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lunedì 9 agosto 2021

Monte Zervoi da Casera Cajada

Monte Zervoi da Casera Cajada

 

 

Localizzazione: Alpi Dolomitiche – Dolomiti Bellunesi - Gruppo Schiara Pelf -

 

Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale-Barcis-Cimolais- Valle del Vajont-Longarone- frazione di Faè- indicazioni per la carrozzabile per Casera Cajada- Casera Cajada (q.1157 m.).

 

Regione: Veneto

 

Provincia di: Belluno

.

Dislivello: 650 m.

 

Dislivello complessivo: 650 m.


Distanza percorsa in Km: 10


Quota minima partenza: 1157 m.

 

Quota massima raggiunta: 1842 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore

In: Coppia

 

Tipologia Escursione: Botanica-panoramica

 

Difficoltà: turistico-escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: sentiero montano che ricalca le remote vie di alpeggio

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI 509

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: basso

 

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: istallato barattolo spiriti liberi

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 024
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: tutto l’anno

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

 

Data: 06 agosto 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Il desiderio infinito di bellezza, di natura, di libertà, e di rapimento mistico, mi muove a cercare in una carta topografica un nome, un’oasi sublime. Monte Zervoi non è solo una montagna o una quota, ma un’evasione dalla società, da un mondo popolato da finti miti. Ed eccoci alle prime ore dell’alba vagabondare con il nostro meccanico cavallo grigio per i valloni delle dolomiti friulane, varcando il confine della diga del dolore, per approdare nella pianura solcata dal sublime azzurro fiume tanto caro alla Patria. Un via vai di automezzi risale la valle, italiani e no, diretti per il fine settimana nel fantastico mondo delle dolomiti cadorine, ma noi, in controtendenza, ci inoltriamo nella selvaggia valle dominata dalla Foresta di Cajada.

Un’ardita stradina risale le verticali pareti, donandoci attimi di adrenalina, e ci guida in un ambiente dominato da meravigliose conifere. Non sostiamo il nostro mezzo di trasporto nella località Casera Cajada, ma procediamo di alcune centinaia di metri, sino alla prima diramazione, dove troviamo un riparo ombreggiato. Ci approntiamo subito, l’aria frizzantina galvanizza il passo e stimola le visioni fantastiche. Dal fitto bosco di abeti bianchi, mentre percorriamo la carrareccia battezzata CAI 509, scorgiamo, voltandoci all’indietro, i dolomitici torrioni dalle gotiche forme delle Crode della Bacheta e della Caneda, mentre il maestoso re Pelf è avvolto da candide nubi.

La stradina campestre ci accompagna prima ai prati di Casera d’Ignol, e di seguito alla Casera Palughét, che dal suo pulpito panoramico domina una depressione prativa, sicuramente in un passato non recente ospitava un lago di origini glaciali. Tra gli stavoli dell’ex malga, effettuiamo una pausa, indossiamo le ghette e di seguito iniziamo la nostra salita alla meta, seguendo sempre i segni del sentiero 509. Dopo pochi metri di cammino siamo all’interno di uno splendido bosco, durante l’ascesa, gli abeti rossi accondiscenderanno la presenza ai faggi. I giochi di luce ci incantano, la pesta è ben battuta e segnata, e in breve, con poca fatica raggiungiamo la cresta del rilievo. Il bel sentiero, che sicuramente ricama le orme di una remota mulattiera di servizio alle malghe, prosegue sul versante meridionale della cresta, solcando i ripidi pendii erbosi da oriente a occidente. Davanti a noi domina lo scenario la costante presenza onirica del Monte Pelf, che con le sue guglie dolomitiche ci intimorisce e attrae allo stesso tempo. A volte la foschia dovuta alle nubi si dirada, svelando per pochi attimi la vetta. Una notevole sensazione di beatitudine rapisce, disegnando sui nostri volti normanni quel sorriso felice che hanno solo i bimbi quando sono al cospetto di un parco giochi. Alle nostre spalle, giù a valle, scorre il Piave, il leggendario fiume che fermò lo straniero, mentre noi scorgiamo tra le dolomiti friulane la regale forma del Col Nudo, e più a sud ancora, la magica valle dell’Alpago.

Nel lambire un abete solitario che è posto come gendarme sul sentiero, svegliamo una nutrita famigliola di fagiani, che spaventati, volano lesti lontano, lasciandoci solo una sporadica visione accompagnata da un sonoro e veloce battito d’ali. Siamo a ridosso delle praterie pensili che ospitano la Casera Zervoi, dapprima scorgiamo un branco di camosci che avvistatoci fugge verso la nebbia, solo l’ultimo di essi, il capobranco, si ferma per vigilare. Mentre dai prati, man mano che avanziamo, sbucano i tetti degli edifici della malga e di seguito tutto il resto della struttura. Ci fermiamo, notando una famiglia di camosci che rimane immobile, ci scruta. Consiglio a Giovanna ci seguirmi, circumnavigando la malga, che visiteremo solo al ritorno. Il mio proposito è quello di non insospettire il bel nucleo familiare, infatti, i mammiferi artiodattili, ora fiduciosi, si rassicurano e continuano a sostare presso una pozza d’acqua. Proseguiamo per la nostra meta che è in vista, seguiamo una traccia di cacciatori, avanzando tra i mughi e i cespugli di rododendro. Un’improvvisa nebbia, spinta da una leggera corrente avvolge velocemente la vetta del monte Zervoi. Noi, continuiamo nell’ascensione, mentre i nostri profili si dissolvono nella bruma. La temperatura si è abbassata notevolmente, ci copriamo velocemente con gli abiti di scorta, e proseguiamo per la nostra meta. Un labile traccia sulla cresta inerbita conduce alla massima quota simbolizzata da uno scarno ometto costruito con pochi ciottoli. Fatta! Monte Zervoi è conquistato (q. 1842 m.), ci congratuliamo a vicenda!

Giovanna legge il gioco delle nubi, ha compreso che il velo che ci ha avvolto è di passaggio. Adagiamo gli zaini sul terreno, e ci rilassiamo. Mentre la mia compagna compila il libretto del viandante, io ne esploro la vetta, spingendomi a occidente. Sono letteralmente rapito dai giochi dei cumuli. Vengono, vanno, ora si svelano e dopo ci avvolgono, e da esse, guardandomi tutto intorno, ne rimango affascinato. Mi svelano squarci di azzurro e di prateria, come se proiettassero ricordi perduti e a colori su un fondale ovattato di cenerino.  La natura sa come sorprendere e fare gioire lo spirito indomito e sensibile. Dopo essermi affacciato sul dirupo occidentale, percorro l’esile tratto e ritorno sui miei passi sino alla vetta, dove in precedenza abbiamo issato il vessillo degli Spiriti Liberi. Tutto intorno ammiro un prato colmo di stelle alpine, mai viste così tante, e sto attento a non pestarle, rispettandone la gentile delicatezza.

Effettuiamo la dovuta sosta, mentre il cielo si libera dalle nubi, donandoci la magica visione. Solo il re Pelf rimane avvolto dalle nubi, anni fa gli feci una visita e fu una delle escursioni più esaltanti della mia vita. Inebriati da cotanta bellezza, decidiamo di rientrare, consumeremo il pasto presso la casera Palughét.  Iniziata la discesa, e avendo molto tempo a disposizione, procediamo con calma, giocando a fotografarci sui singoli massi, e visitando un pulpito panoramico con una croce in legno. Ripassiamo dalla Casera Zervoi, mentre i coraggiosi camosci stazionano ancora presso la piccola pozza d’acqua. Ammiriamo una bellissima fioritura di stelle alpine ricavata dentro un‘insolita fioriera (un tronco d’albero) e di seguito lasciamo il bellissimo prato pensile, per ripercorrere la mulattiera dell’andata. In breve tempo raggiungiamo la casera Palughét, dove approfittiamo di un tavolo con panca posti all’esterno per consumare il pranzo, ossia le gustosissime frittatine d’uova. Nel frattempo, transitano due viandanti con sogni e segugio al seguito, i loro volti emanano una felicità dovuta alla magnificenza del luogo. Finita la pausa pranzo si rientra con pacatezza, e una volta in auto, con la stessa cadenza, scendiamo a valle, ammirando dall’abitacolo l’incanto che ci circonda. Non è stata la mia prima presenza in questa fantastica località, e non sarà l’ultima. Le montagne del bellunese hanno un qualche cosa di esclusivo, una magia tutta loro, e se non credete a ciò che ho scritto, provate di persona.

Noi siamo rimasti stregati da cotanta poesia, Dino Buzzati docet…

Il Forestiero Nomade.

Malfa

 

La Nebbia (Giovanni Pascoli)

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e dà crolli
d'aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valeriane.

Nascondi le cose lontane:
le cose che son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

 

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.

 




































































































 

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