Monte
Guslon da Baita Col Indes
Note
tecniche.
Localizzazione:
Prealpi Carniche Gruppo Col Nudo-Cavallo
Regione:
Veneto
Avvicinamento:
Lestans-Maniago-Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Alpago-Tambre- Sant’Anna- Da
Sant’Anna seguire la ripida strada campestre che porta sino alla Baita Col
Indes- ampio parcheggio con disco orario.
Dislivello:
1031 m.
Dislivello complessivo: 1031 m.
Distanza percorsa in Km: 18
Quota minima partenza: 1204 m.
Quota
massima raggiunta: 2208 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: paesaggistica-naturalistica
Difficoltà:
escursionistiche, per esperti solo la cresta finale del Castelat.
Segnavia:
CAI 926-923
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli –Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: Tutto l’anno, essendo una località idonea per lo scialpinismo.
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: ben marcato e segnato
Fonti d’acqua: no
Consigliati:
Data: martedì 07
luglio 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Monte Guslon,
una meravigliosa rampa di roccia e vegetazione protesa verso il cielo, ecco come
mi è apparsa la prima volta la selvatica
elevazione che spicca a meridione dell’Alpago. Finalmente è giunto il giorno di conoscerne i segreti,
e mappe alla mano ne studio i possibili itinerari. Decido di partire dalla
località chiamata Col Indes, lasciando l’auto presso l’ampio parcheggio dinanzi
alla malga omonima. La giornata, come quasi tutte di questo caldo mese di
luglio, promette bene, quindi, non abbiamo prescia, anzi, ce la prendiamo
comoda, e il chilometraggio in più che effettuiamo a piedi lo riteniamo un
riscaldamento. Dopo aver lasciato l’auto alla Malga di Indes, procediamo a
nord, tramite una stradina campale, passando prima per la Malga Pian Grande, da
dove inizia il divieto di transito agli automezzi non autorizzati, ampio
parcheggio con parchimetro. Naturalmente, come è consuetudine, non tutti sanno
leggere e conoscono i segnali stradali, di conseguenza non rispettano il
divieto, e tra questi automezzi ne noto un paio carico di giovani. Non rispettare
le regole non è in questo frangente segno di libertà, ma semplicemente mancanza
di rispetto verso terzi. Personalmente penso che chi raggiunge le mete con meno
fatica non sia più capace, ma semplicemente meno prestante. Noi, Giovanna e io,
proseguiamo per la carrareccia, e da brevi scorci panoramici ammiriamo
dall’alto l’Alpago che degrada dolcemente sino al lago di Santa Croce. La
stradina campale lambisce i dolci pendii occidentali della Cima delle
Vacche, e presso Col Toront, una piccola
tabella con la scritta Monte Guslon ci consiglia di lasciare il tratturo per
seguire un sentiero all’interno di un rado boschetto. Pochi metri di cammino
dentro la macchia, ed eccoci allo scoperto, alla base di un valloncello, che ci
porterà in alto, sulla cresta del monte Guslon.
Ci aspettano
ottocento metri di pendio erboso, da percorrere all’interno della valle. Un
gregge in lontananza scompare prima che possiamo raggiungerlo e fotografarlo, e
in alto le leggere vibranti nubi si divertono a coprire e scoprire il cappello
del monte Guslon, donandoci quei radi ma confortevoli momenti di refrigerio. Grazie
anche alle leggere folate di brezza provocate dalle correnti il nostro cammino
appare meno faticoso, risalendo con calma, molta calma, per non aumentare la
sudorazione, in modo da serbare l’acqua che abbiamo al seguito. Verso quota
1800 m. ci alleggeriamo degli zaini, eclissandoli dentro una mugheta.
Procediamo leggeri con le nostre mini-sacche, lievi dal peso, come farfalle,
puntando dritti al vertice. Poco sotto la cresta il tratto inerbito lascia campo
a brevi zolle intervallate da ghiaia, fino a raggiungere il crinale dove la
roccia predomina. Un sentiero ben marcato e segnato si stacca alla base del crestone
roccioso, proprio sotto dei bei massi che viene voglia di abbracciarli e
arrampicarvisi. La traccia devia a destra, spingendosi sul versante meridionale
del monte, dove il tratto inerbito intervallato da brevi scorci di ghiaino
riprende il sopravvento. Pochi metri di dislivello, e si vaga su un’ampia
cresta frastagliata. Gli onnipresenti ometti di sassi guidano il nostro cammino verso la vetta. Una
nube avvolge la cima, rendendola misteriosa, finché, con il progredire del
passo, la stessa nebbia svanisce, svelando una
croce. Ci siamo! Le fatiche stanno per avere termine.
Raggiunta la
croce, intuisco che non è la vetta fisica, ma quella panoramica, mentre quella
reale, dista pochi metri più oriente, dopo il breve tratto di cresta
frastagliata.
Giovanna si
fermerebbe, io per curiosità raggiungo la cima fisica, dove su un masso trovo
delle orrende scritte a vernice che
deturpano il sito. Sullo stesso masso
erigo un corposo ometto, dove all’interno serbo il Sacro Graal degli spiriti liberi.
Il paesaggio dalla vetta è spettacolare:
scruto i vicini rilievi che proteggono
il rifugio Semenza, dalla dorsale che da Cima Manera conduce al Col Nudo alle
dolomiti friulane e venete, fino alle Prealpi trevigiane. Mentre gironzoliamo
intorno all’ometto, notiamo che sulla vetta con croce in legno è giunto un‘escursionista, noi rientriamo sul pulpito .
Raggiunta la croce, salutiamo il viandante, e dopo le consuete frasi comuni instauriamo
una simpatica conversazione. L’amico si chiama Roberto, è un simpatico
romagnolo, sposato con una trevigiana, e vive e opera nel triveneto da tempo. I
romagnoli per antonomasia sono dei gran simpaticoni, sopranominati amabilmente “
I terroni del nord”; apprezzano la chiacchera, la buona cucina, e di idee sono
sempre stati rivoluzionari, quindi,
Roberto in noi trova un portone aperto, vagando con il dialogo per più di un ‘ora, in lungo e in largo con
argomenti vari. Nel frattempo, in vetta, sopraggiungono due atletici teutonici,
padre e figlio, essi indossano un sorriso smagliante. In pochi metri, nel
meriggio e in vetta, si trovano: due
siculi, un romagnolo e due tedeschi, naturalmente su una cima veneta ma
adiacente a una cresta friulana. Adoro questo ecumenismo tra escursionisti. Gli
atletici escursionisti d’oltre alpe
iniziano il rientro in veloce discesa, noi proseguiamo con Roberto,
finché, anch’egli ci lascia per rientrare. La sagoma dell’amico scompare
velocemente all’orizzonte, e noi ci approntiamo per desinare. Un buon panino
con la frittata e un buon vino siculo ci aspettano nella borsa termica che
serbo nel mio zaino, ed è giunto il momento di porre fine alla loro esistenza.
Ora il cielo è totalmente sgombro da nubi, è il paesaggio è visibile fino
all’infinito. Il caldo si fa sentire, e dobbiamo fare più di mille metri di
dislivello in discesa, sempre esposti al sole e senza il minimo refrigerio dell’ombra
della vegetazione. Con santa pazienza ci organizziamo, e pian pianino
rientriamo, stando sempre attenti a non fare scivoloni sulla ghiaia. Raggiunta
la base del valloncello, ritroviamo la stradina campestre, che con dolcezza ci riporta
al Col Indes.
Il monte Guslon
era da tempo nella mia lista; In una
precedente escursione avevamo fatto Il monte Castelat sempre dallo stesso luogo di partenza, ma
passando per il rifugio Semenza, e abbinandolo con il monte Cornon.
Allora,
nell’anno 2020, decidemmo che il Monte Guslon meritasse un giorno solo per sé,
e così è stato. I monti sono simili agli esseri umani: a tutti fa piacere che prima
o poi nella vita qualcuno ci dedichi un giorno intero, solo per noi, per
poterci amare con più enfasi e sentimento.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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