Col
Mat e Col Dolomieu da Pieve d’Alpago
Localizzazione:
Prealpi Venete - Gruppo Col Nudo Cavallo
Avvicinamento:
Avvicinamento: Lestans- Barcis. Cimolais- Erto- Longarone-Autostrada per
Belluno- Uscita Pieve d’Alpago-Plois-Rifugio Carota-Strada forestale sino al
rifugio Dolomieu al Dolada- Ampio spiazzo per parcheggiare l’auto.
Regione:
Veneto
Provincia
di: Belluno
.
Dislivello:
500 m.
Dislivello
complessivo: 600 m.
Distanza percorsa in Km: 6
Quota minima partenza: m. 1494 m.
Quota
massima raggiunta: 1981 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: Escursione panoramica naturalistica
Difficoltà:
E.E.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero
Ferrata-
Segnavia:
CAI 905
Fonti
d’acqua: nessuna
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si,
ma solo sul Col Dolomieu.
Libro di vetta: istallato
barattolino sul Col Dolomieu
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 6 giugno 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Ricordo che tempo fa,
leggendo le biografie dei grandi alpinisti, rimasi colpito da una caratteristica
che avevano in comune: loro, i grandi, ascoltavano sempre una voce interiore,
la Montagna. Questa voce spesso la sento anch’io, e da essa mi lascio condurre
senza tentennamenti, le poche volte che ho disubbidito ne ho pagato le spese.
Per questa escursione sul Col Mat ho di nuovo udito la montagna.
Da tempo avevo organizzato
l’escursione, la meta doveva essere il Monte Dolada, alto 1938 m. e il Col Mat era il piano B. Ho vagato su
internet cercando notizie utili, e l’unica costante è l’esposizione della
cresta e la ripidità del versante. Preparato tutto il materiale, decido di
partire per Alpago prima che l’aurora dipinga di rosso il cielo. Dopo quasi due
ore di auto approdo all’ampio parcheggio che precede il Rifugio Dolomieu Dolada,
nel frattempo re sole illumina le creste a oriente.
Parcheggio vuoto, sono
il primo in assoluto, mentre mi appronto sopraggiunge un mezzo con a bordo una
coppia di botanici, lo scoprirò in seguito lungo il sentiero. Carico di
emozioni parto alla volta del monte Dolada, ne temo le esposizioni ma allo
stesso tempo mi attrare fortemente. Seguo le indicazioni per il rifugio
Dolomieu di Dolada, pochi metri di sterrato ed eccolo. Il silenzio regna
sovrano, gli avventori ancora sono per strada o dormono all’interno, io transito,
mirando a un cartello che sbadatamente leggo bene ma non elaboro. La traccia ben marcata passa sotto le vertiginose
pareti meridionali del Col Dolomieu, essa porta a un boschetto, solo pochi
metri di tragitto, e poi sono di nuovo allo scoperto. Fa tanto caldo, sono già
in assetto estivo, canotta e bandana al vento, procedo lento per non grondare
sudore. La cresta è tanto vicina, visto che sono partito da quasi 1500 metri di
quota, non mi par vero di giungere così presto al confine tra cielo e terra.
Il sentiero è davvero avvenente,
le linee diagonali tagliano il pendio erboso che sfoggia una luminosa e
compatta roccia da amare. Raggiungo la forcella Dolada e qualcosa non mi
convince, scorgo a occidente la grande mole del Dolada, troppo distante, qualcosa
non è andata secondo le previsioni. Analizzo la mappa che ho al seguito e
scopro tra le curve di livello l’inghippo. Evidentemente dal rifugio ho virato a
destra, scegliendo le indicazioni per il Col Mat (sentiero 905 CAI), mentre
dovevo proseguire a sinistra, pochi metri ancora, e imboccare il sentiero per
il monte Dolada (sentiero CAI 961). Mi guardo intorno, leggo la mappa, non so
se ritentare o scegliere di proseguire per il Col Mat. In questo caso
l’esperienza mi consiglia di ascoltare la voce interiore. Perché ho errato?
Quale piano ha in mente la montagna? Mi conviene essere testardo e rientrare o
lasciare fare al caso? Scelgo di ascoltare il richiamo inconscio, quindi,
rileggo la mappa e noto un’elevazione vicina, Col Dolomieu. La traccia si perde
tra i mughi, mi faccio largo tra gli stessi e scorgo il tratto, lo seguo, altri
mughi lo coprono, ma la traccia c’è, intrepidamente la seguo.
Dopo alcuni metri sono
sulla cresta erbosa ma praticabile, alcuni passaggi sono all’interno del
versante settentrionale, per poi ritornare a cavalcare la crestina e mi par di
essere un apache, libero, anzi lo sono.
Supero altri passaggi
delicati, percorro la traccia ben battuta sino agli ultimi metri che precedono
la vetta, sovrasto un cocuzzolo che precede la cima vera e propria. Sul terreno,
nel punto più alto trovo solo pochi sassi, una manciatina, scavo sotto di essi con
le mani e ne ricavo un incavo dove alloggiare un barattolino con i blocco note
per i viandanti di passaggio.
Sono a metà strada tra
il monte Doloda e il Col Mat, e dalla cima posso ammirare la bellissima cresta
che dal Gruppo del Cavallo procede come un magico ricamo sino al Col Nudo; mentre
a occidente e settentrione svettano le meravigliose dolomiti. Vivo un sogno
meraviglioso, e sono solo all’inizio. Ritorno alla forcella Dolada e rifletto
se intraprendere la cresta. Sopraggiungono nel frattempo i due biologi. Durante
il breve scambio di battute, ho modo di notare, grazie a loro, due aquile reali
che volteggiano nello splendido cielo di Alpago. Mi congedo dai nuovi amici e
inizio la bellissima cresta che mi porterà alla cima del Col Mat. Vista l’erba
bagnata indosso i ramponcini da erba per procedere con sicurezza. In lontananza ammiro il versante occidentale
del Col Nudo, e la lunga cresta che ad esso conduce. All’inizio temo, da come
ho letto, l’esposizione, ma in realtà si tratta di un comodo fil di cresta che
tramite l’inerbito crinale conduce dove regna il vento. Il cielo è azzurro, limpido,
etereo, come se fosse stato pitturato da un artista, e la natura è viva con il
suo vestito più seducente. Una vasta fioritura accompagna il mio passo, la
pesta è marcata, e l’esposizione non mi distrae dalla felicità che sto
provando. Leggo la cresta, cercando i punti sicuri, ma non sono preoccupato, i
segni di passaggio li leggo a distanza, quindi una volta sopra sono affidabili.
Vicino al Col Nudo si erge l’enorme mole del monte Teverone con le note doppie
cime, lo conosco bene, l’ho scalato tempo fa, e ora mi sorprende come io abbia affrontato
tale fatica, sempre in solitaria come è mio stile. La figura del monte è
imponente, regale, e mentre cammino, rivivo alcuni passaggi, e mi domando quale
folle energia spinga l’escursionista per raggiungere quel pezzo di roccia o di erba
soprannominato vetta. Affronto un tratto di cresta che pare il più impegnativo
dell’intera escursione. Il crinale si restringe sino a divenire fine, una lama
di roccia, e il passaggio è assicurato con dei cavi in metallo. Superato
l’ostacolo, risalgo la ripida cresta, per fortuna è scalinata a zolle, e in
poco tempo sono al vertice dove il crinale si fa più ampio e sicuro. Le
difficoltà oggettive sono terminate, non mi rimane che continuare il passo
verso la vetta che ancora non è in vista. Raggiunta la Forcella Col Mat, noto
la traccia del sentiero che utilizzerò per il rientro, è una variante, essa
taglia tutto il versante meridionale e raggiunge il posteggio auto.
La forcella è posta a
metri 1901, devo risalire altri ottanta metri di dislivello per la comoda
cresta inerbita. Cammino con andamento flemmatico, ammiro la fioritura e le
cime circostanti, dalle dolomiti friulane a quelle venete. Da questo versante,
riscopro e rivivo, passate e recenti avventure. Sto per raggiungere la meta,
non scorgo ometti, croci o catafalchi, nulla di nulla. Penso di aver raggiunto
la vetta, anche perché dopo la cresta degrada. Scruto per terra e riconosco una
aggraziatissima farfalla, posata proprio dove era naturale trovassi un segno
umano che materializzasse la quota. L’ammiro, e conseguo le risposte al perché
ho sbagliato il sentiero all’inizio dell’escursione. Lei, la regale farfalla, è
la dea Artemide, mi attendeva e ora che ho avverato il suo desiderio, vola via,
lasciandomi tutto il tempo per sognare ed estasiarmi per cotanta bellezza.
Isso la bandiera rossa
dello spirito libero dopo averla legata ai due bastoncini da trekking, e mi incanta
udirla e vederla sventolare. Che meraviglia! Che infinita bellezza! Mi siedo
sull’erba, mi sdraio successivamente; i caldi raggi solari mi baciano la pelle,
mi accarezzano, mi coccolano, e la tenue brezza aggiunge piacere come un tocco
erotico, che percepisco e gradisco. Non c’è fretta per rientrare! Mi godo
tutto. Scorre il tempo, non so quanto, non ho guardato di proposito l’orologio,
finché un’ape, sicuramente un messo di Artemide, mi avvisa, che devo rientrare,
compiere l’anello e ammirare il versante fiorito della cresta.
Ascolto e colgo il
consiglio, mentre la piccola ape vola via. Tolgo i ramponi da erba, il suolo è
asciutto e la traccia sul versante meridionale non da preoccupazioni.
Una volta pronto, mi
riapproprio dello zaino, e ripercorro a ritroso il sentiero sino ai cartelli
CAI della forcella Col Mat. Inizio la discesa e il nuovo sentiero, che taglia
il fianco inerbito della montagna. Il colore verde smeraldo del prato ospita la
più variegata fioritura dell’Alpago. Ogni tre passi una foto. Mi fermo spesso ad
ammirare e fotografare i fiori, gioielli inestimabili per chi ama la bellezza.
E più ne ammiro e più ne sorgono, tanto che percorrere un sentiero che una
mente non sensibile impiegherebbe meno di mezz’ora a me ne richiede più del
doppio di tempo. Riempio l’animo di colori, e avrò tempo, nei periodi bui, di
rileggere le foto e scoprire i nomi dei fiori che ignoro. Gli amanti del
deltaplano volteggiano come aquile nel cielo, mi fermo ad immortalarne i
volteggi di alcuni, finché la mia sagoma svanisce nel bosco che precede il
parcheggio. Termina con un’aspettata frescura questa bellissima escursione, mi
preparo al rientro nel quotidiano. Guido lentamente, sono inebriato. Nel cuore, nello sguardo e nella mente si
susseguono i mille colori delle emozioni, e soprattutto, la figura e il volo della
farfalla, della mia dea preferita, che tanto amo.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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