Monte Piova e Col Rosolo dalla Val Larga.
Localizzazione: Alpi Carniche- Alpi Tolmezzine- Gruppo Giogaia
del Bivera- Massiccio del Tiarfin.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo
- villa Santina – Ovaro- val Pesarina –Casera Razzo- Rifugio Ten. Fabbro (ampio
spiazzo) - Discesa nel cadorino- dopo una serie di tornanti – inizio carrareccia
di accesso alla Casera Doana- Lasciare l’auto ai margini dello sterrato, prima
di un divieto di accesso.
Regione: Veneto
Provincia di: Belluno
.
Dislivello: 757 m.
Dislivello complessivo: 1050 m.
Distanza percorsa in Km: 12
Quota minima partenza: m. 1565
Quota massima raggiunta: 2316 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: Selvaggio-panoramica- escursionistica.
Difficoltà: E.E.
Tipologia
sentiero o cammino: Carrareccia- Sentiero selvaggio- Traccia senza segni-
Ferrata-
Segnavia: CAI 336
Fonti d’acqua: si
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si,
istallato barattolo del viandante degli spiriti liberi.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 02
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 12 agosto 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Sogni di sogno che si sognino
pure…
Lasciarsi catturare
dalla magia dell’attimo e iniziare un giorno con un cielo azzurro, sperando che
la grande signora sia benevola, donandoci emozioni tanto preziose.
Monte Piova, la
settimana prima è stato solo un sogno accarezzato, dando ascolto alla saggia
voce dell’istinto che ci consigliava di rimandare. La volta dopo la montagna è
apparsa seducente e abbordabile come non mai, donandoci attimi di gioia, come
l’infinito piacere del viandante che risale la china mirando al punto più
lontano, la meta.
Ripercorriamola in
auto la Val Pesarina sino al termine, e una volta giunti a Sella Razzo, scendiamo
di alcuni tornanti nel Cadore, senza distogliere lo sguardo dalla magica
muraglia dolomitica di cui riconosco il monte Pupera, la Cresta Castellati e
ovviamente l’inconfondibile e regale Brentoni.
Cerco il punto di accesso
per la Val Larga, e lo trovo presso un tornante. Lasciamo l’auto in una
posizione scomoda, all’imbocco della carrareccia di ingresso alla valle vi sono
lavori in corso. Issiamo sulla schiena gli zaini e andiamo a caccia di sogni.
Nei primi tratti di carrareccia (cartello CAI- sentiero CAI 338 per Casera
Doana) incontriamo gli operai che stanno sistemando la strada di accesso alla
malga, li salutiamo e continuiamo il cammino. Passo dopo passo, ammiriamo il
fitto bosco e le fioriture, ci aiuta molto all’inizio avere un passo lento e cadenzato.
Una volta raggiunta la sella, continuiamo per il comodo cammino, sino a
intravedere una vasta prateria che ospita gli edifici della Casera Doana (quota
1911 m.). Superiamo una serie di recinzioni elettrificate, visitiamo le stalle
che sono temporaneamente vuote, le mucche sono al pascolo, da lontano ne udiamo
il suono dei campanacci e il muggito. L’atmosfera è magica, bucolica, a
meridione distinguiamo i morbidi declivi del Col Rosolo. Una fontanella spruzza
acqua, alimentando di continuo una vasca per abbeveramento. Ci spingiamo a
sud-est, dentro una vallone, mirando alla sella che unisce il Col Rosolo con il
Monte Verna. Non ci sono più sentieri, ma tracce di bovi, basta scegliere
quella che è più congeniale. Dalla verde sella, un paletto con i segni CAI
invita a seguire una traccia ben battuta e segnata dentro il bosco di conifere,
che conduce all’inerbita cresta che unisce il Col Rosolo con la località Sella.
Percorreremo al ritorno la cresta verso il colle, ora ci dirigiamo a sud-est,
percorrendo dapprima un bellissimo crinale, che da solo manifesta l’alta
magnificenza della montagna. Da sempre adoro le creste, il mio spirito libero
ben si sposa con l’essenza dei funamboli, e la cresta con la sua linea
immaginaria ne è una manifesta attestazione. Con la mia compagna, spesso ci
scambiamo sguardi di compiacimento. Tutto è meraviglioso, e come scrivo spesso,
il cielo lassù è blu e questo mi da gioia.
Dal crinale, seguendo le tracce, scendiamo di quota,
percorrendo l’affilato pendio protetto da aghiformi fusti, essi con i segni
bicolore ci conducono sino a Sella. La località Sella è il punto più basso
dell’ascesa, si tratta di un avvallamento, da dove si diramano più sentieri. Noi
proseguiamo a sud-est, risalendo un costone, fino a raggiungere le poderose
pareti nord-occidentali del Monte Piova. Da lontano il massiccio ci è apparso
di difficile approccio, ci ha impressionato l’enorme catino di origine
glaciale, che crea un ambiente particolare, simile a un teatro detritico. Noi
dobbiamo salire il monte dal crinale precedentemente citato. Seguiamo le
indicazioni in vernice rossa su un masso che ci guidano in un breve
avvallamento prativo, dove spiccano alcuni affioramenti detritici, proprio alla
base da dove dobbiamo ascendere. Decidiamo di fare una breve pausa, recuperiamo
le energie, e di seguito calziamo i ramponi da erba; la prudenza non è mai
troppa! Saliamo, guidati da radi ometti, un erto crinale, in alcuni passaggi adoperiamo
anche le mani, fino a percorrere un breve traverso esposto che tra i mughi ci
conduce alla cresta (due piccoli ometti nel prato verde, utili per il rientro).
Non nascondo che sono emozionato, assai. La cresta non è pericolosa o esposta
come la immaginavo, anzi, è un comodo e inclinato tappeto verde che conduce al sole,
e noi, come devoti osservanti di questa meravigliosa fede, ascendiamo alla
luce.
Saranno duecento i metri
di dislivello che ci separano dalla vetta. Veniamo distratti dal crepitio dei
sassi proveniente dal ghiaione. Un numeroso branco di camosci si dirige a sud,
seguendo delle piste che da lontano riusciamo a scorgere. È uno spettacolo
subliminale, diversi nuclei di ungulati percorrono scie differenti ma parallele,
per poi riunirsi in un‘unica colonna a valle. Non mi avvezzo
mai alla bellezza, anzi, più ne saggio la
magia e più ne bramo il piacere. A volte la cresta si restringe, facciamo
attenzione nell’incedere, procedendo con piccoli passi sulle zolle gradinate. E
infine, abbordiamo gli ultimi cinquanta metri di quota, dove la cresta si apre
in un’ampia distesa prativa, solcata solo da una ferita naturale, una stretta frattura
nella roccia, forse dovuta a un evento sismico, che ha creato una profonda fenditura.
Passiamo accanto alla lacerazione, essa ci conduce al cupolotto sommitale,
altri brevi passi tra le zolle ed eccoci in vetta (quota 2316 m.), ovvero un fazzoletto
d’erba che a oriente si tramuta in un pauroso baratro roccioso. Non troviamo
croci, solo due sassi e un moncherino di legno, quello che rimane di un mugo.
Una piccola nicchia è posta poco sotto l’apice, come un immaginario riparo, e
dentro di essa troviamo quello che rimane di una cassetta porta libro di vetta.
Il paesaggio
circostante è magico. Riconosco il Tiarfin, regale come un castello da fiaba, e
a 360 gradi ammiro le dolomiti friulane, venete e le Alpi e Prealpi Carniche.
La magica montagna Piova tra le altre si distingue per il suo color verde e la
dolce figura, che la rende abbordabile, mentre, le anguste sorelle dal color
bianco dolomia la cingono, come a coccolarla, in un protettivo abbraccio. Io in
questa visione vi leggo un messaggio di integrazione tra differenti tipologie
montuose, le diversità sono una ricchezza. Il cielo azzurro sgombro da nubi, invita
a permanere in vetta, e noi rimaniamo. Non sempre si ha la fortuna di godere
del bel tempo. Una volta iniziata la discesa, procediamo con calma e serenità,
e in breve tempo siamo al bivio iniziale. Dalla località Sella stavolta
risaliamo il pendio, sino a ripercorrere la cresta inerbita. Sollazzati dal
fresco venticello procediamo per il Col Rosolo. Bella la cresta, mai
pericolosa, essa ci guida al cupolone sommitale invaso da erba alta, dove a
stento scorgiamo un paletto con su affissa una statuetta raffigurante una
madonnina.
Dal vertice decidiamo
di rientrare, ma non a ritroso, bensì seguendo una traccia di cacciatore, sino
alla Malga di Casera Doana, dove, con un ultimo sforzo (dopo aver riempito le
borracce alla fontanella) raggiungiamo il piccolo colle con croce sommitale. Una
panca costruita con un tronco d’albero è posta a pochi metri dal simbolo
religioso. La sosta è breve, l’ultima, tiriamo le stringhe degli scarponi per
poi riprendere il cammino del rientro, tramite la carrareccia percorsa in
mattinata. Il cielo è ancora di un azzurro intenso, anzi blu di cadmio. Rientriamo
con il cuore colmo di poesia, quella donata dalla Montagna.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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