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mercoledì 18 agosto 2021

Monte Piova e Col Rosolo dalla Val Larga.

 

Monte Piova e Col Rosolo dalla Val Larga.

 

 

Localizzazione: Alpi Carniche- Alpi Tolmezzine- Gruppo Giogaia del Bivera- Massiccio del Tiarfin.

 

Avvicinamento:     Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo - villa Santina – Ovaro- val Pesarina –Casera Razzo- Rifugio Ten. Fabbro (ampio spiazzo) - Discesa nel cadorino- dopo una serie di tornanti – inizio carrareccia di accesso alla Casera Doana- Lasciare l’auto ai margini dello sterrato, prima di un divieto di accesso.

 

 

Regione: Veneto

 

Provincia di: Belluno

.

Dislivello: 757 m.

 

Dislivello complessivo: 1050 m.


Distanza percorsa in Km: 12


Quota minima partenza: m. 1565

 

Quota massima raggiunta: 2316 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: Selvaggio-panoramica- escursionistica.

 

Difficoltà: E.E.

 

Tipologia sentiero o cammino: Carrareccia- Sentiero selvaggio- Traccia senza segni-

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI 336

 

Fonti d’acqua: si

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si, istallato barattolo del viandante degli spiriti liberi.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 02
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: giugno-ottobre

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: 12 agosto 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

Sogni di sogno che si sognino pure…

Lasciarsi catturare dalla magia dell’attimo e iniziare un giorno con un cielo azzurro, sperando che la grande signora sia benevola, donandoci emozioni tanto preziose.

Monte Piova, la settimana prima è stato solo un sogno accarezzato, dando ascolto alla saggia voce dell’istinto che ci consigliava di rimandare. La volta dopo la montagna è apparsa seducente e abbordabile come non mai, donandoci attimi di gioia, come l’infinito piacere del viandante che risale la china mirando al punto più lontano, la meta.

Ripercorriamola in auto la Val Pesarina sino al termine, e una volta giunti a Sella Razzo, scendiamo di alcuni tornanti nel Cadore, senza distogliere lo sguardo dalla magica muraglia dolomitica di cui riconosco il monte Pupera, la Cresta Castellati e ovviamente l’inconfondibile e regale Brentoni.

Cerco il punto di accesso per la Val Larga, e lo trovo presso un tornante. Lasciamo l’auto in una posizione scomoda, all’imbocco della carrareccia di ingresso alla valle vi sono lavori in corso. Issiamo sulla schiena gli zaini e andiamo a caccia di sogni. Nei primi tratti di carrareccia (cartello CAI- sentiero CAI 338 per Casera Doana) incontriamo gli operai che stanno sistemando la strada di accesso alla malga, li salutiamo e continuiamo il cammino. Passo dopo passo, ammiriamo il fitto bosco e le fioriture, ci aiuta molto all’inizio avere un passo lento e cadenzato. Una volta raggiunta la sella, continuiamo per il comodo cammino, sino a intravedere una vasta prateria che ospita gli edifici della Casera Doana (quota 1911 m.). Superiamo una serie di recinzioni elettrificate, visitiamo le stalle che sono temporaneamente vuote, le mucche sono al pascolo, da lontano ne udiamo il suono dei campanacci e il muggito. L’atmosfera è magica, bucolica, a meridione distinguiamo i morbidi declivi del Col Rosolo. Una fontanella spruzza acqua, alimentando di continuo una vasca per abbeveramento. Ci spingiamo a sud-est, dentro una vallone, mirando alla sella che unisce il Col Rosolo con il Monte Verna. Non ci sono più sentieri, ma tracce di bovi, basta scegliere quella che è più congeniale. Dalla verde sella, un paletto con i segni CAI invita a seguire una traccia ben battuta e segnata dentro il bosco di conifere, che conduce all’inerbita cresta che unisce il Col Rosolo con la località Sella. Percorreremo al ritorno la cresta verso il colle, ora ci dirigiamo a sud-est, percorrendo dapprima un bellissimo crinale, che da solo manifesta l’alta magnificenza della montagna. Da sempre adoro le creste, il mio spirito libero ben si sposa con l’essenza dei funamboli, e la cresta con la sua linea immaginaria ne è una manifesta attestazione. Con la mia compagna, spesso ci scambiamo sguardi di compiacimento. Tutto è meraviglioso, e come scrivo spesso, il cielo lassù è blu e questo mi da gioia.

 Dal crinale, seguendo le tracce, scendiamo di quota, percorrendo l’affilato pendio protetto da aghiformi fusti, essi con i segni bicolore ci conducono sino a Sella. La località Sella è il punto più basso dell’ascesa, si tratta di un avvallamento, da dove si diramano più sentieri. Noi proseguiamo a sud-est, risalendo un costone, fino a raggiungere le poderose pareti nord-occidentali del Monte Piova. Da lontano il massiccio ci è apparso di difficile approccio, ci ha impressionato l’enorme catino di origine glaciale, che crea un ambiente particolare, simile a un teatro detritico. Noi dobbiamo salire il monte dal crinale precedentemente citato. Seguiamo le indicazioni in vernice rossa su un masso che ci guidano in un breve avvallamento prativo, dove spiccano alcuni affioramenti detritici, proprio alla base da dove dobbiamo ascendere. Decidiamo di fare una breve pausa, recuperiamo le energie, e di seguito calziamo i ramponi da erba; la prudenza non è mai troppa! Saliamo, guidati da radi ometti, un erto crinale, in alcuni passaggi adoperiamo anche le mani, fino a percorrere un breve traverso esposto che tra i mughi ci conduce alla cresta (due piccoli ometti nel prato verde, utili per il rientro). Non nascondo che sono emozionato, assai. La cresta non è pericolosa o esposta come la immaginavo, anzi, è un comodo e inclinato tappeto verde che conduce al sole, e noi, come devoti osservanti di questa meravigliosa fede, ascendiamo alla luce.

Saranno duecento i metri di dislivello che ci separano dalla vetta. Veniamo distratti dal crepitio dei sassi proveniente dal ghiaione. Un numeroso branco di camosci si dirige a sud, seguendo delle piste che da lontano riusciamo a scorgere. È uno spettacolo subliminale, diversi nuclei di ungulati percorrono scie differenti ma parallele, per poi riunirsi in un‘unica colonna a valle. Non mi avvezzo

 mai alla bellezza, anzi, più ne saggio la magia e più ne bramo il piacere. A volte la cresta si restringe, facciamo attenzione nell’incedere, procedendo con piccoli passi sulle zolle gradinate. E infine, abbordiamo gli ultimi cinquanta metri di quota, dove la cresta si apre in un’ampia distesa prativa, solcata solo da una ferita naturale, una stretta frattura nella roccia, forse dovuta a un evento sismico, che ha creato una profonda fenditura. Passiamo accanto alla lacerazione, essa ci conduce al cupolotto sommitale, altri brevi passi tra le zolle ed eccoci in vetta (quota 2316 m.), ovvero un fazzoletto d’erba che a oriente si tramuta in un pauroso baratro roccioso. Non troviamo croci, solo due sassi e un moncherino di legno, quello che rimane di un mugo. Una piccola nicchia è posta poco sotto l’apice, come un immaginario riparo, e dentro di essa troviamo quello che rimane di una cassetta porta libro di vetta.

Il paesaggio circostante è magico. Riconosco il Tiarfin, regale come un castello da fiaba, e a 360 gradi ammiro le dolomiti friulane, venete e le Alpi e Prealpi Carniche. La magica montagna Piova tra le altre si distingue per il suo color verde e la dolce figura, che la rende abbordabile, mentre, le anguste sorelle dal color bianco dolomia la cingono, come a coccolarla, in un protettivo abbraccio. Io in questa visione vi leggo un messaggio di integrazione tra differenti tipologie montuose, le diversità sono una ricchezza. Il cielo azzurro sgombro da nubi, invita a permanere in vetta, e noi rimaniamo. Non sempre si ha la fortuna di godere del bel tempo. Una volta iniziata la discesa, procediamo con calma e serenità, e in breve tempo siamo al bivio iniziale. Dalla località Sella stavolta risaliamo il pendio, sino a ripercorrere la cresta inerbita. Sollazzati dal fresco venticello procediamo per il Col Rosolo. Bella la cresta, mai pericolosa, essa ci guida al cupolone sommitale invaso da erba alta, dove a stento scorgiamo un paletto con su affissa una statuetta raffigurante una madonnina.

Dal vertice decidiamo di rientrare, ma non a ritroso, bensì seguendo una traccia di cacciatore, sino alla Malga di Casera Doana, dove, con un ultimo sforzo (dopo aver riempito le borracce alla fontanella) raggiungiamo il piccolo colle con croce sommitale. Una panca costruita con un tronco d’albero è posta a pochi metri dal simbolo religioso. La sosta è breve, l’ultima, tiriamo le stringhe degli scarponi per poi riprendere il cammino del rientro, tramite la carrareccia percorsa in mattinata. Il cielo è ancora di un azzurro intenso, anzi blu di cadmio. Rientriamo con il cuore colmo di poesia, quella donata dalla Montagna.

Il forestiero Nomade.

Malfa.

















































































































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