizzul come “piano B”, leggo con piacere che il termine si sta diffondendo tra
coloro che scrivono nel gruppo. Un piano B, che ormai pensavo di effettuare da
ottuagenario, ma l’imprevisto ha anticipato i tempi. Si parte con la famiglia
al completo, anche Magritte (per simbiosi?) è convalescente. Dal giorno prima
del mio incidente ha un occhio ferito, le cause sono ignote, ne avrà per un
mese. La mia compagna, ha il triste compito di fare da badante e crocerossina,
un bel trio, nulla da dire, in perfetto equilibrio tra il dramma e il comico.
Si arriva a Cason di Lanza, dopo le innumerevoli curve, che sono una vera tortura
per la mia compagna. Ma finalmente siamo nello spiazzo difronte il rifugio. Indosso
gli scarponi, i movimenti sono rallentati dal ben visibile handicap, ciò mi
permette di dedicare più tempo all’osservazione. Ho bene in mente il sentiero
per il monte Pizzul, me lo ricordo così bene che lo sbaglio subito, prendendo
quello che mi porta alla ferrata. L’Inconscio è chiaro, non vuole fare i
sentieri in stile “Serpenti e Paura”, copiati, fatti e strafatti, ma la ragione
stavolta non segue il cuore. Prendo dall’inizio il sentiero per la ferrata, la
vocina interiore mi dice <<Beppe, dove cazzo vai?>> quasi allo sblocco
sul ghiaione, decido di tornare indietro, Magritte e la compagna, mi seguono
fiduciosi, leggo dei chiari punti interrogativi nelle loro espressioni. Chiedo
scusa, ho sbagliato, si torna indietro. Il sentiero che si dirama dentro il lariceto
è illuminato dal sole, noto alla mia destra una traccia per camoscio, la seguo
senza esitazioni, essa si interrompe spesso a causa di schianti, non perdo la
bussola, ho a meridione, come punto di riferimento, lo Zuc della Guardia,
quindi tutto è sotto controllo. La traccia a volte riappare e mi conduce in un
lungo traverso tra prati e mughi, fino ad adagiarsi in un incantevole e incontaminato
catino popolato da grossi massi. Penso d’aver intuito la giusta direzione,
scendiamo per poi risalire una traccia, che si infrange in un muro di mughi, e
da qui non si passa. Si torna indietro, giro tra i massi in cerca di una soluzione,
nel frattempo i neuroni allenati al pensare si spogliano della ruggine
provocata dalla recente inoperatività. Guardo le pendici rocciose dello
Zermula, (regola base quando ti perdi è di salire sempre in alto, ma non
troppo, per il paradiso c’è sempre tempo). Con percorso libero, e qui il Malfa
emula i grandi “Federica e Loris”, passiamo tra i massi, fino a lambire il
ripido prato. Obiettivamente, sto godendo, questa è montagna. Raggiunto il
vertice del ghiaione, sotto i bastioni rocciosi, lascio la compagna e il fido,
e mi reco in esplorazione. Presso un pulpito roccioso, noto dall’alto, in
lontananza, il sentiero CAI 422a, che porta alla Forca di Lanza. Dovremmo calarci
per un canale con passaggi di terzo grado: <<Uhm, non è il caso!>> Studio
la morfologia del terreno, ed escogito
un piano. Recupero la ciurma e scendo pochi metri in basso, libero Magritte dal
guinzaglio, e ci lanciamo come Kamikaze tra i mughi, in direzione nord-ovest
dovremmo trovare un varco. <<Eureka!>> Trovato il varco e anche una
traccia, che scende tra i mughi finché, …Orpo! Un salto di alcuni metri mi
sbarra la strada! Provo a ritornare indietro, ma tra i mughi non ce la farò
mai, quindi ritento. Mi spingo sulla destra della traccia, tenendomi con la
mano buona ai mughi, osservo! <<Si può fare, si può fare, vai Malfa,
piccoli passi, e vedrai che ce la possiamo fare!>>. La mia compagna è
timorosa, per la mia mano, le dico di avere fede, con piccoli e cauti passi in
discesa, aiutandomi con i mughi scendo dal salto, ed ecco, sono giù. La stessa
operazione compie Giovanna con Magritte. Abbiamo superato l’ostacolo, siamo
sani e salvi, e nemmeno un graffio. Sorpresa! Sulle rocce troviamo un bollo
rosso, sbiadito, e uno più avanti, e un altro più avanti ancora. Grazie al mio
intuito e preparazione tecnica (colpo di culo stratosferico) ho trovato un
vecchio sentiero dismesso, che mi permette di raggiungere l’umida conca prativa
sotto lo Zuc della Guardia. Raggiunto il sentiero ufficiale CAI 422°, si
prosegue verso la Forca di Lanza con facilità, tale che appendo comodamente la
mano sinistra a una fettuccia dello zaino. Presso la forca vediamo scendere giù
dalla nostra meta (Monte Pizzul) una turista, con una sacca in plastica in mano,
raccoglie qualcosa. Si ferma, raccoglie e poi procede. Scoprirò in seguito che raccoglieva
stelle alpine. A certa gente per rimanere in tema, bisognerebbe spezzare i
ditini della mano.
Una labile
traccia non segnata porta alla cima, essa solca il verde pendio erboso, molto
ripido, ma rilassante, presto raggiungiamo una sorta di anticima dove nelle sue
viscere sono scavate delle gallerie (opere belliche) e tutto intorno si notano
delle chiare trincee. Siamo nel vecchio settore del Regio Esercito durante il
primo conflitto mondiale, gli austroungarici stavano dall’altra parte della
valle. Su queste cime si moriva più per il freddo e le valanghe che per i colpi
di arma da fuoco. Raggiunta la cima, materializzata da un corposo ometto, e da
un barattolo con libro di vetta, effettuiamo la sosta. Finalmente, ci
rilassiamo. Le nuvole sono basse, fa freddino, ci copriamo, approfittandone per
consumare il pasto. In lontananza, grazie alla bella visuale, osservo i monti
principali della regione, tra cui “la Puttana”, si ho ribattezzato così la
regina dei monti di Moggio, ora abbiamo un conto in sospeso. Sono sereno,
rilassato, non c’è nulla da fantasticare, solo godersi il tutto, dimenticando
per un attimo i patemi della vita quotidiana. Finita la sosta si riprende il
cammino verso il rifugio Cason di Lanza, stavolta per il facile sentiero 422a,
effettuando una breve puntata sul piccolo torrente che solca il catino erboso.
Osservare lo scorrere dell’acqua mi fa pensare sempre ad Eraclito e all’eterno
divenire. Ripreso il cammino in meno di un‘ora siamo in auto. Una volta
cambiati gli abiti, andiamo a consumare qualcosa al rifugio, per poi riprendere
il cammino verso la pianura. Consapevole di essere ritornato e di stare bene, penso
che…” Sono un’aquila con un artiglio ferito, nulla di più”.
Il “Forestiero
Nomade”
Malfa.
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