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lunedì 8 agosto 2022

Monte Sciara anno 2022

Monte Sciara 1686 m.  dalla Val Preone.

Cronaca di un soccorso ovino.

Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche

Avvicinamento: Pinzano al Tagliamento- Flagogna- -Anduins- Val D’Arzino-San Francesco- Sella Chiampon.

Dislivello: 927 m.

 Dislivello complessivo: 1030 m.

Distanza percorsa in Km: 16 Km.

Quota minima partenza: 760 m.

Quota massima raggiunta: 1687 m.

Tempi di percorrenza. 5, 5 ore escluse le soste.

In: Coppia.

 Tipologia Escursione:

Difficoltà:  Escursionistiche

Segnavia: CAI 826; 830.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: Si (M. Sciara.)

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 028.

Periodo consigliato: settembre-ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato fino al monte Sciara Piccolo, la cresta non segnata

Fonti d’acqua:

Data: 03 agosto 2022

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 

La prima e unica regola dell’essere liberi è… non fare programmi, è un inutile spreco di energie. Infatti,  per quest’ultima escursione mi ero organizzato per andare presso il lago di Bordaglia, al confine con l’Austria, ma pochi minuti dopo la partenza dalla ridente cittadina di Lestans, il mio pensiero è volato alle montagne che proteggono la Val Tramontina, precisamente lo Sciara e il monte Valcalda.

Sono elevazioni che ben conosco, ma che ultimamente, dopo aver saputo della triste dipartita di un mio caro amico, sono ritornate in auge con sensazioni molto intense. Quindi, presso il ponte che supera il torrente Arzino, non viro a destra per  Cornino, ma continuo dritto, per addentrarmi nella valle dell’omonimo torrente. Il mio Pegaso di metallo vola velocemente in direzione  delle frazioni di San Francesco, e di seguito per Preone, che nelle prime ore del mattino risuona dell’operato degli infaticabili boscaioli.

La temperatura fuori l’abitacolo dell’auto è frizzantina, ma lo sarà ancora solo per pochi istanti. Lasciamo l’automezzo presso  il classico spiazzo  che precede la strada forestale che ascende sino alla malga Teglara. Una volta pronti, si parte, scaldando subito i muscoli del corpo, quel tanto che ci fa ritrovare dopo pochi tornanti in maglietta perché accaldati.

La strada forestale da percorrere mi ricorda una canzone dei Beatles “The long and winding road “ la strada è lunga e tortuosa,  l’ho percorsa in passato tante volte, e anche oggi sarà lunga e sinuosa. Ma è l’ideale per discutere, visto che si può procedere accostati. Durante la lunga conversazione analizziamo i recenti avvenimenti del vivere quotidiano, la montagna è anche questo,  un’eccellente pausa riflessiva. Un oceano di parole è il tempo intercorso per compiere l’intera carrareccia all’interno di un fitto bosco di faggi.  E la lunga serie di tornanti è così interminabile, che abbiamo perso la dimensione del tempo e dello spazio. Finalmente la remota stradina si apre a uno splendido teatro, il paesaggio dal sapore ellenico. La terra è tinta di giallo per via della calda estate, la volta celeste, dall’intenso color blu cobalto, si diverte a esibire le  civettuole  e singole candide nuvolette. Le nostre mete paiono vicine per via dell’orizzonte che nasconde le forme.  Si giunge alla casera Teglara, conosco da tempo l’edificio. All’interno, nella stanza con camino e adibita ai visitatori, stanno appesi dei quadretti con foto in bianco e nero, che mostrano i montanari di una volta. Mi colpisce una scritta in particolare ” Vai in montagna finché hai tempo, perché verrà il tempo in cui non avrai tempo. Non è lontano quel tempo…” La frase sembra scritta da un poeta medievale, pare più una minaccia più  che un consiglio. Un monito a non fare domani quello che possiamo fare oggi, semplicemente “Carpe Diem”. Nella stanza attigua alloggia il pastore, che ora scorgiamo da lontano con il numeroso gregge avvicinarsi. Piccola sosta, e si riprende  il passo. Usciti dalla casera si mira a occidente, scorgiamo dei segni CAI, ma di seguito, l’istinto selvaggio prevale. Tagliamo per i dossi, mirando alla cresta che unisce il monte Sciara al monte Valcalda.

La mia compagna mi segue fiduciosa, con me in montagna ne ha passate di tutti i colori, ma non si è mai persa. Taglio il pendio erboso in diagonale, seguendo nel mio  zizzagare le tracce che mi hanno lasciato i saggi animali. Finalmente la cresta! Quest’ultima per il sottoscritto vale più della vetta, che nel suo significato intrinseco è un fine, mentre la cresta è un continuo vivere, un divenire…

Mentre proseguiamo per il Monte Valcalda, osservo la mia compagna, la vedo titubante, le chiedo cosa c’è che non va. Mi confida di essere rapita dalla mole del monte ma non avendo al seguito i ramponi da erba non si sente sicura. Le chiedo se vuole invertire direzione e dirigersi per il monte Sciara. Acconsente! Dalla cresta invertiamo direzione, stavolta mirando a sud, in direzione dell’enorme  macchia verde creata dal rododendro. Dal crinale avvisto una pecora smarrita, grido da lontano al pastore per attirare la sua attenzione, ma non mi comprende. Proseguo, segnalerò la posizione della smarrita al rientro. Poco sotto la vetta dello Sciara piccolo, sento un improvviso belare e vedo sbucare da un cespuglio un candido agnellino dal bianco color e con un tocco di pittura azzurra. Sembra impaurito, bela di continuo e mi segue, come se io fossi la sua mamma. Rimaniamo per un attimo basiti, siamo a pochi metri dalla vetta, quindi, raggiungiamo velocemente la meta e di seguito rientriamo con il malcapitato dal pastore. Per un pezzo di tragitto  l’agnellino mi segue diligentemente, poi si ferma per la stanchezza. Ci alterniamo con la mia compagna nel prenderlo in braccio, e noto che si fa coccolare. Ascolto i battiti del piccolo cuoricino, sono lenti e cadenzati, si fida.  Raggiunta velocemente la meta, ritorniamo indietro di pochi metri, all’ombra di un cespuglio, per pranzare. Gli bagniamo d’acqua la bocca, ma non smette di belare, facendomi prescia per il rientro. La nostra pausa scorre velocemente. Ci rimettiamo in piedi, io prendo l’agnellino, mentre Giovanna porta a seguito anche i miei  bastoncini da trekking. Durante l’avvicinamento alla casera Teglara, sono indeciso se portare l’agnellino al pastore, o direttamente al gregge, che nel frattempo è stato rinchiuso dentro un recinto elettrificato. L’indecisione permane fino all’ultimo. Il pastore, malgrado io lo chiami ad alta voce, non risponde. Decido di cambiare direzione e tra il pendio inerbito mi dirigo al gregge. All’improvviso un belare collettivo giunge dal gregge, e il piccolo risponde. Mentre mi avvicino si crea una sinfonia, una continua conversazione tra la massa e il perduto agnello. Sorrido, provo a tradurre con la fantasia il belare, ma di certo riporto all’ovile lo sperduto, che poteva diventare vittima di qualche animale predatore. Del gregge è l’ultimo nascituro, mentre lo abbraccio, spesso dal basso gli sfioro quello che rimane del cordone ombelicale. Pochi metri ancora ed eccolo dentro il recinto, e di corsa si catapulta su una pecora, anch’essa segnata con il blu. La mamma! L’agnellino è ritornato dalla sua mamma, e i Malfattori hanno compiuto una buona azione. Sembra una favola a lieto fine, sicuramente lo è, tutto diventa magico quando si agisce con amore, è la mia filosofia di vita. Amare non è un‘attività che porta lucro, ma fa stare bene chi ti circonda, e in un certo senso, rende immortali, perché l’amore, quello vero, non muore mai…

Raggiungiamo il pastore, e guarda caso, viene dalle lontane terre che un dì furono le native di un certo Alessandro Magno. Lo informiamo dell’agnellino e della pecora smarrita, ci ringrazia, lo ringrazio io con il cuore per via di quel sorriso e quella bontà che hanno gli uomini solitari, che vivono in perenne compagnia degli Dei. Rientriamo per la stessa strada di campagna, anche al ritorno è lunga e tortuosa. Mentre deambulo, stanco per la fatica accumulata, rifletto su quello che è accaduto, e tiro le conclusioni. Mi sono reso conto, mentre tenevo in braccio l’agnellino, e per l’istinto delle mie azioni, di essere sempre stato un pastore. Nell’antichità sicuramente avrei professato questo mestiere. Nella vita reale, sin da ragazzo, sono stato una guida, un capo banda, e per mestiere ho comandato uomini. In entrambi le funzioni ho sempre cercato di recuperare qualcuno: dai  compagni di gioco che qualcuno emarginava, ai soldati che per momentanei smarrimenti erano in crisi, e spesso li portavo sulla retta via, quella della cultura e del credere che il domani sarà sempre migliore. Come un pastore mi sono sempre affidato ad amici sicuri ( i cani), e ho sempre tenuto d’occhio le pecore nere, quelle che con l’agire ingannevole spingevano le pecore lontano dalla via maestra. La montagna è una metafora, e anche oggi ho salvato una vita, ma mentre rientravo, mi sono chiesto più volte, se in realtà io facessi la cosa giusta. L’agnello non è uno spirito libero, cercava solo il conforto della mamma e della massa, quella sicurezza che dà la reclusione del recinto, la società. Come pastore, l’ho  erroneamente protetto privandolo di quella parola astratta che rende insicuri chi non l’ha mai vissuta, e che per noi, lupi solitari, suona come “libertà”.

Il Forestiero Nomade.

Malfa











































 

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