Creta
Grauzaria 2065 m.
Note
tecniche.
Avvicinamento: Gemona-
Moggio Udinese- Val Aupa.
Dislivello: 1327 m.
Dislivello complessivo:
1335 m.
Distanza percorsa in Km:
14 km.
Quota minima partenza:
707 m.
Quota massima raggiunta:
2065 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Gruppo.
Tipologia Escursione: Selvaggio-alpinistica
Difficoltà: E.E.A-
I grado; II grado la
paretina iniziale.
Segnavia:
CAI 437.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 018.
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti
d’acqua: Poco prima del rifugio Grauzaria.
Data: 15
luglio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Anni fa frequentavo
spesso la Biblioteca di Spilimbergo, soprattutto il reparto “Montagna e Avventura”,
e tra la ricca collezione scoprii il grande alpinista francese “René
Desmaison”. Mi colpì il suo modo di scrivere, di mettersi a nudo, riuscendo a
coinvolgermi. Lessi il suo capolavoro” “La montagna a mani nude”, libro che
cambiò il mio modo di intendere la montagna. Da allora non cerco plauso tramite
il consenso, ma anche il dissenso, se quello che si deve scrivere è crudo e
fastidioso lo scrivo, la vita non è una bomboniera, ma un caleidoscopio di
emozioni, di cui non tralascio il dolore. Dopo questa breve premessa, passo al
racconto dell’ultima escursione.
La montagna
dà e prende, ed essa decide come e quando. È una regola che scandisce gli
eventi, per questo si suol dire che l’escursione finisce solo quando si rientra
a casa. L’escursione sul monte della Grauzaria nasce per un desiderio espresso
da Gino il Prof. dopo che abbiamo effettuato in inverno l’ascesa sul Sernio.
Anche Roberto ha la Grauzaria come sogno non realizzato, quindi ho trovato
logico cogliere con un sogno più amici. Ai citati Gino e Roberto, si aggiunge
il mitico Stefano (il nostro Apache), e dulcis in fundo due gradite sorprese: Peter,
l’uomo delle corde, (amico di Stefano) e Rudy (il nostro Bill the Kid) che, sorprendendoci,
ci raggiunge poco prima del Portonat. Se dovessi valutare il gruppo, direi
uomini magnifici, armi da guerra, e obiettivamente l’unico anello debole del
gruppo è il sottoscritto. Sono i miei amici, e ne sono onorato. La settimana
che precede l’escursione, è stata per il sottoscritto, intensa, indimenticabile.
Con caparbietà ho fatto il mio primo tremila (la Tofana di Rozes), il primo
duemila di dislivello (la Cima dei Preti) e il Canin dalla Val Resia, autentico
sentiero per chi ama il mondo selvaggio e il ravanamento ad oltranza. Un tris
d’assi niente male, il poker non era previsto. La Grauzaria in passato mi si è
dimostrata ostica, raggiunta solo al secondo tentativo, percezione negativa che
confermerà anche in questa escursione. L’appuntamento con la compagine è a
Moggio Udinese, presso un piccolo Bar. Ci incontriamo e tutto sa di surreale, innanzitutto
dall’abbigliamento e dall’aspetto, non abbiamo nulla in comune. Siamo
“eterogenei”, e tutto ciò dimostra la forza delle nostre individualità. Preso
il caffè ci avviamo per la Val Aupa. Raggiunto il parcheggio, si decide di
lasciare gli imbraghi in auto, Peter (il membro del gruppo che ha esperienza
con le corde) porta un cordino al seguito. Si parte, manca solo Rudy, peccato!
Dopo la sfinge, noto che ho le gambe pesanti, evidentemente sto pagando lo
scotto delle escursioni della settimana, rimango indietro al gruppo, li
raggiungo al Rifugio Grauzaria. I primi arrivati hanno già preso qualcosa, si
prosegue per il Portonat, tra in mughi notiamo una figura che ci precede, pochi
metri dopo vedo il gruppo che raggiunge l’omino, e si salutano fraternamente. È
Rudy! Il nostro mitico “Billy the Kid”, faccia d’angelo e cuore da leone. Lo
saluto, si procede per l’ostico “Portonat”, che io in passato ho paragonato
all’inferno. Ci attendono. Ghiaie, sassi e guglie; il quasi verticale macereto
è la parte più impegnativa dell’escursione. Il mio passo è costantemente lento,
scorgo tra le rocce tre raponzoli, una corda inutile fa da passamano presso una
cengetta friabile. In alto i bolli portano a destra, addentrandosi nel ripido e
faticoso ghiaione. Alla destra di esso, su una i segni del sentiero alpinistico
“Piero Nobile”. Noi proseguiamo per la forcella del Portonat. Superato il
faticoso ghiaione, ci ritroviamo a ridosso di una paretina di primo grado e poi
si è su. Ora possiamo vedere l’azzurro che sovrasta il Portonat, un esile e
facile sentiero in pochi minuti ci porta raggiungere il vertice del canalone.
Ampia visuale sulla pianura friulana. Ora abbiamo il tratto alpinistico che
porta alla cima della Regina. Una parete segnata secondo grado più, insidiosa,
che alcuni del gruppo bypassano alla sinistra dell’attacco. Decido di lasciare
lo zaino presso un masso, porto al seguito solo la sacca. Sulla parete mi
blocco, la stessa sensazione provata nel 2012, con l’aiuto di Peter riesco a
superarla, ma sono turbato nell’animo, presentimento che provo solo su questo
tratto; è molto strano, sono in
compagnia di ben cinque esperti, ma la testa in certi frangenti non
razionalizza e va altrove. Superata la crisi salgo tranquillo con gli altri, per
passaggi e tratti esposti, non mi impressionano, ho riacquistato la
concentrazione. Nel gruppo c’è tanto entusiasmo, i passaggi e le cenge sono
davvero mirabili, divertenti, poi si procede per tratti, liberi, seguendo i
passaggi che si reputano soggettivamente i migliori. Dopo una mezzoretta si
arriva in cima: Roberto ha esaudito il suo desiderio, e Gino è felice di questa
bella meta. Per gli altri membri del gruppo la gioia sta nel trovare la vetta
sgombra da nuvole e nella bella compagnia. Siamo un bel gruppo, gli “Spiriti
Liberi”, sono bimbi adulti che si divertono a scalare i monti. Sono buoni
nell’animo, altruisti, si respira nell’aria un meraviglioso binomio: Libertà e Amicizia.
Dei nuvoloni all’orizzonte ci consigliano di non proseguire per altre mete, ma
rientrare al rifugio della Grauzaria. Lungo la discesa proseguiamo tranquilli,
foto a gogò. Durante la salita avevo indossati i guanti, stavolta procedo
senza, un membro del gruppo mi fa notare che avere anelli alle dita è
pericoloso (ne porto due all’anulare della mano sinistra), con il senno di poi dovevo fermarmi e ascoltare
il consiglio. Arrivati sul punto clou per il sottoscritto (la paretina di
secondo più), vorrei procedere come per la salita, Peter mi mette una corda sul
chiodo, per calarmi in tranquillità. Mi calo, e a mezzo metro dal terriccio
appoggio la mano sinistra sulla parete effettuando il saltello in basso, mentre
con la mano destra tengo la corda. Qui avviene il dramma, mi ritrovo con una
forte lacerazione al dito e vistosa fuoriuscita di sangue, e con la stessa
falange roteata di 90 gradi. Grido: << Il dito, il dito. Il dito!>>
Roberto accorre con delle bende, mi fasciano il dito, si decide di scendere
veloce per l’auto. Effettuo la discesa dal Portonat più veloce della luce, non
ricordo nulla del tragitto, a parte il colore del dito che è pallido. La mente
vaga, e pensa di tutto, dalle peggiori alle migliori conseguenze. Presso il
rifugio, due membri del gruppo si staccano, procedo senza fermarmi verso il
parcheggio. Il dito sembra riprendere colore, non ho perso la sensibilità.
Raggiunto il punto sosta delle auto, si parte, procedendo velocemente verso il
primo pronto soccorso, decido per Tolmezzo, naturalmente guida Roberto. L’amico,
che di solito è, alla guida sembra Michael Schumacher, effettua il percorso tra Moggio e l’ospedale di Tolmezzo,
in un tempo record, tale da ottenere la pole. Lo osservo, e penso che è una
bella fortuna avere degli amici, poco dopo mi raggiunge anche Gino. All’interno
del pronto soccorso non ho nemmeno il tempo di spiegare l’accaduto che mi
ritrovo ricoverato e ben curato. Sarò sottoposto a un intervento chirurgico di
un’ora e trenta. Nell’assopirmi per l’anestesia scherzo con il personale
sanitario, io decanto i monti e la gente della Carnia, e loro il mare e la
gente della Sicilia. Finito l’intervento mi ritrovo nella bella suite, con la
finestra-balcone che dà sui monti tolmezzini. Amariana, Piciat, San Simeone,
Verzegnis, sono tutte cime conosciute. Dopo le coccole dei familiari, amici e
personale dell’ospedale, arriva la sera, con la buona nuova che presto
ritornerò sui monti, più carico di prima, e senza anelli. Mi addormento con lo
sguardo rivolto alla finestra da dove ammiro la cresta del Piciat. Il mattino
dopo il sole illumina la stanza, sono sereno, apro la portafinestra, mi
affaccio sui tetti di Tolmezzo, battezzando il complesso sanitario ”bivacco”.
Memore che tutta questa avventura presto sarà solo un brutto ricordo, saluto i
monti con un arrivederci, e pensando alle nuove mete.
Il
“Forestiero Nomade”.
Malfa.
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