Monte Sciara
1686 m. dalla Val Preone.
Cronaca di
un soccorso ovino.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Prealpi Carniche
Avvicinamento:
Pinzano al Tagliamento- Flagogna- -Anduins- Val D’Arzino-San Francesco- Sella
Chiampon.
Dislivello: 927
m.
Dislivello complessivo: 1030 m.
Distanza
percorsa in Km: 16 Km.
Quota minima
partenza: 760 m.
Quota
massima raggiunta: 1687 m.
Tempi di
percorrenza. 5, 5 ore escluse le soste.
In: Coppia.
Tipologia Escursione:
Difficoltà: Escursionistiche
Segnavia: CAI
826; 830.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: Si (M. Sciara.)
Libro di
vetta: no
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 028.
Periodo
consigliato: settembre-ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato fino al monte Sciara Piccolo, la cresta non
segnata
Fonti
d’acqua:
Data: 03
agosto 2022
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
La prima e
unica regola dell’essere liberi è… non fare programmi, è un inutile spreco di
energie. Infatti, per quest’ultima
escursione mi ero organizzato per andare presso il lago di Bordaglia, al
confine con l’Austria, ma pochi minuti dopo la partenza dalla ridente cittadina
di Lestans, il mio pensiero è volato alle montagne che proteggono la Val
Tramontina, precisamente lo Sciara e il monte Valcalda.
Sono elevazioni
che ben conosco, ma che ultimamente, dopo aver saputo della triste dipartita di
un mio caro amico, sono ritornate in auge con sensazioni molto intense. Quindi,
presso il ponte che supera il torrente Arzino, non viro a destra per Cornino, ma continuo dritto, per addentrarmi
nella valle dell’omonimo torrente. Il mio Pegaso di metallo vola velocemente in
direzione delle frazioni di San
Francesco, e di seguito per Preone, che nelle prime ore del mattino risuona dell’operato
degli infaticabili boscaioli.
La
temperatura fuori l’abitacolo dell’auto è frizzantina, ma lo sarà ancora solo
per pochi istanti. Lasciamo l’automezzo presso
il classico spiazzo che precede
la strada forestale che ascende sino alla malga Teglara. Una volta pronti, si
parte, scaldando subito i muscoli del corpo, quel tanto che ci fa ritrovare
dopo pochi tornanti in maglietta perché accaldati.
La strada
forestale da percorrere mi ricorda una canzone dei Beatles “The long and winding
road “ la strada è lunga e tortuosa, l’ho
percorsa in passato tante volte, e anche oggi sarà lunga e sinuosa. Ma è l’ideale
per discutere, visto che si può procedere accostati. Durante la lunga
conversazione analizziamo i recenti avvenimenti del vivere quotidiano, la montagna
è anche questo, un’eccellente pausa
riflessiva. Un oceano di parole è il tempo intercorso per compiere l’intera
carrareccia all’interno di un fitto bosco di faggi. E la lunga serie di tornanti è così
interminabile, che abbiamo perso la dimensione del tempo e dello spazio. Finalmente
la remota stradina si apre a uno splendido teatro, il paesaggio dal sapore
ellenico. La terra è tinta di giallo per via della calda estate, la volta celeste,
dall’intenso color blu cobalto, si diverte a esibire le civettuole
e singole candide nuvolette. Le nostre mete paiono vicine per via dell’orizzonte
che nasconde le forme. Si giunge alla casera
Teglara, conosco da tempo l’edificio. All’interno, nella stanza con camino e
adibita ai visitatori, stanno appesi dei quadretti con foto in bianco e nero, che
mostrano i montanari di una volta. Mi colpisce una scritta in particolare ” Vai
in montagna finché hai tempo, perché verrà il tempo in cui non avrai tempo. Non
è lontano quel tempo…” La frase sembra scritta da un poeta medievale, pare più una
minaccia più che un consiglio. Un monito
a non fare domani quello che possiamo fare oggi, semplicemente “Carpe Diem”.
Nella stanza attigua alloggia il pastore, che ora scorgiamo da lontano con il
numeroso gregge avvicinarsi. Piccola sosta, e si riprende il passo. Usciti dalla casera si mira a
occidente, scorgiamo dei segni CAI, ma di seguito, l’istinto selvaggio prevale.
Tagliamo per i dossi, mirando alla cresta che unisce il monte Sciara al monte
Valcalda.
La mia
compagna mi segue fiduciosa, con me in montagna ne ha passate di tutti i
colori, ma non si è mai persa. Taglio il pendio erboso in diagonale, seguendo
nel mio zizzagare le tracce che mi hanno
lasciato i saggi animali. Finalmente la cresta! Quest’ultima per il
sottoscritto vale più della vetta, che nel suo significato intrinseco è un
fine, mentre la cresta è un continuo vivere, un divenire…
Mentre
proseguiamo per il Monte Valcalda, osservo la mia compagna, la vedo titubante,
le chiedo cosa c’è che non va. Mi confida di essere rapita dalla mole del monte
ma non avendo al seguito i ramponi da erba non si sente sicura. Le chiedo se
vuole invertire direzione e dirigersi per il monte Sciara. Acconsente! Dalla
cresta invertiamo direzione, stavolta mirando a sud, in direzione dell’enorme macchia verde creata dal rododendro. Dal
crinale avvisto una pecora smarrita, grido da lontano al pastore per attirare
la sua attenzione, ma non mi comprende. Proseguo, segnalerò la posizione della
smarrita al rientro. Poco sotto la vetta dello Sciara piccolo, sento un
improvviso belare e vedo sbucare da un cespuglio un candido agnellino dal
bianco color e con un tocco di pittura azzurra. Sembra impaurito, bela di
continuo e mi segue, come se io fossi la sua mamma. Rimaniamo per un attimo
basiti, siamo a pochi metri dalla vetta, quindi, raggiungiamo velocemente la
meta e di seguito rientriamo con il malcapitato dal pastore. Per un pezzo di
tragitto l’agnellino mi segue
diligentemente, poi si ferma per la stanchezza. Ci alterniamo con la mia
compagna nel prenderlo in braccio, e noto che si fa coccolare. Ascolto i
battiti del piccolo cuoricino, sono lenti e cadenzati, si fida. Raggiunta velocemente la meta, ritorniamo
indietro di pochi metri, all’ombra di un cespuglio, per pranzare. Gli bagniamo
d’acqua la bocca, ma non smette di belare, facendomi prescia per il rientro. La
nostra pausa scorre velocemente. Ci rimettiamo in piedi, io prendo l’agnellino,
mentre Giovanna porta a seguito anche i miei bastoncini da trekking. Durante l’avvicinamento
alla casera Teglara, sono indeciso se portare l’agnellino al pastore, o direttamente
al gregge, che nel frattempo è stato rinchiuso dentro un recinto elettrificato.
L’indecisione permane fino all’ultimo. Il pastore, malgrado io lo chiami ad alta
voce, non risponde. Decido di cambiare direzione e tra il pendio inerbito mi
dirigo al gregge. All’improvviso un belare collettivo giunge dal gregge, e il
piccolo risponde. Mentre mi avvicino si crea una sinfonia, una continua
conversazione tra la massa e il perduto agnello. Sorrido, provo a tradurre con
la fantasia il belare, ma di certo riporto all’ovile lo sperduto, che poteva
diventare vittima di qualche animale predatore. Del gregge è l’ultimo nascituro,
mentre lo abbraccio, spesso dal basso gli sfioro quello che rimane del cordone
ombelicale. Pochi metri ancora ed eccolo dentro il recinto, e di corsa si
catapulta su una pecora, anch’essa segnata con il blu. La mamma! L’agnellino è
ritornato dalla sua mamma, e i Malfattori hanno compiuto una buona azione.
Sembra una favola a lieto fine, sicuramente lo è, tutto diventa magico quando
si agisce con amore, è la mia filosofia di vita. Amare non è un‘attività che porta
lucro, ma fa stare bene chi ti circonda, e in un certo senso, rende immortali, perché
l’amore, quello vero, non muore mai…
Raggiungiamo
il pastore, e guarda caso, viene dalle lontane terre che un dì furono le native
di un certo Alessandro Magno. Lo informiamo dell’agnellino e della pecora
smarrita, ci ringrazia, lo ringrazio io con il cuore per via di quel sorriso e
quella bontà che hanno gli uomini solitari, che vivono in perenne compagnia
degli Dei. Rientriamo per la stessa strada di campagna, anche al ritorno è lunga
e tortuosa. Mentre deambulo, stanco per la fatica accumulata, rifletto su quello
che è accaduto, e tiro le conclusioni. Mi sono reso conto, mentre tenevo in
braccio l’agnellino, e per l’istinto delle mie azioni, di essere sempre stato un
pastore. Nell’antichità sicuramente avrei professato questo mestiere. Nella
vita reale, sin da ragazzo, sono stato una guida, un capo banda, e per mestiere
ho comandato uomini. In entrambi le funzioni ho sempre cercato di recuperare
qualcuno: dai compagni di gioco che
qualcuno emarginava, ai soldati che per momentanei smarrimenti erano in crisi, e
spesso li portavo sulla retta via, quella della cultura e del credere che il
domani sarà sempre migliore. Come un pastore mi sono sempre affidato ad amici sicuri
( i cani), e ho sempre tenuto d’occhio le pecore nere, quelle che con l’agire ingannevole
spingevano le pecore lontano dalla via maestra. La montagna è una metafora, e
anche oggi ho salvato una vita, ma mentre rientravo, mi sono chiesto più volte,
se in realtà io facessi la cosa giusta. L’agnello non è uno spirito libero,
cercava solo il conforto della mamma e della massa, quella sicurezza che dà la
reclusione del recinto, la società. Come pastore, l’ho erroneamente protetto privandolo di quella
parola astratta che rende insicuri chi non l’ha mai vissuta, e che per noi,
lupi solitari, suona come “libertà”.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa
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