Monte
Salinchiet dalla Val Pontebbana (Studena Bassa)
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche -
Avvicinamento:
Gemona-Pontebba-Indicazioni per Cason di Lanza- Val pontebbana-Posteggio subito
dopo la località Studena Bassa.
Dislivello: 1250
m.
Dislivello
complessivo: 1350 m.
Distanza
percorsa in Km: 12 km.
Quota minima
partenza: 650 m.
Quota
massima raggiunta: 1858 m.
Tempi di
percorrenza. Con neve 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria
con Magritte.
Tipologia Escursione: Selvaggio innevato.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
Cai sentiero 438 con bolli rossi e ometti; Alta Via d’Incaroio bolli gialli e
ometti.
Fonti
d’acqua: Molteplici piccoli rivoli.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Nessuna
Libro di
vetta: Nessuno.
Cartografia
consigliata: Tab 018.
Periodo
consigliato: Per gli Esperti tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Parecchi schianti nel bosco, sporadici segni.
Data: 25
febbraio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
L’ultima
bellissima escursione sul Palon di Lius è stato motivo di ispirazione per questa
cima che mi appresto a fare, il monte “Salinchiet”. Dalla cresta del Palon ho
notato la vetta e un sentiero che in diagonale porta alla cresta. Rientrato a
casa ho rivisto le foto e con mappe alla mano ho scoperto il nome
dell’elevazione e i vari sentieri che ne permettono l’accesso. Per natura sono
stakanovista quindi la scelta è caduta sul sentiero più lungo e più
remunerativo. Ho pensato come punto di partenza la strada locale che percorre
il fondo valle della Val Pontebbana, ed essendo a febbraio l’unica incognita è
la percorribilità del tratto asfaltato e la risposta non può che arrivare il
giorno dell’escursione.
Una giornata
dal sapore primaverile accompagna questa nuova avventura, partenza prevista alle
prime ore dell’alba. Uscendo da casa con zaino e materiali al seguito scruto il
cielo, che è di un blu scuro ma sgombro da nuvole, le ultime stelle brillano
ancora e tutto mi è di buon auspicio. Lungo la strada Pontebbana ho modo di
ammirare le cime, cerco di intuire la situazione neve che troverò a Pontebba,
ma sono solo pensieri erratici, ascolto della buona musica (Led Zeppelin) e
procedo verso la cittadina prossima alla frontiera. Raggiunta Pontebba seguo le
indicazioni per il Passo di Lanza, percorrendo la stradina che si inoltra nella
Val Pontebbana. La carreggiabile inizialmente è percorribile, presto attenzione
al ghiaccio sul bordo della strada, finché superato il borgo di Studena Basso (belle
casette dall’aspetto caratteristico) mi blocco davanti ad una colata di
ghiaccio sull’asfalto, dovuta sicuramente a un rigagnolo. Scendo dal mezzo e valuto
la situazione, con la mia auto e con gli pneumatici normali di sicuro non
passo, quindi lascio il mezzo in uno spiazzo pochi metri prima e procedo a
piedi. Zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito si parte, stavolta in più,
nel capiente zaino ho posto la picca e le ciaspole, i ramponi e le ghette sono
di serie. Messomi in movimento provo una
strana sensazione di piacere, come di fuga e il sapere di dover fare più
chilometri a piedi non mi spaventa, anzi mi galvanizza. Sorrido, perché
dovrebbe farmi paura camminare, non è questo lo scopo del mio essere “viandante”?
Camminare, camminare e camminare, l’unica medicina valida contro ogni
malessere. Il camminare sull’asfalto (spesso con neve ghiacciata) con il mio
peloso mi porta lontano e le casette che incontro somigliano a quelle delle
foreste americane, un ossequioso pensiero vola a Jack London. Mi fermo presso
una baita, fuori ci sono delle panche. Mi riassetto lo zaino indossando le
ghette e i ramponi che ora mi sono necessari e con l’assetto da neve riprendo
il cammino. Dopo quattro chilometri raggiungo lo slargo (a sinistra per chi
sale) dove avrei dovuto lasciare l’auto, una tabella con nome indica che sono
in località “Carbonaie”, ai margini del bosco è posto un cartello CAI con le
indicazioni per casera Pradulina. Inizio l’escursione fuori dal manto stradale,
percorrendo una carrareccia che perde quota fino al greto del torrente
Pontebbana. Seguo dei bolli a settentrione costeggiando il fiume fino a trovare
un guado comodo che mi porta sull’altra riva. Seguendo i provvidenziali ometti
sulla neve risalgo il costone boschivo dentro un fitto bosco di faggi e
conifere, i segni sono radi e la traccia non è marcata. La neve è consistente,
mi muovo rapidamente con i ramponi dentro Il bianco bosco che mi affascina. Io e
Magritte sembriamo due lupi a caccia, a caccia di sogni o in fuga da noi stessi?
Guadando il Rio Pradulina passo dal versante settentrionale delle pendici del
Palon di Lius al versante meridionale delle pendici del Salinchiet. Dal basso
osservo la cresta del Cuel di Mat, il sentiero prosegue il suo percorso nella
valle, radi segni rossi mi guidano verso il sempre più vicino azzurro. Con una
serie di svolte guadagno quota portandomi ai margini della conca dominata dalla
casera Pradulina. Uno spettacolare paesaggio m’incanta, posso ammirare le cime
non più nascoste dalla vegetazione e le meraviglie che le circondano. Proseguo meno
lesto, a causa del caldo la neve si fa molle, permettendo agli scarponi di
affondare. La Malga Pradulina è sempre più vicina, le stalle sono in ottimo
stato, mi avvicino ad essa e nello stesso tempo cedo alla contemplazione.
Osservo che la casera è posta in un eccellente posto panoramico, da questo
pulpito posso ammirare le grandi cime delle Giulie e chi ha costruito
l’edificio lo sapeva sicuramente. Prima di entrare nella casera mi specchio in
una finestra, la vanità mi è sempre compagna e ammirato da tanta bellezza (il
paesaggio) entro dentro l’edificio. Do un’occhiata agli interni, che sono molto
frequentati, l’ambiente è diviso in più vani: una confortevole cucina, un camino
e sopra la zona notte. Mi accomodo nella zona cucina dove stanno anche i libri
firma per i visitatori. Dalla finestra osservo la cima, appare molto ripida,
decido di fare la direttissima che corrisponde all’Alta Via d’Incaroio. Mi
libero di più peso possibile lasciando lo zaino con le ciaspole nella zona
letto, e portando al seguito solo la mini sacca con: la picca, un pile, guanti
pesanti, berretto di lana, GPS e viveri. Alleggeritomi di peso riprendo il
viaggio, prima raggiugendo la cresta sopra la casera e seguendo i segni
dell’alta Via entro nel bosco di conifere. la neve con le piante crea sculture
di una bellezza difficile a raccontarsi a parole, la bella giornata fa il resto
rendendo gli attimi di un fascino sublimale. Non nascondo che mi sono fermato
spesso ad ammirare le gocce che cadono dallo sciogliersi della neve o i
pinnacoli di ghiaccio sugli alberi, in queste visioni mi perdo. Come posso
scrivere una relazione seria e tecnica se il sottoscritto è un sognatore che si
smarrisce nella bellezza della natura ad ogni passo? Proseguo per la traccia
poco marcata nella neve, lasciando le alte conifere per entrare in una fitta
mugheta. Riesco a intuire il passaggio ma non è facile, radi segni gialli di
tanto in tanto fanno capolino. Superati i mughi mi aspetta il tratto finale, un
ripido pendio erboso sotto le rocce della cresta sommitale. La traccia è difficile
da individuare senza neve figuriamoci con la presenza di quest’ultima.
Affidandomi all’istinto del lupo e con un po’ di fortuna che non guasta mai,
qualcosa scorgo, seguendo i sassi bollati in giallo mi ritrovo sotto la cima.
Gli ultimi metri, come in tutti gli ultimi metri prima dell’arrivo i più
emozionanti. Passo dopo passo, zolla dopo zolla, con una visuale sempre più
azzurra e meno grigia, finché l’azzurro è la totalità e la cima è sotto gli scarponi.
L’esile cima, pardon la lama di roccia è esile e terrificante, mi trovo esposto
su tutti i versanti. Mi pianto bene sui
ramponi, sto camminando sul vuoto e sopra di me ho solo il cielo. Nessuna croce
e presumo nemmeno il libro di vetta. Assicuro Magritte a me, non vorrei che
facesse una pazzia nello sporgersi, ed effettuo un paio di passi portandomi in
una posizione più comoda e….
Sì, ammiro
il paesaggio più bello che abbia mai visto, sono inebriato, le piccole creste
affilate mi danno tanta emozione, perché mi ricordano che noi uomini siamo
funamboli, che percorriamo l’esistenza su una fune che separa la vita dalla
morte, e anche oggi scusatemi se sarò poco eroico, ma scelgo la vita, e che
vita! Dieci anni fa non avrei mai immaginato di percorrere le cime delle alpi, e
ora è diventato il mio bisogno primario, un modo di dare un valido motivo alla
mia esistenza, e in questo istante che sono poggiato su questa pietra io esisto,
sono vivo, io sono. Gli amori, le gioie
e i dolori volano lontani, osservo il mio fedele amico che mi seguirebbe anche
nella morte, lo accarezzo mentre osservo da lontano ciò che un giorno mi fu
vicino. Ripresomi dall’emozione mi appresto per la discesa, seguendo la stessa
via dell’andata, ripida sì ma veloce. Con prudenza in breve ripercorro il
sentiero dell’andata fino alla casera, Magritte è felice, gioca come un
bambino. Raggiunta la malga entro, ma mi rendo conto immediatamente di essermi
abbassato da una gamba di pochi centimetri, cavolo! Ho smarrito Un rampone, forse
nella foga di giocare sulla neve non me ne sono accorto. <<Pazienza
Magritte! Rinviamo il pranzo, dai si torna indietro.>>Non è difficile
anche se faticoso, ripercorrere a ritroso le tracce, noto che l’impronta
sinistra sulla neve non ha le punte, quindi con santa pazienza, impronta dopo impronta.
Rido, in fondo sto ripercorrendo le orme di un grande uomo! Hahahaha, scherzo!
Per fortuna dopo solo un centinaio di metri di dislivello recupero l’oggetto
smarrito, non l’indosso nemmeno e volo via, più veloce della luce fino alla
malga. Raggiunto l’edificio recupero lo zaino, lo appronto per la ripartenza e
finalmente si pranza. Magritte scodinzola, sa bene che dopo una cima c’è una
lauta ricompensa e dividiamo il pranzo da buoni amici. Una volta saziata la
fame e firmato il libro di casera si parte. Si stava troppo bene dentro, fuori
si è abbassata bruscamente la temperatura e malgrado sia ben coperto mi si sono
congelate le dita delle mani, estraggo i guanti di lana per riscaldarle con il
fiato, ma la cosa migliore è riprendere il cammino e rientrare. Magritte conosce
la strada, gli lascio la precedenza e mi diverto nel vederlo saltare sopra i
tronchi abbattuti. Gli do l’onore di guidare il branco, lo merita. Raggiunta la
carreggiabile ci aspettano gli ultimi chilometri prima dell’auto, il mio amico
mi segue affiancandomi, osservo che di tanto in tanto zoppica, cerca di non
farsi notare mantenendo un comportamento dignitoso e stoico. Il mio caro
compagno è vecchietto, malgrado mantenga ancora il brio del cucciolo, gli anni
passano anche per lui. Osservo il suo musetto, mi guarda senza farsi notare,
come a dirmi: << Non sarò io a lasciarti, ricordalo, non ti lascerò
mai!>> Una lacrima furtiva scende sul mio volto, pensieri silenziosi di
due amici che si amano senza aver il coraggio di confessarlo. Raggiunta l’auto faccio
accomodare il fido nel vano posteriore e mi appronto per la partenza. La luce
abbandona la platea e le prime stelle brillano nel cielo. Anche oggi ho vissuto
un sogno, riempendo di bellissime immagini i ricordi. Grazie “Vita”.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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