Tofana de
Rozes 3225 m. dal Rifugio Dibona.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Ampezzane-Gruppo delle Tofane-
Avvicinamento
Lestans-Maniago-Montereale Valcellina-Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Imboccare
la statale per Cortina D’Ampezzo- Raggiunta la famosa località imboccare le
indicazioni per Passo falsarego, dopo una serie di tornati imboccare la ripida
carrareccia (sterrato)a dx con e indicazioni per il Rifugio Dibona. Ampio
parcheggio.
Dislivello:
1200 m.
Dislivello complessivo: 1206 m.
Distanza
percorsa in Km: 10 km.
Quota minima
partenza: 2083 m.
Quota
massima raggiunta: 3225 m.
Tempi di
percorrenza. 5 ore in totale escluse le soste.
In: Trio.
Tipologia Escursione: Panoramica Turistica.
Difficoltà:
Escursionisti Esperti.
Segnavia:
CAI 403 fino al rifugio Giussani. Dal
rifugio alla cima, radi bolli blu e ometti.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: Si.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 03.
Periodo
consigliato: luglio-ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ottimo.
Fonti
d’acqua: Sorgive lungo le placche.
Data: 13
luglio 2017.
Relazione:
Non bisogna mai smettere di sognare, e non è una frase
trovata sui “Baci Perugina”, ma la bellissima realtà che sto vivendo. In meno
di una settimana ho realizzato tre bei sogni che serbavo nel cassetto dei
desideri. Non sono imprese o avvenimenti eccezionali, sono solo uno spostamento
in avanti dell’asticella dei limiti raggiunti. A cinquantaquattro anni riuscire
in questo mi fa stare bene, e non uso la solita frase sono ringiovanito. Il
corpo non ringiovanisce, ma è la testa che lavora meglio, creando una miscela
tra esercizio fisico e forza di volontà, connubio vincente. Aver superato i
duemila metri di dislivello è stata una bella soddisfazione, ma mi mancava il “tremila”.
L’estate scorsa ho rinunciato a tutti gli inviti di Gino, e non erano tremila
banali, ma molto suggestivi, tra cui Il Civetta e il Pelmo, ma non li sentivo,
ero attratto da quote minori anche se a volte con maggior dislivello.
Quest’anno stranamente, mi sono aperto, come se il lungo periodo di monachesimo
fosse giunto al termine. Sento la voglia di condividere con altri le mie
esperienze, ho sempre detto che non sono misantropo, ma un solitario. Amo
scherzare, ridere, amo soprattutto la vita, e un sorriso a volte può illuminare
il mondo. Quindi dopo l’esperienza sul Canin dalla Val Resiana, con il grande
Roberto, è seguita la “Grande Bellezza” ovvero la Cima dei Preti, in compagnia
dei due splendidi angeli (Federica e Loris) e dulcis in fundo, finalmente il
primo tremila, che non poteva non essere che “La Tofana di Rozes”. Decido
subito di chiamare Roberto, eccellente compagno di viaggio, squadra che vince
non si cambia, e ci prepariamo per l’avventura. La Tofana di Rozes, non è molto
impegnativa tecnicamente, non ci sono passaggi di arrampicata, e anche il
dislivello è sotto la nostra media, 1200 metri li percorriamo di solito in
inverno. La distanza della meta nemmeno mi preoccupa, normalmente vado in
escursione sempre ai confini della regione, e impiego più di due ore per ogni viaggio,
quindi sono sereno, giovedì all’alba saremo a Cortina d’Ampezzo. Sembra tutto
deciso, ma le sorprese devo ancora venire. Mi chiama Gino, mi chiede: <<dove
vai giovedì? :<<Vado sulla Tofana di Rozes, con Roberto, il mio primo
tremila.>> <<Cavolo! Beppe, sono impegnato per una altra meta, sarei
venuto volentieri con voi!>> <<Tranquillo, Gino, noi si va, “o
tremila o morte”>>. Con questo motto in stile risorgimentale terminava la
nostra chiacchierata. Ma i giochi non erano chiusi. Due ore dopo squilla il
cellulare:<<Gino!?!?.>> Beppe, passami a prendere, Tai di Cadore,
mi trovi a tale bar.>> <<Ok! a Domani!>>. Se prima eravamo un
bel duo, ora siamo un ottimo trio, Gino per noi è come avere in squadra Ronaldo
del Real Madrid, espertissimo in montagna e in più un vero spirito libero.
Arriva il giovedì mattino, sveglia in piena notte, e alle 04:30 si parte,
Roberto mi ha raggiunto a casa. Comincia ad albeggiare, e inoltrandoci nella
valle del Cellino e in quella di Cimolais, abbiamo modo di ripassare i monti,
come i bambini ci scambiamo le figurine. Questa montagna l’ho fatta, questa no,
questa mi piacerebbe. Ad Erto ci attende la solita nebbia, e un trillo di cellulare.
<<Pronto, ciao Gino!>><<Malfa procedi tranquillo, qui in Cadore
giornata stupenda.>><<Gino, qui in val Padana, nebbia, tranquillo, tra
meno di un‘ora siamo da te.>>Roberto, non ha mai superato la galleria di Erto, quindi per lui sarà tutto nuovo. Attraversiamo
Longarone e tutta la valle, con la mente ripassiamo la catastrofe del Vajont.
Sulla statale erro la direzione, procedendo per una decina di chilometri per
Venezia, intuisco l’errore, e inverto la direzione procedendo per il Cadore.
Dopo una ventina di chilometri intravediamo dietro i verdi colli, le cime
bianche dei mostri sacri delle dolomiti, tra cui il Pelmo, che ci incanta.
Giunti davanti al Bar dell’appuntamento, Gino ci offre un buon caffè, e subito
dopo si procede per la meta. Stavolta è lui il navigatore, e come un “Prof”, ci
illustra e decanta tutte le cime fino a Cortina D’Ampezzo. Roberto ed io, con
il blocco notes prendiamo appunti. Raggiunta la bella cittadina turistica, si
procede a sinistra inoltrandoci nella bella valle boschiva dominata a destra
dalle Tofane, un paio di volte mi sono fermato a fotografarle. Inutile nascondere,
che l’adrenalina mia e di Roberto cresce minuto dopo minuto, mentre il Prof. è impassibile.
Gino vive e lavora in questo paradiso, sorride sotto la barbetta, intuisce le
emozioni che stiamo vivendo. Raggiunto il parcheggio del rifugio Dibona (quota
2083 m.), lasciamo l’auto, e l’attrezzatura per le ferrate, decidendo di fare
solo la normale. Si inizia dentro il bosco di conifere e dopo pochi metri siamo
sotto le pareti meridionali della Tofana di Rozes, dire che siamo in uno stato
di contemplazione è dir poco, viviamo il sogno. Un immenso catino di ghiaia ci
introduce alle prime guglie dolomitiche, esso è solcato da ampi sentieri che in
diagonale lo risalgono fino al restringimento delle pendici della Tofana di
Rozes con la Tofana di Mezzo. Roberto scopre tra i detriti dei rari papaveri
arancioni, Gino da guida ci indica la via; è uno spettacolo, le nostre macchine
fotografiche sono in continua azione. Percorriamo un restringimento rafforzato
con opere di contenimento fino a vedere il sole che illumina le cuspidi di
Punta Giovanna (Forcella Fontananegra). È l’apoteosi. Lo Scenario che si
presenta dinanzi a noi è straordinario. Attraversiamo i ruderi delle vecchie
fortificazioni militari che si confondono con i grandi massi, ma un occhio è
sempre puntato alle guglie. Il sole oltre
a scaldarci ci illustra le meraviglie. Avvistiamo il rifugio Giussani (quota
2542), e dopo pochi metri lo raggiungiamo. Dalla solitudine passiamo alla folla,
è un continuo via vai, di escursionisti multi regione. Ci fermiamo un attimo,
si scherza, per poi riprendere la lunga diagonale che da destra a sinistra,
seguendo i radi bolli blu sui massi, taglia l’infinito anfiteatro detritico (il
Massare). A sinistra abbiamo le ripide pareti nord-orientali della Tofana di
Rozes, a destra le perpendicolari pareti delle restanti Tofane. Mentre
camminiamo risalendo il sentiero di ghiaia, disegniamo con lo sguardo le fantastiche
forme di quello che ci circonda, esse a volte ingannano. Stregati dalle
meraviglie dolomitiche è un’impresa salire sulla nostra meta, e quindi,
cerchiamo per quanto sia possibile di non perdere la concentrazione. Malgrado i
bolli blu e gli ometti, il sentiero non è obbligato si sale su con un sistema
viario multi traccia. Effettuiamo dei passaggi facili su roccia di primo grado
basso. la progressione è dolce, basta evitare il fastidioso ghiaino ove sia
possibile. La nostra guida (Gino) a volte assume pose artistiche, del
tipo:<<Fammi la foto che son figo!>>, e viceversa ricambia il
favore, immortalando la nostra fatica. Verso quota 3000, scocca l’ora X, il mio
GPS segna, 2970 metri. Ci siamo! Ancora pochi metri. Ecco, 3000 metri! Mettiamo
per terra i bastoncini telescopici, che simulano il traguardo e poi via.
Abbiamo superato i 3000 metri di dislivello. Effettivamente, si sente la quota,
alcuni metri prima ho avvertito un leggero fastidio, e ho assunto qualcosa di
dolce. Lo stesso Roberto mi ha confessato in cima, che ha avuto uno strano
disturbo agli arti inferiori. Comunque si procede, ora siamo in vista della
piramide di vetta. In passato ho avuto la fortuna di visitare la piramide di
Cheope, sita a Giza, in Egitto, e ora provo le stesse emozioni. Gli
escursionisti che scendono e salgono sembrano Tuareg che cavalcano i cammelli,
e la croce, che ancora non si vede è l’agognata oasi. Man mano che si sale il
sentiero diventa sempre più facile, stretti tornantini ci portano in cima, si
vede finalmente la croce, eccola (quota 3225 m.). Oh, che folla! La cima
brulica di escursionisti multilingua. Mi sembra di essere all’ONU. Saluto, visto
che siamo pirati, effettuiamo un arrembaggio alla croce, la conquistiamo è issiamo
su la bandiera degli “Spiriti Liberi”. Il meteo sembra peggiorare, nuvole nere,
quindi ci copriamo, la temperatura si abbassa velocemente. Il cielo si apre, le
nuvole giocano con noi. Dalla vetta ci godiamo tutte le cime delle dolomiti
circostanti. Uno degli spettacoli sublimi a cui può assistere l’uomo. Osservo
il volto di Roberto radioso, è incredulo; e quello di Gino, sicuramente divertito.
Arrivano su escursionisti di tutte le fogge e altri ne scendono. Un caleidoscopio
di umanità, e noi felici come bimbi. Felici come bimbi, che bella frase! E non
ho paura di essere deriso. Se tre uomini che hanno superato i cinquanta e i
sessanta anni, giocano amichevolmente, non facendo male ad una mosca, non sono
immaturi, ma hanno compreso che la vita è un dono e va vissuta. Se devo fare il
“serioso”, me ne sto a casa con le mie seghe mentali. Osservando Roberto,
incredulo e felice, mi si è riempie il cuore. La montagna è un grande dono, e
bisogna saperlo cogliere. Dopo un’ora cominciamo la discesa. Gino parte a
fulmine, ha messo il turbo, Roberto ed io intuiamo che ha bisogno di volare,
noi procediamo con calma, godendoci attimo per attimo il paesaggio.
Raggiungiamo Gino al rifugio Giussani, dove consumiamo una bevanda, per
festeggiare l’evento, come vecchi commilitoni. Ripreso il cammino, per il
rientro, Gino imbocca la direttissima per ghiaioni, mostrando doti di sci-ghiaista
eccelse. Noi, lemme lemme, per la via normale, fino a raggiungere il rifugio
Dibona. Presso l’auto noto lo zaino di Gino, che nel frattempo avrà salutato i suoi
numerosi amici. Ci approntiamo per la partenza, per effettuare una gita
turistica dentro la cittadina di Cortina D’Ampezzo. Raggiunta la località, si fa
una vasca (passeggiata nel vialone principale), nel centro più edonistico del Veneto.
Finita la visita alla cittadina, si riprende il viaggio verso casa. Lasciamo Gino
nel suo bel paesino, dandoci un arrivederci, il resto della compagine prosegue
per il Friuli. Il ritorno è dolce, siamo sereni, felici, saliamo da Longarone
per Erto, superata la diga e…<<. azzo! Roberto, quello lì non è Mauro
Corona?>> Inverto la direzione. Ho visto Mauro Corona, seduto presso un
barretto ambulante. Entro nel parcheggio, e sfacciato, seguito da Roberto, mi
avvio presso lo “Spirito Libero” per eccellenza. Mi presento, lo chiamo
Maestro, gli ricordo di un incontro avuto venti anni prima a Maniago, e di un altro
nella cittadina dove vivo. Chiacchieriamo un po’, poi gli chiedo se gentilmente
può posare con noi per una foto, cortesemente acconsente, lo salutiamo con un
fraterno bacio e abbraccio. Con Roberto si riprende il viaggio verso casa, egli
non sta più nella pelle, io scherzando gli faccio notare che il giorno ancora
non è finito, chissà cosa ci attende ancora. Un abbraccio sotto casa e un “ti
voglio bene” ci congeda. Così volge al termine un giorno della vita, vissuto insieme
ai miei amici, con il cuore e i sogni di un bambino. Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
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