Monte Plauris da Tugliezzo.
Localizzazione: Prealpi Giulie
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Gemona-Pontebbana-Carnia
imboccare a destra la strada per Tugliezzo (indicazioni). Lasciare il
mezzo dopo la frazione di Tugliezzo, presso una rotonda con cappella votiva al
centro. Quota 503 m.
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Provincia di: Udine
.
Dislivello: 1401 m.
Dislivello complessivo:1501 m
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: m. 503 m.
Quota massima raggiunta: 1958 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 7,5 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: naturale-escursionistica
Difficoltà: escursionistiche sino al passo Maleet
Tipologia
sentiero o cammino: Sentiero nel bosco- sentiero tra i mughi e placca rocciosa
salibile facilmente per tornanti di ghiaino misto a zolle erbose.
Ferrata-
Segnavia: CAI 701
Fonti d’acqua: solo all’inizio del sentiero
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: medio-bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Ben marcato, e segnato, impossibile errare, anche volendo.
Consigliati:
Data: 13 luglio 2007
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Dalla frazione di
Tugliezzo cosa c’è di bello da fare? Semplice a dirsi! Una lunga, lunga, lunga
escursione per la conquista del bel pizzo del Plauris. L’aggettivo lungo è
predominante in questa avventura. Da tempo ho promesso a Giovanna che l’avrei
condotta sul Plauris, il monte di Venzone, e per una via che non ho mai fatto,
quella che da Tugliezzo (versante settentrionale) porta alla vetta più alta del
circondario. Ben coscienti delle eccellenti condizioni meteo, si parte con
calma da casa, percorrendo la Pontebbana, e presso Carnia, imbocchiamo la
strada forestale che risale il vallone che porta alla piccola frazione di
Tugliezzo. Superato il borgo, la stradina termina presso una ancona votiva,
ampio spiazzo dove lasciare l’auto. Mentre ci approntiamo per la partenza,
passa un giovane cacciatore, ci chiede dove stiamo andando a vagabondare.
Sentito il nome del monte, esclama: <<Ma è lunga, lunga lunga, per non
dire infinitamente lunga o lunghissima>>. Insomma, ci siamo capiti,
l’escursione non sarà breve, breve, breve. Si parte all’inizio di uno sterrato,
cartello esplicativo con mappa della zona. Ho dimenticato a casa la mappa,
quindi fotografo il tratto topografico a cui sono interessato. La carrareccia
scorre leggiadra nel bosco, sino al prato che precede la casera Plan dei
Portolans. A destra della stradina campale, un segno CAI ci invita ad abbandonare
il comodo tratto per intraprendere il sentiero. Con moderato andamento inizia
un lungo tratto nel bosco, dove le uniche distrazioni sono le forme
antropomorfe delle carcasse dei faggi secolari, o il continuo ed energico
movimento dei topini, una autentica colonizzazione della selva.
Il chilometrico
sentiero aiuta la conversazione che rimane l’unico svago. Presso una radura un
cartello esplicativo preannuncia la bella visione del Rifugio Franz, autentico
gioiello. Da una breve visita all’interno del locale denoto l’estrema cura delle
suppellettili, e l’originalità di alcuni particolari. Davvero bella la baita e
vien difficile riprendere gli zaini per continuare l’escursione, ma
dobbiamo. Sempre all’interno del bosco
continuiamo sempre la lunga e costante ascesa, sino a vedere sprazzi di azzurro
sulle nostre teste. Lo scenario si apre e siamo fuori dal bosco di faggi,
iniziamo a percorrere un terreno selvaggio, solare, che galvanizza. Una serie
di tornanti risale tra balze erbose e il sentierino di pietrisco, mentre a
oriente, le frastagliate pareti occidentali della Cima Clapadorie, attirano la
nostra attenzione. Ammiro la cresta selvaggia, che un giorno voglio visitare.
Le nostre attenzioni
sono rapite dalla mole del Plauris. Raggiunto la forcella del passo Maleet, la
visuale si apre sul desolato e ampio catino detritico raccolto tra il versante
occidentale del monte Clapadorie e quello settentrionale del Plauris. Un nevaio
al centro di esso preoccupa, ma osservandolo meglio si nota che il sentiero sale
a monte di esso, quindi è aggirabile.
Scendiamo di alcuni
metri all’interno del vertice della Val Lavaruzza, e raggiunto il bordo del
nevaio, lo superiamo come previsto in un breve tratto di neve, dove mi aiuto
con gli scarponi nello scavare degli incavi di sicurezza.
Davanti a noi le
ultime centinaia di metri che ci separano dalla vetta. Percorriamo il tratto
roccioso, nulla di difficile, non adoperiamo le mani, stiamo solo attenti a non
scivolare sul ghiaino. I segni sono tanti, quindi ascendiamo con sicurezza.
Sotto le perpendicolari pareti della vetta, transita un pacifico stambecco,
incurante di noi, e poco dopo la sua sagoma svanisce nel nulla, lasciandoci
l’idea della visione vissuta. Ancora pochi metri e siamo a ridosso della cresta
che ascende da Venzone, e giunti in forca ci affacciamo sul luminoso versante
meridionale, brillante e infinito, complementare a quello che abbiamo fatto in
salita. Per alcuni attimi siamo colti di
sorpresa, sostiamo su una cresta affilata, ma fatta l’abitudine, proseguiamo,
per una labile traccia a oriente, molto esposta sui ripidi tratti, finché
incrociamo l’altra traccia, quella proveniente da sud. Procediamo sull’ultimo
tratto con cautela, la meta mette brio e rinvigorisce. Siamo a pochi metri e in
vista della croce, sulle gambe non avvertiamo più la stanchezza ma spuntano le
ali alle caviglie, e in un balzo siamo all’originale simbolo in metallo. Fatta!
Le nubi, come ricompensa della vittoria, si diradano, mostrandoci il bel
panorama che abbraccia la pianura friulana, sino ai tetti di Moggio Udinese. È un
bel vedere e dopo quasi tre lustri rivedo questo magnifico paesaggio. Non
gravitiamo molto in cima, fatte le dovute operazioni, pensiamo al rientro, con
cautela, sino a ricuperare il nevaio, e subito dopo, trovato un cantuccio,
effettuiamo la dovuta pausa per riacquistare le energie.
Il vallone che
osserviamo in basso, Val Lavaruzza, è percorribile, si scorge il tetto verde
del ricovero Bellina, altra escursione che farò in futuro. Finita la breve
pausa, riprendiamo il cammino, rientriamo per il medesimo, lungo, infinito e
noioso sentiero. Tanti chilometri da macinare, resi meno noiosi dal continuo
movimento dei simpatici topini di montagna. Escursione tanto lunga in salita
quanto lunga in discesa, anzi, lo appare di più, e par che non voglia finire.
Giungiamo all’auto esausti più che stanchi, con il ricordo di una lunga, lunga,
lunga ascesa, e un breve ma intenso momento di gioia, la vetta.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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