Monte Zimon di Cajada
Localizzazione: Alpi Dolomitiche –
Dolomiti Bellunesi - Gruppo Schiara Pelf -
Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale-Barcis-Cimolais-
Valle del Vajont-Longarone- frazione di Faè- indicazioni per la carrozzabile
per Casera Cajada- Casera Cajada (q.1157 m.).
Regione: Veneto
Provincia di: Belluno
.
Dislivello: 830 m.
Dislivello complessivo: 830 m.
Distanza percorsa in Km: 8
Quota minima partenza: 1157 m.
Quota massima raggiunta: 1819 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5
In: coppia
Tipologia Escursione: selvaggio-escursionistica
Difficoltà: E.E. con brevi passaggi di arrampicata di I° grado
inferiore, cresta a volte molto esposta.
Tipologia
sentiero o cammino: Sentiero CAI con tipologia per esperti.
Ferrata-
Segnavia: CAI 529- 572
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: si,
istallato barattolo di vetro con taccuino spiriti liberi.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 024
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in: condizione di sentiero ghiacciato.
Condizioni del
sentiero: Selvaggio.
Consigliati: ramponi per erba
Data: 14 agosto 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Se smetti di sognare è
finita, questo è il motto che ho coniato per il gruppo “ La montagna per spiriti liberi”, ed è la frase guida della mia
esistenza. Non ho mai smesso di sognare, e non ho mai prefisso una data per
realizzare i sogni, vi ho semplicemente creduto, e giorno dopo giorno, anno
dopo anno ho perseverato, tenendo dritto la barra del timone sugli obiettivi.
Per lo stesso motivo,
amo sognare a occhi aperti: di castelli, di principesse e cavalieri che sfidano
draghi, in fondo basta crederci e trasformare con il potere della fantasia una
cima impervia in un maniero, e quindi non rimane che conquistarlo.
Monte Zimon di Cajada,
è l’ultimo castello che abbiamo conquistato. Durante l’escursione sul monte
Zervoi notammo le pareti meridionali, impressionanti e ripidissime, che
avrebbero anche fatto sognare un mito
come Walter Bonatti. Da un approfondita visione sulla mappa notai che un
sentiero CAI, il 572, ne cavalcava le creste, quindi è accessibile. Con la mia
compagna ci siamo ripromessi di scalarlo. Come spesso mi succede, prima di
scegliere la meta, il nome del monte inizia a ronzarmi in mente, come se il mio
subconscio ne avesse programmato l’operazione. Una settimana dopo l’ascesa sul
Monte Zervoi rieccoci di nuovo nel meraviglioso bosco di Pian di Cajada, la
valle dominata dal monte Pelf. Appena giunti al parcheggio in pochi minuti ci
approntiamo, e zaino in spalle si parte. La nostra meta è sopra di noi, ci
domina e intimorisce. Ci avviamo alla ricerca dell’arcano sentiero che
permetterà di volare lassù. Una carrareccia sfiora gli edifici di Casera Cajada,
e ci indirizza dentro il fitto bosco. Presso l’edificio è posta una fontana, e
su un lato del manufatto è inciso il profilo di un cavallo, simpatica opera creativa
di un anonimo artista. La carrareccia sicuramente è di servizio ai boscaioli (sentiero
CAI 529), infatti, con una particolare ripidezza, risale il versante boschivo,
finché lascia il posto a un bel sentiero silvestre.
Una traccia ben
battuta si addentra all’interno di un catino popolato da una selva di conifere.
Percorriamo la base di un immaginario imbuto naturale, e ne ascendiamo il
ripido versante, aiutati da comode cenge e tratti di inerbito pendio, finche
scorgiamo tra i verdi arbusti le figure gotiche e dolomitiche dei gendarmi posti
di guardia alla selvaggia valle.
Un ripido e faticoso
prato inerbito ci conduce a un insellamento, radi paletti ci guidano in questo
oceano giallo-verde, finché ne raggiungiamo il vertice.
Breve sosta,
riprendiamo fiato, e subito dopo, scorgendo i radi segni nascosti dai fili d’erba,
ne seguiamo la traccia che taglia il versante orientale delle Selle del Gravedel.
La pesta ben percorribile a volte è
insidiosa, il lungo traverso ci conduce al bivio dove il sentiero appena
trascorso e numerato 529 cede il passo a quello numerato 572, segnato sulla
mappa con puntini, quindi per esperti.
Una tabella segnaletica,
remota, evidenzia che la manutenzione non è recente. All’ombra di un abete ci
approntiamo per l’ascesa alla vetta, calziamo i ramponi da erba, intuendo che
in alcuni tratti la cresta è molto scoscesa. Una volta pronti iniziamo a cavalcare
il crinale, da neo-funamboli, è la nostra passione. Dalla cresta la visione è
sempre a 360 gradi, e se si ha la fortuna di avere una giornata con il meteo eccellente
lo spettacolo è assicurato. I primi tratti della cresta non preoccupano, la
traccia è ben battuta e intervallata dalla presenza di arcigni alberi, tra cui
ricordo i faggi, alcuni abeti e naturalmente i mughi. Ma la sorpresa non tarda
ad arrivare. Alcuni cocuzzoli sono da brivido, esposti a strapiombo sulla
valle, e spesso su entrambi i versanti. Con cautela adoperiamo anche le mani, e
naturalmente confidiamo nelle aguzze punte dei nostri ramponi, che si ficcano in
profondità nel terreno. Alcuni passaggi sono molto esposti, quindi viene naturale
per rendere più sicura la progressione liberarci dal peso degli zaini. Poco metri prima di un salto roccioso,
evidenziato da uno spezzone di corda, ci liberiamo dei fedeli compagni di
viaggio (zaini) portando al seguito solo delle piccole sacche con abbeveraggio
e una giacca per coprirci in caso (improbabile) che il meteo peggiori.
Superato il salto con
l’aiuto di alcune forti radici e della corda, iniziamo l’assalto finale alla
vetta. Percorriamo un tratto più ripido rispetto al precedente, ma nulla di trascendentale,
anzi, gli ultimi dorsi che precedono la cima sono meravigliosi e fiabeschi,
inerbiti e di un verde brillante. Ora siamo estasiati e la croce dello Zimon è
sempre più vicina. Percorriamo un sentiero fantastico, ma siamo continuamente
esposti, quindi non molliamo mai la concentrazione. Pochi metri sotto il
vertice cedo il passo alla mia compagna, offrendo, da buon cavaliere, l’onore di
raggiungere per prima la meta.
Un grande croce in
metallo assicurata con cavi è il bottino della conquista (quota 1819 m.),
nessun libro di vetta (provvediamo noi), solo un piccolo focolare posto poco
distante dalla croce. Un masso luminoso di luce bianca fa da riferimento per le
nostre normali operazioni di vertice. Durante l’ascesa ho avuto modo di
ammirare il vicino Pelf, lo adoro, lo conquistai anni fa, e rimane, a imperitura
memoria, una delle mie montagne preferite. Dalla vetta ammiriamo l’immensità
delle dolomiti bellunesi, e di quelle vicine friulane. L’atmosfera della canicolare
giornata attenua i colori e le sfumature, dando al paesaggio un vellutato tocco
di azzurro, e lo stesso Pelmo par dipinto ad acquerello.
Dopo le dovute operazioni,
rientriamo, ripercorrendo il sentiero a ritroso. Superati gli ostacoli,
recuperiamo gli zaini, e procediamo fino al prato inerbito poco sotto le Selle
di Gravedel. Presso un folto mugo cerchiamo l’ombra e decidiamo di desinare.
Finalmente ci sdraiamo, momento di estasi, non certo liberatorio come quando si
tolgono gli scarponi dopo una faticosa marcia, ma ne sentiamo la necessità. Ci
nutriamo con calma, cadenzando i morsi sul vitto, come a voler prolungare la
pausa, non abbiamo premura. Il nostro desiderio sarebbe quello di fare un
pisolino, chiudendo gli occhi davanti a questa meravigliosa visione, ma l’esperienza
consiglia di alzare la schiena, di issare i corpi e continuare la discesa. Dopo
l’ultimo tratto esposto, togliamo i ramponi, e le ghette, utili quest’ultime a rassicurarci
da incontri ravvicinati del terzo tipo con le vipere. La distanza che ci separa
dalla casera Cajada passa velocemente, in breve tempo siamo all’auto, ma le
gioie dell’escursione non sono finite. Presso una tabella esplicativa con indicazioni
escursionistiche è posta una bella fontanella, e a essa miriamo avidamente,
armati di saponi, unguenti e asciugamano. Dopo il piacere provato nell’aver
tolto gli scarponi e indossato i sandali, quest’ultimo lo supera notevolmente.
Siamo letteralmente all’estasi, piacere che si aggiunge a piacere. Per un
attimo volgiamo lo sguardo alla nostra recente conquista, un dolce sorriso, un
occhiolino di compiacimento e di complicità. Non abbiamo mai smesso di sognare,
lo spirito libero muta i sogni in magica realtà, e noi lo abbiamo fatto.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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