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lunedì 27 febbraio 2017

Monte Salinchiet dalla Val Pontebbana (Studena Bassa)

 
Monte Salinchiet dalla Val Pontebbana (Studena Bassa)

                                                          Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche -

Avvicinamento: Gemona-Pontebba-Indicazioni per Cason di Lanza- Val pontebbana-Posteggio subito dopo la località Studena Bassa.

Dislivello: 1250 m.

Dislivello complessivo: 1350 m.

Distanza percorsa in Km: 12 km.

Quota minima partenza: 650 m.

Quota massima raggiunta: 1858 m.

Tempi di percorrenza. Con neve 6 ore escluse le soste.

In: Solitaria con Magritte.

 Tipologia Escursione: Selvaggio innevato.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: Cai sentiero 438 con bolli rossi e ometti; Alta Via d’Incaroio bolli gialli e ometti.

Fonti d’acqua: Molteplici piccoli rivoli.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: Nessuna

Libro di vetta: Nessuno.

Cartografia consigliata: Tab 018.

Periodo consigliato: Per gli Esperti tutto l’anno.

Condizioni del sentiero: Parecchi schianti nel bosco, sporadici segni.

Data: 25 febbraio 2017.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

L’ultima bellissima escursione sul Palon di Lius è stato motivo di ispirazione per questa cima che mi appresto a fare, il monte “Salinchiet”. Dalla cresta del Palon ho notato la vetta e un sentiero che in diagonale porta alla cresta. Rientrato a casa ho rivisto le foto e con mappe alla mano ho scoperto il nome dell’elevazione e i vari sentieri che ne permettono l’accesso. Per natura sono stakanovista quindi la scelta è caduta sul sentiero più lungo e più remunerativo. Ho pensato come punto di partenza la strada locale che percorre il fondo valle della Val Pontebbana, ed essendo a febbraio l’unica incognita è la percorribilità del tratto asfaltato e la risposta non può che arrivare il giorno dell’escursione. 

Una giornata dal sapore primaverile accompagna questa nuova avventura, partenza prevista alle prime ore dell’alba. Uscendo da casa con zaino e materiali al seguito scruto il cielo, che è di un blu scuro ma sgombro da nuvole, le ultime stelle brillano ancora e tutto mi è di buon auspicio. Lungo la strada Pontebbana ho modo di ammirare le cime, cerco di intuire la situazione neve che troverò a Pontebba, ma sono solo pensieri erratici, ascolto della buona musica (Led Zeppelin) e procedo verso la cittadina prossima alla frontiera. Raggiunta Pontebba seguo le indicazioni per il Passo di Lanza, percorrendo la stradina che si inoltra nella Val Pontebbana. La carreggiabile inizialmente è percorribile, presto attenzione al ghiaccio sul bordo della strada, finché superato il borgo di Studena Basso (belle casette dall’aspetto caratteristico) mi blocco davanti ad una colata di ghiaccio sull’asfalto, dovuta sicuramente a un rigagnolo. Scendo dal mezzo e valuto la situazione, con la mia auto e con gli pneumatici normali di sicuro non passo, quindi lascio il mezzo in uno spiazzo pochi metri prima e procedo a piedi. Zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito si parte, stavolta in più, nel capiente zaino ho posto la picca e le ciaspole, i ramponi e le ghette sono di serie.  Messomi in movimento provo una strana sensazione di piacere, come di fuga e il sapere di dover fare più chilometri a piedi non mi spaventa, anzi mi galvanizza. Sorrido, perché dovrebbe farmi paura camminare, non è questo lo scopo del mio essere “viandante”? Camminare, camminare e camminare, l’unica medicina valida contro ogni malessere. Il camminare sull’asfalto (spesso con neve ghiacciata) con il mio peloso mi porta lontano e le casette che incontro somigliano a quelle delle foreste americane, un ossequioso pensiero vola a Jack London. Mi fermo presso una baita, fuori ci sono delle panche. Mi riassetto lo zaino indossando le ghette e i ramponi che ora mi sono necessari e con l’assetto da neve riprendo il cammino. Dopo quattro chilometri raggiungo lo slargo (a sinistra per chi sale) dove avrei dovuto lasciare l’auto, una tabella con nome indica che sono in località “Carbonaie”, ai margini del bosco è posto un cartello CAI con le indicazioni per casera Pradulina. Inizio l’escursione fuori dal manto stradale, percorrendo una carrareccia che perde quota fino al greto del torrente Pontebbana. Seguo dei bolli a settentrione costeggiando il fiume fino a trovare un guado comodo che mi porta sull’altra riva. Seguendo i provvidenziali ometti sulla neve risalgo il costone boschivo dentro un fitto bosco di faggi e conifere, i segni sono radi e la traccia non è marcata. La neve è consistente, mi muovo rapidamente con i ramponi dentro Il bianco bosco che mi affascina. Io e Magritte sembriamo due lupi a caccia, a caccia di sogni o in fuga da noi stessi? Guadando il Rio Pradulina passo dal versante settentrionale delle pendici del Palon di Lius al versante meridionale delle pendici del Salinchiet. Dal basso osservo la cresta del Cuel di Mat, il sentiero prosegue il suo percorso nella valle, radi segni rossi mi guidano verso il sempre più vicino azzurro. Con una serie di svolte guadagno quota portandomi ai margini della conca dominata dalla casera Pradulina. Uno spettacolare paesaggio m’incanta, posso ammirare le cime non più nascoste dalla vegetazione e le meraviglie che le circondano. Proseguo meno lesto, a causa del caldo la neve si fa molle, permettendo agli scarponi di affondare. La Malga Pradulina è sempre più vicina, le stalle sono in ottimo stato, mi avvicino ad essa e nello stesso tempo cedo alla contemplazione. Osservo che la casera è posta in un eccellente posto panoramico, da questo pulpito posso ammirare le grandi cime delle Giulie e chi ha costruito l’edificio lo sapeva sicuramente. Prima di entrare nella casera mi specchio in una finestra, la vanità mi è sempre compagna e ammirato da tanta bellezza (il paesaggio) entro dentro l’edificio. Do un’occhiata agli interni, che sono molto frequentati, l’ambiente è diviso in più vani: una confortevole cucina, un camino e sopra la zona notte. Mi accomodo nella zona cucina dove stanno anche i libri firma per i visitatori. Dalla finestra osservo la cima, appare molto ripida, decido di fare la direttissima che corrisponde all’Alta Via d’Incaroio. Mi libero di più peso possibile lasciando lo zaino con le ciaspole nella zona letto, e portando al seguito solo la mini sacca con: la picca, un pile, guanti pesanti, berretto di lana, GPS e viveri. Alleggeritomi di peso riprendo il viaggio, prima raggiugendo la cresta sopra la casera e seguendo i segni dell’alta Via entro nel bosco di conifere. la neve con le piante crea sculture di una bellezza difficile a raccontarsi a parole, la bella giornata fa il resto rendendo gli attimi di un fascino sublimale. Non nascondo che mi sono fermato spesso ad ammirare le gocce che cadono dallo sciogliersi della neve o i pinnacoli di ghiaccio sugli alberi, in queste visioni mi perdo. Come posso scrivere una relazione seria e tecnica se il sottoscritto è un sognatore che si smarrisce nella bellezza della natura ad ogni passo? Proseguo per la traccia poco marcata nella neve, lasciando le alte conifere per entrare in una fitta mugheta. Riesco a intuire il passaggio ma non è facile, radi segni gialli di tanto in tanto fanno capolino. Superati i mughi mi aspetta il tratto finale, un ripido pendio erboso sotto le rocce della cresta sommitale. La traccia è difficile da individuare senza neve figuriamoci con la presenza di quest’ultima. Affidandomi all’istinto del lupo e con un po’ di fortuna che non guasta mai, qualcosa scorgo, seguendo i sassi bollati in giallo mi ritrovo sotto la cima. Gli ultimi metri, come in tutti gli ultimi metri prima dell’arrivo i più emozionanti. Passo dopo passo, zolla dopo zolla, con una visuale sempre più azzurra e meno grigia, finché l’azzurro è la totalità e la cima è sotto gli scarponi. L’esile cima, pardon la lama di roccia è esile e terrificante, mi trovo esposto su tutti i versanti.  Mi pianto bene sui ramponi, sto camminando sul vuoto e sopra di me ho solo il cielo. Nessuna croce e presumo nemmeno il libro di vetta. Assicuro Magritte a me, non vorrei che facesse una pazzia nello sporgersi, ed effettuo un paio di passi portandomi in una posizione più comoda e….

Sì, ammiro il paesaggio più bello che abbia mai visto, sono inebriato, le piccole creste affilate mi danno tanta emozione, perché mi ricordano che noi uomini siamo funamboli, che percorriamo l’esistenza su una fune che separa la vita dalla morte, e anche oggi scusatemi se sarò poco eroico, ma scelgo la vita, e che vita! Dieci anni fa non avrei mai immaginato di percorrere le cime delle alpi, e ora è diventato il mio bisogno primario, un modo di dare un valido motivo alla mia esistenza, e in questo istante che sono poggiato su questa pietra io esisto, sono vivo, io sono.  Gli amori, le gioie e i dolori volano lontani, osservo il mio fedele amico che mi seguirebbe anche nella morte, lo accarezzo mentre osservo da lontano ciò che un giorno mi fu vicino. Ripresomi dall’emozione mi appresto per la discesa, seguendo la stessa via dell’andata, ripida sì ma veloce. Con prudenza in breve ripercorro il sentiero dell’andata fino alla casera, Magritte è felice, gioca come un bambino. Raggiunta la malga entro, ma mi rendo conto immediatamente di essermi abbassato da una gamba di pochi centimetri, cavolo! Ho smarrito Un rampone, forse nella foga di giocare sulla neve non me ne sono accorto. <<Pazienza Magritte! Rinviamo il pranzo, dai si torna indietro.>>Non è difficile anche se faticoso, ripercorrere a ritroso le tracce, noto che l’impronta sinistra sulla neve non ha le punte, quindi con santa pazienza, impronta dopo impronta. Rido, in fondo sto ripercorrendo le orme di un grande uomo! Hahahaha, scherzo! Per fortuna dopo solo un centinaio di metri di dislivello recupero l’oggetto smarrito, non l’indosso nemmeno e volo via, più veloce della luce fino alla malga. Raggiunto l’edificio recupero lo zaino, lo appronto per la ripartenza e finalmente si pranza. Magritte scodinzola, sa bene che dopo una cima c’è una lauta ricompensa e dividiamo il pranzo da buoni amici. Una volta saziata la fame e firmato il libro di casera si parte. Si stava troppo bene dentro, fuori si è abbassata bruscamente la temperatura e malgrado sia ben coperto mi si sono congelate le dita delle mani, estraggo i guanti di lana per riscaldarle con il fiato, ma la cosa migliore è riprendere il cammino e rientrare. Magritte conosce la strada, gli lascio la precedenza e mi diverto nel vederlo saltare sopra i tronchi abbattuti. Gli do l’onore di guidare il branco, lo merita. Raggiunta la carreggiabile ci aspettano gli ultimi chilometri prima dell’auto, il mio amico mi segue affiancandomi, osservo che di tanto in tanto zoppica, cerca di non farsi notare mantenendo un comportamento dignitoso e stoico. Il mio caro compagno è vecchietto, malgrado mantenga ancora il brio del cucciolo, gli anni passano anche per lui. Osservo il suo musetto, mi guarda senza farsi notare, come a dirmi: << Non sarò io a lasciarti, ricordalo, non ti lascerò mai!>> Una lacrima furtiva scende sul mio volto, pensieri silenziosi di due amici che si amano senza aver il coraggio di confessarlo. Raggiunta l’auto faccio accomodare il fido nel vano posteriore e mi appronto per la partenza. La luce abbandona la platea e le prime stelle brillano nel cielo. Anche oggi ho vissuto un sogno, riempendo di bellissime immagini i ricordi. Grazie “Vita”.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 






































































































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