Monte Zervoi da Casera Cajada
Localizzazione: Alpi Dolomitiche –
Dolomiti Bellunesi - Gruppo Schiara Pelf -
Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale-Barcis-Cimolais-
Valle del Vajont-Longarone- frazione di Faè- indicazioni per la carrozzabile
per Casera Cajada- Casera Cajada (q.1157 m.).
Regione: Veneto
Provincia di: Belluno
.
Dislivello: 650 m.
Dislivello complessivo: 650 m.
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: 1157 m.
Quota massima raggiunta: 1842 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In: Coppia
Tipologia Escursione: Botanica-panoramica
Difficoltà: turistico-escursionistiche
Tipologia
sentiero o cammino: sentiero montano che ricalca le remote vie di alpeggio
Ferrata- no
Segnavia: CAI 509
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: basso
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: istallato
barattolo spiriti liberi
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 024
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 06 agosto 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Il desiderio infinito
di bellezza, di natura, di libertà, e di rapimento mistico, mi muove a cercare
in una carta topografica un nome, un’oasi sublime. Monte Zervoi non è solo una
montagna o una quota, ma un’evasione dalla società, da un mondo popolato da
finti miti. Ed eccoci alle prime ore dell’alba vagabondare con il nostro meccanico
cavallo grigio per i valloni delle dolomiti friulane, varcando il confine della
diga del dolore, per approdare nella pianura solcata dal sublime azzurro fiume tanto
caro alla Patria. Un via vai di automezzi risale la valle, italiani e no,
diretti per il fine settimana nel fantastico mondo delle dolomiti cadorine, ma
noi, in controtendenza, ci inoltriamo nella selvaggia valle dominata dalla
Foresta di Cajada.
Un’ardita stradina
risale le verticali pareti, donandoci attimi di adrenalina, e ci guida in un
ambiente dominato da meravigliose conifere. Non sostiamo il nostro mezzo di
trasporto nella località Casera Cajada, ma procediamo di alcune centinaia di
metri, sino alla prima diramazione, dove troviamo un riparo ombreggiato. Ci
approntiamo subito, l’aria frizzantina galvanizza il passo e stimola le visioni
fantastiche. Dal fitto bosco di abeti bianchi, mentre percorriamo la carrareccia
battezzata CAI 509, scorgiamo, voltandoci all’indietro, i dolomitici torrioni dalle
gotiche forme delle Crode della Bacheta e della Caneda, mentre il maestoso re
Pelf è avvolto da candide nubi.
La stradina campestre
ci accompagna prima ai prati di Casera d’Ignol, e di seguito alla Casera Palughét,
che dal suo pulpito panoramico domina una depressione prativa, sicuramente in
un passato non recente ospitava un lago di origini glaciali. Tra gli stavoli
dell’ex malga, effettuiamo una pausa, indossiamo le ghette e di seguito
iniziamo la nostra salita alla meta, seguendo sempre i segni del sentiero 509.
Dopo pochi metri di cammino siamo all’interno di uno splendido bosco, durante l’ascesa,
gli abeti rossi accondiscenderanno la presenza ai faggi. I giochi di luce ci
incantano, la pesta è ben battuta e segnata, e in breve, con poca fatica
raggiungiamo la cresta del rilievo. Il bel sentiero, che sicuramente ricama le
orme di una remota mulattiera di servizio alle malghe, prosegue sul versante
meridionale della cresta, solcando i ripidi pendii erbosi da oriente a
occidente. Davanti a noi domina lo scenario la costante presenza onirica del
Monte Pelf, che con le sue guglie dolomitiche ci intimorisce e attrae allo
stesso tempo. A volte la foschia dovuta alle nubi si dirada, svelando per pochi
attimi la vetta. Una notevole sensazione di beatitudine rapisce, disegnando sui
nostri volti normanni quel sorriso felice che hanno solo i bimbi quando sono al
cospetto di un parco giochi. Alle nostre spalle, giù a valle, scorre il Piave, il
leggendario fiume che fermò lo straniero, mentre noi scorgiamo tra le dolomiti
friulane la regale forma del Col Nudo, e più a sud ancora, la magica valle
dell’Alpago.
Nel lambire un abete
solitario che è posto come gendarme sul sentiero, svegliamo una nutrita famigliola
di fagiani, che spaventati, volano lesti lontano, lasciandoci solo una sporadica
visione accompagnata da un sonoro e veloce battito d’ali. Siamo a ridosso delle
praterie pensili che ospitano la Casera Zervoi, dapprima scorgiamo un branco di
camosci che avvistatoci fugge verso la nebbia, solo l’ultimo di essi, il
capobranco, si ferma per vigilare. Mentre dai prati, man mano che avanziamo, sbucano
i tetti degli edifici della malga e di seguito tutto il resto della struttura.
Ci fermiamo, notando una famiglia di camosci che rimane immobile, ci scruta.
Consiglio a Giovanna ci seguirmi, circumnavigando la malga, che visiteremo solo
al ritorno. Il mio proposito è quello di non insospettire il bel nucleo
familiare, infatti, i mammiferi artiodattili, ora fiduciosi, si rassicurano e
continuano a sostare presso una pozza d’acqua. Proseguiamo per la nostra meta
che è in vista, seguiamo una traccia di cacciatori, avanzando tra i mughi e i
cespugli di rododendro. Un’improvvisa nebbia, spinta da una leggera corrente
avvolge velocemente la vetta del monte Zervoi. Noi, continuiamo nell’ascensione,
mentre i nostri profili si dissolvono nella bruma. La temperatura si è
abbassata notevolmente, ci copriamo velocemente con gli abiti di scorta, e
proseguiamo per la nostra meta. Un labile traccia sulla cresta inerbita conduce
alla massima quota simbolizzata da uno scarno ometto costruito con pochi ciottoli.
Fatta! Monte Zervoi è conquistato (q. 1842 m.), ci congratuliamo a vicenda!
Giovanna legge il gioco
delle nubi, ha compreso che il velo che ci ha avvolto è di passaggio. Adagiamo
gli zaini sul terreno, e ci rilassiamo. Mentre la mia compagna compila il libretto
del viandante, io ne esploro la vetta, spingendomi a occidente. Sono
letteralmente rapito dai giochi dei cumuli. Vengono, vanno, ora si svelano e
dopo ci avvolgono, e da esse, guardandomi tutto intorno, ne rimango
affascinato. Mi svelano squarci di azzurro e di prateria, come se proiettassero
ricordi perduti e a colori su un fondale ovattato di cenerino. La natura sa come sorprendere e fare gioire
lo spirito indomito e sensibile. Dopo essermi affacciato sul dirupo
occidentale, percorro l’esile tratto e ritorno sui miei passi sino alla vetta,
dove in precedenza abbiamo issato il vessillo degli Spiriti Liberi. Tutto
intorno ammiro un prato colmo di stelle alpine, mai viste così tante, e sto
attento a non pestarle, rispettandone la gentile delicatezza.
Effettuiamo la dovuta sosta,
mentre il cielo si libera dalle nubi, donandoci la magica visione. Solo il re
Pelf rimane avvolto dalle nubi, anni fa gli feci una visita e fu una delle
escursioni più esaltanti della mia vita. Inebriati da cotanta bellezza,
decidiamo di rientrare, consumeremo il pasto presso la casera Palughét. Iniziata la discesa, e avendo molto tempo a
disposizione, procediamo con calma, giocando a fotografarci sui singoli massi,
e visitando un pulpito panoramico con una croce in legno. Ripassiamo dalla
Casera Zervoi, mentre i coraggiosi camosci stazionano ancora presso la piccola
pozza d’acqua. Ammiriamo una bellissima fioritura di stelle alpine ricavata
dentro un‘insolita fioriera (un tronco d’albero) e di seguito lasciamo il
bellissimo prato pensile, per ripercorrere la mulattiera dell’andata. In breve
tempo raggiungiamo la casera Palughét, dove approfittiamo di un tavolo con
panca posti all’esterno per consumare il pranzo, ossia le gustosissime
frittatine d’uova. Nel frattempo, transitano due viandanti con sogni e segugio
al seguito, i loro volti emanano una felicità dovuta alla magnificenza del
luogo. Finita la pausa pranzo si rientra con pacatezza, e una volta in auto,
con la stessa cadenza, scendiamo a valle, ammirando dall’abitacolo l’incanto
che ci circonda. Non è stata la mia prima presenza in questa fantastica località,
e non sarà l’ultima. Le montagne del bellunese hanno un qualche cosa di esclusivo,
una magia tutta loro, e se non credete a ciò che ho scritto, provate di
persona.
Noi siamo rimasti
stregati da cotanta poesia, Dino Buzzati docet…
Il Forestiero Nomade.
Malfa
La Nebbia (Giovanni Pascoli)
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e dà crolli
d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch'è morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe
di valeriane.
Nascondi le cose
lontane:
le cose che son ebbre di pianto!
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
che vogliono ch'ami e che vada!
Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane
Nascondi le cose
lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest'orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
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