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mercoledì 18 agosto 2021

Monte Zimon di Cajada

Monte Zimon di Cajada

 

 

Localizzazione: Alpi Dolomitiche – Dolomiti Bellunesi - Gruppo Schiara Pelf -

 

Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale-Barcis-Cimolais- Valle del Vajont-Longarone- frazione di Faè- indicazioni per la carrozzabile per Casera Cajada- Casera Cajada (q.1157 m.).

 

Regione: Veneto

 

Provincia di: Belluno  

.

Dislivello: 830 m.

 

Dislivello complessivo: 830 m.


Distanza percorsa in Km: 8


Quota minima partenza: 1157 m.

 

Quota massima raggiunta: 1819 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5

In: coppia

 

Tipologia Escursione: selvaggio-escursionistica

 

Difficoltà: E.E. con brevi passaggi di arrampicata di I° grado inferiore, cresta a volte molto esposta.

 

Tipologia sentiero o cammino: Sentiero CAI con tipologia per esperti.

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI 529- 572

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: si, istallato barattolo di vetro con taccuino spiriti liberi.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 024
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato:  

3)           

4)          Da evitare da farsi in: condizione di sentiero ghiacciato.

Condizioni del sentiero: Selvaggio.


Consigliati: ramponi per erba

Data: 14 agosto 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Se smetti di sognare è finita, questo è il motto che ho coniato per il gruppo “    La montagna per spiriti liberi”, ed è la frase guida della mia esistenza. Non ho mai smesso di sognare, e non ho mai prefisso una data per realizzare i sogni, vi ho semplicemente creduto, e giorno dopo giorno, anno dopo anno ho perseverato, tenendo dritto la barra del timone sugli obiettivi.

Per lo stesso motivo, amo sognare a occhi aperti: di castelli, di principesse e cavalieri che sfidano draghi, in fondo basta crederci e trasformare con il potere della fantasia una cima impervia in un maniero, e quindi non rimane che conquistarlo.

Monte Zimon di Cajada, è l’ultimo castello che abbiamo conquistato. Durante l’escursione sul monte Zervoi notammo le pareti meridionali, impressionanti e ripidissime, che avrebbero anche  fatto sognare un mito come Walter Bonatti. Da un approfondita visione sulla mappa notai che un sentiero CAI, il 572, ne cavalcava le creste, quindi è accessibile. Con la mia compagna ci siamo ripromessi di scalarlo. Come spesso mi succede, prima di scegliere la meta, il nome del monte inizia a ronzarmi in mente, come se il mio subconscio ne avesse programmato l’operazione. Una settimana dopo l’ascesa sul Monte Zervoi rieccoci di nuovo nel meraviglioso bosco di Pian di Cajada, la valle dominata dal monte Pelf. Appena giunti al parcheggio in pochi minuti ci approntiamo, e zaino in spalle si parte. La nostra meta è sopra di noi, ci domina e intimorisce. Ci avviamo alla ricerca dell’arcano sentiero che permetterà di volare lassù. Una carrareccia sfiora gli edifici di Casera Cajada, e ci indirizza dentro il fitto bosco. Presso l’edificio è posta una fontana, e su un lato del manufatto è inciso il profilo di un cavallo, simpatica opera creativa di un anonimo artista. La carrareccia sicuramente è di servizio ai boscaioli (sentiero CAI 529), infatti, con una particolare ripidezza, risale il versante boschivo, finché lascia il posto a un bel sentiero silvestre.

Una traccia ben battuta si addentra all’interno di un catino popolato da una selva di conifere. Percorriamo la base di un immaginario imbuto naturale, e ne ascendiamo il ripido versante, aiutati da comode cenge e tratti di inerbito pendio, finche scorgiamo tra i verdi arbusti le figure gotiche e dolomitiche dei gendarmi posti di guardia alla selvaggia valle.

Un ripido e faticoso prato inerbito ci conduce a un insellamento, radi paletti ci guidano in questo oceano giallo-verde, finché ne raggiungiamo il vertice.

Breve sosta, riprendiamo fiato, e subito dopo, scorgendo i radi segni nascosti dai fili d’erba, ne seguiamo la traccia che taglia il versante orientale delle Selle del Gravedel.  La pesta ben percorribile a volte è insidiosa, il lungo traverso ci conduce al bivio dove il sentiero appena trascorso e numerato 529 cede il passo a quello numerato 572, segnato sulla mappa con puntini, quindi per esperti.

Una tabella segnaletica, remota, evidenzia che la manutenzione non è recente. All’ombra di un abete ci approntiamo per l’ascesa alla vetta, calziamo i ramponi da erba, intuendo che in alcuni tratti la cresta è molto scoscesa. Una volta pronti iniziamo a cavalcare il crinale, da neo-funamboli, è la nostra passione. Dalla cresta la visione è sempre a 360 gradi, e se si ha la fortuna di avere una giornata con il meteo eccellente lo spettacolo è assicurato. I primi tratti della cresta non preoccupano, la traccia è ben battuta e intervallata dalla presenza di arcigni alberi, tra cui ricordo i faggi, alcuni abeti e naturalmente i mughi. Ma la sorpresa non tarda ad arrivare. Alcuni cocuzzoli sono da brivido, esposti a strapiombo sulla valle, e spesso su entrambi i versanti. Con cautela adoperiamo anche le mani, e naturalmente confidiamo nelle aguzze punte dei nostri ramponi, che si ficcano in profondità nel terreno. Alcuni passaggi sono molto esposti, quindi viene naturale per rendere più sicura la progressione liberarci dal peso degli zaini.  Poco metri prima di un salto roccioso, evidenziato da uno spezzone di corda, ci liberiamo dei fedeli compagni di viaggio (zaini) portando al seguito solo delle piccole sacche con abbeveraggio e una giacca per coprirci in caso (improbabile) che il meteo peggiori.

Superato il salto con l’aiuto di alcune forti radici e della corda, iniziamo l’assalto finale alla vetta. Percorriamo un tratto più ripido rispetto al precedente, ma nulla di trascendentale, anzi, gli ultimi dorsi che precedono la cima sono meravigliosi e fiabeschi, inerbiti e di un verde brillante. Ora siamo estasiati e la croce dello Zimon è sempre più vicina. Percorriamo un sentiero fantastico, ma siamo continuamente esposti, quindi non molliamo mai la concentrazione. Pochi metri sotto il vertice cedo il passo alla mia compagna, offrendo, da buon cavaliere, l’onore di raggiungere per prima la meta.  

Un grande croce in metallo assicurata con cavi è il bottino della conquista (quota 1819 m.), nessun libro di vetta (provvediamo noi), solo un piccolo focolare posto poco distante dalla croce. Un masso luminoso di luce bianca fa da riferimento per le nostre normali operazioni di vertice. Durante l’ascesa ho avuto modo di ammirare il vicino Pelf, lo adoro, lo conquistai anni fa, e rimane, a imperitura memoria, una delle mie montagne preferite. Dalla vetta ammiriamo l’immensità delle dolomiti bellunesi, e di quelle vicine friulane. L’atmosfera della canicolare giornata attenua i colori e le sfumature, dando al paesaggio un vellutato tocco di azzurro, e lo stesso Pelmo par dipinto ad acquerello.

Dopo le dovute operazioni, rientriamo, ripercorrendo il sentiero a ritroso. Superati gli ostacoli, recuperiamo gli zaini, e procediamo fino al prato inerbito poco sotto le Selle di Gravedel. Presso un folto mugo cerchiamo l’ombra e decidiamo di desinare. Finalmente ci sdraiamo, momento di estasi, non certo liberatorio come quando si tolgono gli scarponi dopo una faticosa marcia, ma ne sentiamo la necessità. Ci nutriamo con calma, cadenzando i morsi sul vitto, come a voler prolungare la pausa, non abbiamo premura. Il nostro desiderio sarebbe quello di fare un pisolino, chiudendo gli occhi davanti a questa meravigliosa visione, ma l’esperienza consiglia di alzare la schiena, di issare i corpi e continuare la discesa. Dopo l’ultimo tratto esposto, togliamo i ramponi, e le ghette, utili quest’ultime a rassicurarci da incontri ravvicinati del terzo tipo con le vipere. La distanza che ci separa dalla casera Cajada passa velocemente, in breve tempo siamo all’auto, ma le gioie dell’escursione non sono finite. Presso una tabella esplicativa con indicazioni escursionistiche è posta una bella fontanella, e a essa miriamo avidamente, armati di saponi, unguenti e asciugamano. Dopo il piacere provato nell’aver tolto gli scarponi e indossato i sandali, quest’ultimo lo supera notevolmente. Siamo letteralmente all’estasi, piacere che si aggiunge a piacere. Per un attimo volgiamo lo sguardo alla nostra recente conquista, un dolce sorriso, un occhiolino di compiacimento e di complicità. Non abbiamo mai smesso di sognare, lo spirito libero muta i sogni in magica realtà, e noi lo abbiamo fatto.

Il Forestiero Nomade.

Malfa. 



















































































































 

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